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3.3.1 La questione

In che modo i principi di effettività, proporzionalità e dissuasività influenzano l’uso della nullità a tutela del consumatore?

Alla luce dei principi di effettività e di proporzionalità dei rimedi, si può escludere la nullità nel caso in cui il contratto difetti della sola sottoscrizione della banca, stante la funzione di protezione dell’investitore sottesa alla norma, funzione per ipotesi assolta con la sottoscrizione del (solo) cliente?

Il tema affrontato in questa sezione attiene al requisito di forma ad substantiam previsto dall’art. 23 TUF. Tale norma com’è noto prevede che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento siano redatti per iscritto e che un esemplare sia consegnato al cliente; dal punto di vista dei rimedi, è lo stesso art. 23 TUF a stabilire che “nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”, e il comma 3 di tale norme prevede che la nullità possa essere fatta valere solo dal cliente.

3.3.2 Il caso: Cass. Civ., Sez. Un. 16 gennaio 2018, n. 89860

3.3.2.1 Il fatto, i precedenti gradi di giudizio e le argomentazioni delle parti

Rispetto ad un contratto di investimento, un cliente fa valere in giudizio la nullità del contratto quadro, e la non vincolatività delle operazioni di investimento effettuate, in ragione della mancanza della forma scritta del contratto quadro, prevista ad substantiam dall’art. 23 TUF. Nella copia del contratto prodotta in giudizio manca la firma del funzionario della banca. In primo grado il Tribunale ha sostenuto, si legge nella pronuncia di legittimità, che, poiché la forma scritta è volta a tutelare l’investitore, “analoghe ragioni di tutela non potrebbero ravvisarsi nella Banca, per cui l'investitore, che ha firmato, non avrebbe interesse a sollevare l'eccezione”. La Corte di Appello disattende la decisione del Tribunale, e dichiara la nullità, per mancanza di un valido contratto quadro, di alcune operazioni di investimento per l’acquisto di obbligazioni, condannando le parti alle restituzioni. Secondo i giudici di appello, il modulo contrattuale prodotto in giudizio costituiva una proposta, “a valere quale dichiarazione unilaterale ricognitiva dei soli clienti, inidonea a dar vita al contratto a forma scritta obbligatoria o anche solo a provarne la stipulazione”, non era possibile una sanatoria, e le manifestazioni di volontà desumibili da comportamenti attuativi erano irrilevanti.

La banca propone dunque ricorso in Cassazione, sostenendo che la ratio della norma che prevede la forma scritta a pena di nullità nelle ipotesi esaminate è quella “di assicurare la trasmissione al contraente debole (il cliente) delle condizioni contrattuali, così colmando le asimmetrie informative tra le parti; la forma scritta funge da veicolo del contenuto del contratto, e pertanto l'unica sottoscrizione rilevante è quella del

60 Si vedano anche le sentenze “gemelle”, Cass. Civ., SSUU, 18 gennaio 2018, n. 1200; Cass. Civ., SSUU, 18 gennaio 2018, n. 1201; Cass. Civ., SSUU, 23 gennaio 2018, n. 1653.

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cliente, come confermato dall'obbligo di consegnare a questi la copia del contratto, dal tenore letterale della norma, dal fatto che solo il cliente può far valere la nullità”.

