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Pratiche commerciali scorrette fra regole di validità e regole di responsabilità

3.5.1 La questione

Può, alla luce dei principi europei sulla tutela dei diritti del consumatore, l’invalidità del contratto rappresentare il rimedio effettivo, proporzionato e dissuasivo contro l’adozione di pratiche commerciali scorrette? In che misura l’ordinamento interno ostacola l’adozione di regole di validità (nullità e annullabilità) in questo ambito? Tra tutti i rimedi, può l’annullamento del contratto per dolo essere un rimedio che consegue ad una pratica commerciale scorretta, praticata nei confronti del consumatore che promuove l’azione? Con quali limiti e su quali presupposti? Il tema che si affronta in questa sezione attiene alla possibilità per il consumatore di agire per l’annullamento del contratto per dolo ex art. 1439 c.c., nel caso in cui sia stato destinatario di tale pratica, e abbia concluso un contratto con il professionista che l’ha posta in essere. Sul piano del diritto positivo la questione ruota intorno al tipo di valore da attribuire alla decisione dell’AGCM che attesti la pratica commerciale scorretta. Sul punto, si può ricordare che secondo quanto dispone l’art. 3, § 2 della Direttiva 2005/29/CE, questa “non pregiudica l’applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto”, e che l’art. 13 della stessa, secondo cui “gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’applicazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive”. Pare interessante citare a tal proposito anche la proposta di modifica della Direttiva della Commissione Europea

71 Si veda il § 1.2.3.3, nel capitolo 1.

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dell’11 aprile 201872, secondo la quale i consumatori dovrebbero avere “diritto a rimedi individuali quando vengono danneggiati da pratiche commerciali scorrette, come un marketing aggressivo”. Continua la Commissione: “in particolare, gli Stati membri dovrebbero rendere disponibili rimedi contrattuali ed extracontrattuali. I rimedi contrattuali dovrebbero includere, come minimo, il diritto di porre fine al contratto. (…) Questi diritti saranno aggiunti nella direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali”.

3.5.2 Tribunale di Bologna, 2 febbraio 2018, n. 358

3.5.2.1 Il fatto e gli argomenti delle parti

Un privato acquista alcune opere da una parte, e agisce in giudizio “al fine di sentire in via principale dichiarare la risoluzione, per aliud pro alio, dei contratti di compravendita stipulati tra le parti”; in via subordinata è chiesto di dichiarare “i predetti contratti invalidi e/o annullabili e/o nulli e/o comunque privi di effetti giuridici, in ogni caso con condanna della convenuta alla restituzione di tutte le somme versate dall'attore (…) nonché al risarcimento di tutti i danni subiti”. La convenuta chiede il rigetto di tutte le pretese di parte attrice.

L’attrice sostiene che la convenuta “tramite i propri collaboratori, presentava come opere d'arte i volumi oggetto della presente controversia, a tiratura limitata, facenti parte di una collezione esclusiva, il cui valore garantito e certificato era destinato ad aumentare molto e costantemente nel tempo, costituenti, in realtà al più opere di alto artigianato o beni di lusso, di valore inferiore al prezzo, a cui egli li acquistava”, mentre i già menzionati collaboratori presentavano i volumi come “opera integrale, opera d’arte a forma di libro”. Le pretese dell’attrice si fondano anche sull’art. 21 cod. cons.: si fa infatti valere l’avvenuto accertamento da parte dell’Antitrust dell’esistenza di pratiche commerciali ingannevoli e aggressive.

3.5.2.2 Interesse/diritto leso

Riflettere sull’interesse leso è in questo caso di particolare interesse in quanto, insieme agli interessi tutelati specificatamente dalla disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette prevista dal Codice del consumo – e dunque la tutela dei consumatori e il perseguimento della costruzione di un mercato efficiente –, concorre anche più in generale l’interesse tutelato dall’art. 1439 c.c., volto a rendere annullabile il contratto affetto da vizi del consenso, e dunque della formazione della volontà del contraente, pilastro della disciplina codicistica sul contratto. 3.5.2.3 Rimedio

Il tribunale dichiara l’annullamento per dolo del contratto, e condanna alla restituzione dell’importo speso dall’attore nell’acquisto.