La questione è rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza del 27 aprile 2017, n. 10447. La Corte parte dalla considerazione per cui “nell'ambito della più generale teorica della forma, (…) non tutte le prescrizioni di forma sono uguali”. E se la forma ad substantiam, nei rapporti “paritari” serve come “criterio d'imputazione della dichiarazione”, nonché a garantire la chiarezza e la serietà del contratto, “laddove le parti non si trovino su di un piano di parità perché si ravvisa una “parte debole” del rapporto, a scongiurare il rischio della insufficiente riflessione o dell'approfittamento ad opera dell'altro contraente interviene, allora, la forma, o formalità “di protezione” il cui fine precipuo è proprio quello di proteggere lo specifico interesse del contraente “debole” a comprendere ed essere puntualmente e compiutamente informato su tutti gli aspetti della vicenda contrattuale. Di qui la definizione di “forma informativa”, che pone “l'accento sui caratteri che valgono piuttosto a differenziarla dalle regole tradizionali delle patologie civilistiche del negozio”, e il riferimento della Corte al fenomeno del “neoformalismo negoziale”, utilizzato di sovente a tutela di uno dei due contraenti, reputato in posizione di inferiorità all’interno del rapporto. La nullità di protezione è qui considerata come “nel contempo, strumento di governo degli scambi e mezzo di tutela degli interessi di una delle parti del contratto rispetto a situazioni di “irrazionalità” – la quale, nei contratti di investimento o in generale del mercato finanziario, viene identificata con la disinformazione – che ne compromettono la libertà di scelta”. E da tali considerazioni la Corte di Cassazione, in sede di ordinanza di remissione, afferma che se la nullità è qui “funzionale in primis alla tutela della più ampia informazione dell’investitore (sebbene permanga il ricordato interesse generale all'efficienza del mercato del credito), tanto da presentare rilevanti differenze di disciplina rispetto alla nullità del codice civile, tutte le prescrizioni da essa presidiate vanno intese in tale logica: la quale deve guidare, dunque, anche la valutazione sul punto se il cliente sarebbe pregiudicato, nella sua completa e consapevole autodeterminazione, dalla mancanza di firma della banca sul contratto quadro”. Nell’argomentare, la Corte di Cassazione si riferisce anche alla giurisprudenza europea, e in particolare al caso Pannon, e Banco Español61, per affermare che la peculiarità della nullità di protezione rispetto al regime generale della nullità62 può essere colta anche in relazione alla cd. “forma di protezione”, volta ad “assicurare la piena e corretta trasmissione delle informazioni al cliente, nell'obiettivo della raccolta di un consenso consapevole alla stipula del contratto (il consenso informato)”.

La questione posta dunque, secondo quanto si legge nella sentenza della Suprema Corte, è “se il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, oltre alla

sottoscrizione dell'investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam

dell'intermediario”.

3.3.2.2 Interesse/diritto leso

La Corte di Cassazione, a partire da un’analisi della lettera dell’art. 23 TUF, afferma che la nullità prevista in tale norma è volta “volta ad assicurare la piena indicazione al cliente degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, contenuti e documentazione da fornire in sede di rendicontazione, ed altro come specificamente indicato, considerandosi che è l'investitore che abbisogna di conoscere e di potere all'occorrenza verificare nel corso del rapporto il rispetto delle modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto, che è proprio dello specifico settore del mercato finanziario”. Ed è proprio a partire da tali considerazioni che la Corte di Cassazione afferma che “il vincolo di forma imposto dal

61 Su cui si veda il § 1.2.4 del capitolo 1.

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legislatore (tra l’altro composito, in quanto vi rientra, per specifico disposto normativo,

anche la consegna del documento contrattuale), nell'ambito di quel che è stato definito

come neoformalismo o formalismo negoziale, va inteso infatti secondo quella che è la

funzione propria della norma e non automaticamente richiamando la disciplina generale sulla nullità”.

3.3.2.3 Rimedio

Sulla base dell’individuazione dell’interesse tutelato dalla specifica nullità prevista dall’art. 23 TUF porta la Corte ad affermare che “a fronte della specificità della normativa che qui interessa, correlata alla ragione giustificatrice della stessa, è difficilmente sostenibile che la sottoscrizione da parte del delegato della banca, volta che risulti provato l'accordo (avuto riguardo alla sottoscrizione dell'investitore, e, da parte della banca, alla consegna del documento negoziale, alla raccolta della firma del cliente ed all'esecuzione del contratto) e che vi sia stata la consegna della scrittura all'investitore, necessiti ai fini della validità del contratto quadro”. La Corte afferma così la necessità, nel caso di specie, di un’interpretazione del requisito della forma ex art. 1325, n. 4 c.c., “non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità propria della normativa”, da cui la Corte deduce che “il contratto quadro deve essere redatto per iscritto, che per il suo perfezionamento deve essere sottoscritto dall'investitore, e che a questi deve essere consegnato un esemplare del contratto, potendo risultare il consenso della banca a mezzo dei comportamenti concludenti sopra esemplificativamente indicati”. Nella pronuncia a sezioni unite si enuncia dunque il seguente principio di diritto:

“Il requisito della forma scritta del contratto quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell'investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell'intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.

3.3.2.4 Gli argomenti

La Corte di Cassazione muove, come si è accennato, dalla funzione che la nullità ex art. 23 TUF ricopre rispetto alla tutela dell’investitore, per arrivare ad affermare che il requisito della forma ex art. 1325 c.c., n. 4, va in questo caso inteso “non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità della normativa”. La Corte parte dalla considerazione per cui “tradizionalmente, alla sottoscrizione del contratto si attribuiscono due funzioni, l’una rilevante sul piano della formazione del consenso delle parti, l’altra su quello dell'attribuibilità della scrittura”, e che “tale duplice funzione è nell'impianto codicistico raccordata alla normativa di cui agli artt. 1350 e 1418 c.c., che pone la forma scritta sul piano della struttura, quale elemento costitutivo del contratto, e non prettamente sul piano della funzione”. La Corte afferma che “la specificità della disciplina che qui interessa, intesa nel suo complesso e nella sua finalità, consente proprio di scindere i due profili del documento, come formalizzazione e certezza della regola contrattuale, e dell'accordo, rimanendo assorbito l'elemento strutturale della sottoscrizione di quella parte, l'intermediario, che, reso certo il raggiungimento dello scopo normativo con la sottoscrizione del cliente sul modulo contrattuale predisposto dall'intermediario e la consegna dell'esemplare della scrittura in oggetto, non verrebbe a svolgere alcuna specifica funzione”. È da sottolineare il riferimento al principio di proporzionalità; la Corte a tal proposito parte dalla considerazione per cui la previsione della nullità di cui all’art. 23 TUF è inserita in un contesto normativo, quello del TUF appunto, che “è nel complesso inteso a dettare regole di comportamento per l'intermediario”, e che l’interpretazione offerta dalla Corte “rispetta il principio di proporzionalità, della cui tenuta si potrebbe dubitare ove si accedesse alla diversa interpretazione”. I Giudici di

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legittimità arrivano anche a svolgere osservazioni di carattere generale, secondo le quali “nella ricerca dell’interpretazione preferibile, siccome rispondente al complesso equilibrio tra interessi contrapposti, ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l’interesse particolare, l'interprete deve essere attento a circoscrivere l’ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l'interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche”.

Come fatto nella giurisprudenza europea in Credit Lyonnaise e in Home Credit, sebbene in altro contesto e con riguardo ad altra violazione, la Corte applica dunque il principio di proporzionalità al rimedio della nullità, rimedio che essa stessa considera come avente funzione sanzionatoria rivolta a contrastare la violazione (non tanto di vincoli di forma quanto) di regole di comportamento dell’intermediario, regole adeguatamente assolte dall’intermediario che consegni al cliente l’esemplare del contratto firmato da quest’ultimo.

3.3.3 La giurisprudenza italiana

È opportuno contestualizzare la pronuncia che si è vista nell’ambito della giurisprudenza precedente.

Rispetto alla nullità derivante dalla mancata sottoscrizione del contratto da parte della banca, è di interesse la pronuncia della Corte di Cassazione n. 4564, del 22 marzo 2012, in cui era dedotta la nullità di un rapporto di conto corrente in assenza della forma ad substantiam prevista dall’art. 117, commi 1 e 3, TUB, dovuta alla mancata sottoscrizione della banca. La Corte ritiene il motivo infondato, affermando di inserirsi in un filone giurisprudenziale secondo il quale “sia la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l'ha sottoscritta, sia qualsiasi

manifestazione di volontà̀ del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto

diretto alla controparte e dalla quale emerga l'intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purché la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero non sia deceduta”.

Un diverso orientamento si rinviene in quella giurisprudenza, che rispetto alla nullità ex art. 23 TUF, sostiene che “sussistendo controversia, la prova dell'esistenza del contratto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa, o delle relative scritture. Al contrario, la stipulazione non può essere desunta, in via indiretta, da dichiarazioni di contenuto differente (ad es. di scienza, di ricognizione, ecc.). Nè potrebbero all'evidenza, sopperire prove testimoniali, per presunzioni, il giuramento o la confessione” (Corte di Cassazione dell’11 aprile 2016, n. 706863). La produzione in giudizio del contratto da parte del non firmatario può invece sopperire alla sottoscrizione, con efficacia ex nunc, non idonea dunque a rendere validi gli ordini di acquisto che sono seguiti al contratto quadro, anche in ragione dell’art. 1423 c.c. Sulla base di tali considerazioni, conclude la Corte “la produzione in giudizio del contratto di negoziazione da parte della banca, non rende validi retroattivamente gli ordini di acquisto e le operazioni di compravendita”(Corte di Cassazione dell’11 aprile 2016, n. 706864).

È anche utile richiamare Cass. Civ. n. 5919 del 24 maro 2016, secondo cui, rispetto alla previsione della forma ad substantiam di cui all’art. 23 TUF, questa è posta “a fini protettivi dell’investitore”, ma la conclusione del contratto, in ragione delle norme in materia di prova, non può essere desunta da “comportamenti concludenti posti in essere dalla banca documentati per iscritto”, in

63 Nello stesso senso si pongono anche Cass. Civ. del 27 aprile 2016, n. 8395; Corte di Cassazione del 27 aprile 2016, n. 8396;

Cass. Civ., 19 maggio 2016, n. 10331.

64 Rispetto al valore della produzione in giudizio del contratto da parte della banca che non ha sottoscritto il documento, in

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quanto “nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam, il criterio ermeneutico della valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto stesso, non può evidenziare una formazione del consenso al di fuori dello scritto medesimo”.

Rispetto al caso in cui vi sia la mancanza della firma dell’investitore, è di particolare interesse anche la sentenza della Corte di Cassazione del 22 marzo 2013, n. 7283, che esclude la ratifica tacita di un contratto nullo per mancanza di forma ex art. 23 TUF. Si legge nella pronuncia che “quando il legislatore richiede la forma scritta per meglio tutelare una delle parti del contratto, sarebbe manifestamente contraddittorio ammettere che quel difetto di forma sia rimediabile mediante atti privi anch'essi di forma scritta” (nello stesso senso anche Cass. Civ., 24 febbraio 2016, n. 3623).

Si può infine dar conto del fatto che parte della giurisprudenza successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che si è esaminata, ha applicato il principio di diritto enunciato dai Giudici di legittimità anche alle previsioni di cui all’art. 117 TUB, in ragione della “sostanziale identità di disciplina e, soprattutto, [del]l’identità di ratio delle norme in questione” (Trib. Roma, 21 febbraio 2018, n. 3927).

3.3.4 La giurisprudenza europea

Per inquadrare la soluzione offerta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione all’interno del contesto interpretativo europeo, si può fare riferimento a tre pronunce: Genil48, del 30 maggio 2013, C-604/11; Home Credit, del 9 novembre 2016, C-42/15, e Pannon, del 4 giugno 2009, C-243/08. Nessuna di tali pronunce affronta ex professo il tema della forma ad substantiam posta a fini informativi, ma offrono indicazioni ermeneutiche che possono essere considerate nell’inquadrare la soluzione data dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione all’interno del contesto ordinamentale europeo.

Il caso Genil, del 30 maggio 2013, C-604/11, viene in rilievo rispetto ai rapporti fra forma scritta, obblighi di informazione e nullità del contratto. Con una delle questioni pregiudiziali poste alla Corte di Giustizia si pone l’interrogativo se “qualora non venga effettuata la valutazione di adeguatezza, prevista dall’articolo 19, paragrafo 4, [della direttiva 2004/39] nel caso di un investitore al dettaglio, (…) tale omissione comporti la nullità assoluta del contratto sottoscritto dall’investitore con l’impresa di investimento”. Dalla narrativa dei fatti di causa emerge inoltre che il contratto risulta firmato dal solo cliente e non dalla banca; a tale ipotesi specifica tuttavia non si riferiscono le questioni pregiudiziali poste, che pure rilevano nei loro profili generali inerenti all’ammissibilità della nullità quale rimedio applicabile alla violazione di obblighi di comportamento dell’intermediario. Più specificamente la Corte di Giustizia, rispetto ai commi 4 e 5 dell’art. 19 della Direttiva 2004/39, riguardanti gli obblighi da parte di un’impresa di investimento che propone un servizio di investimento (ora previsti dall’art. 25 della Direttiva 2014/65/UE) ha affrontato la questione delle “conseguenze contrattuali” del mancato rispetto di detti obblighi. A tal riguardo, i Giudici di Lussemburgo hanno sottolineato che “in assenza di normativa dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro disciplinare le conseguenze contrattuali della violazione di tali obblighi, fermo restando il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività”. Tali riferimenti potrebbero rappresentare ulteriori criteri di orientamento nella decisione dei giudici nazionali in casi analoghi a quello affrontato dalle Sezioni Unite.

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Pare opportuno richiamare anche la sentenza Home Credit, del 9 novembre 2016, C-42/1565, sia rispetto all’incidenza del diritto europeo sulle regole di formazione del contratto, sia con riguardo all’applicazione del principio di proporzionalità in ambito rimediale.

In tale pronuncia si afferma che l’art. 10 della Direttiva 2008/48/CE, che prevede le informazioni da fornire nei contratti di credito al consumo “non osta a che lo Stato membro preveda nella sua normativa nazionale, da un lato, che il contratto di credito rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/48 e redatto su supporto cartaceo debba essere firmato dalle parti e, dall’altro, che tale requisito della firma si applichi riguardo a tutti gli elementi di siffatto contratto previsti dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva in parola”. La previsione delle norme sulla sottoscrizione del contratto è lasciata all’autonomia degli Stati membri, purché il contratto menzioni tutti gli elementi di cui all’art. 10 della direttiva, in quanto l’art. 10 si applica “fatte salve le norme nazionali riguardanti la valida conclusione dei contratti di credito conformi al diritto dell’Unione”. Si può però sottolineare che da un punto di vista funzionale, e con riguardo alla Direttiva 2008/48/CE, – ma tali considerazioni sembrano poter essere estesa anche agli obblighi informativi previsti dalla Direttiva 2014/65/UE –, quello che viene posto in evidenza è che la ratio delle norme in materia di obblighi informativi è quella di rendere possibile per il consumatore la conoscenza dei propri diritti e obblighi; si legge nella pronuncia che “il requisito di menzionare, in un contratto di credito redatto su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, in modo chiaro e conciso, gli elementi previsti dalla disposizione in parola, è necessario affinché il consumatore sia in condizione di conoscere i propri diritti e obblighi”, ed è funzionale alla garanzia di una tutela elevata dei consumatori dell’Unione, nonché a “facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo”.

Il caso Home credit è di interesse anche in una prospettiva rimediale. La Corte infatti, a partire dalla considerazione per cui i rimedi previsti di fronte alla violazione delle norme poste dalla direttiva devono essere efficaci, proporzionati e dissuasivi, e citando la pronuncia Crédit Lyonnais66, afferma che “la severità delle sanzioni deve essere adeguata alla gravità delle violazioni che esse reprimono, garantendo, in particolare, un effetto realmente dissuasivo, fermo restando il rispetto del principio generale della proporzionalità”. Rispetto alla conseguenza della decadenza dal diritto agli interessi del creditore, la Corte afferma che “non può̀ essere considerata proporzionata l’applicazione (…) di una siffatta sanzione, che produce gravi