3.5.2.4 Gli argomenti

Il tribunale ritiene, richiamato l’accertamento dell’AGCM circa l’esistenza di pratiche commerciali sleali, che tali pratiche “abbiano tutti i caratteri del dolo determinante e conducano di regola all'annullamento del contratto concluso a loro seguito e per loro influsso”. Il Tribunale, affermando di aderire ad una parte della dottrina, adotta la ricostruzione secondo la quale “una volta che l'Autorità garante abbia accertato una pratica commerciale scorretta perpetrata dal professionista a danno del consumatore, il contratto a valle di una tale pratica è annullabile per vizio del consenso, o per dolo, a seconda dei casi, o per violenza (morale). Non si tratterà, ben inteso, di rendere l'accertamento amministrativo vincolante per l'autorità giudiziaria, bensì di ritenere, sul piano della prova, che l'accertamento della pratica ingannevole o aggressiva integra, di per sé stessa, l'estremo del dolo o della violenza, quale presupposto dell'annullamento del contratto”. Precisa la Corte che “una volta che il consumatore abbia allegato l'accertamento dell'Autorità garante, incomberà sul professionista l'onere di

72 Reperibile all’indirizzo:

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provare, in contrasto con la suddetta presunzione, che nella specie non ricorrono i requisiti che il codice civile richiede per l'annullamento del contratto, come l'incidenza causale della pratica ingannevole o aggressiva sul consenso di quel determinato consumatore”.

3.5.3 La giurisprudenza italiana

La sentenza appena esaminata trova eco in alcune pronunce precedenti. Fra queste, si può citare la decisione Pretura Bologna, dell’8 aprile 1997 in cui si afferma che “la decisione con cui l'autorità garante della concorrenza abbia giudicato ingannevole la campagna pubblicitaria di un professionista costituisce elemento indiziario idoneo a far presumere l'induzione in errore del consumatore ai fini dell'annullamento del contratto stipulato a seguito di tale campagna pubblicitaria”. Anche nella sentenza del Tribunale di Terni del 6 luglio 2004, si legge che “il contratto che sia stato concluso a seguito di pubblicità di cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia accertato la natura ingannevole è annullabile per dolo”. Fra la giurisprudenza rilevante si deve citare anche Cass., Sez. Un., n. 26724/2007, in cui la Corte ha affermato la possibilità che la violazione di una regola di comportamento relativa alla buona fede possa portare all’annullamento del contratto, ricorrendone le condizioni. Occorre rammentare anche che le Sezioni Unite nella medesima sentenza hanno escluso che da una regola di condotta, quale quella che attiene al divieto di pratiche commerciali scorrette, possa derivare la nullità del contratto, ribadendo la distinzione fra regole di comportamento e regole di validità. Si legge nella pronuncia che “la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità e può esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi dell'atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità”.

Venendo all’analisi specifica del rapporto fra pratiche commerciali scorrette e annullamento del contratto per dolo si deve ricordare l’art. 19, comma 1, lett. a), cod. cons., secondo cui “il presente titolo non pregiudica: a) l'applicazione delle disposizioni normative in materia contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità od efficacia del contratto”. Occorre poi anche sottolineare la diversità di presupposti di operatività della normativa. Se l’art. 1439 c.c. è teso ad indagare, in concreto, il carattere determinante del dolo sul procedimento di formazione della volontà di un contraente, il giudizio in materia di pratiche commerciali scorrette opera in astratto una valutazione basata sul consumatore medio, e sull’idoneità della pratica a falsarne il comportamento73.

A ciò si aggiunga che in materia di annullamento del contratto per dolo tradizionalmente la giurisprudenza ha valutato con severità la prova del dolo e del rapporto fra questo e la conclusione del contratto74. Si legge in una recente pronuncia che ai fini dell’operatività della tutela di cui all’art. 1439 c.c., è necessario che “i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 cod. civ.”. Precisa ancora la Corte che “peraltro il dolus malus ricorre solo se, tenuto conto delle circostanze di fatto e delle qualità e condizioni dell'altra parte, il mendacio sia accompagnato da malizie e astuzie volte a realizzare l'inganno voluto e idonee in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza” (Cass. Civ. 23 giugno 2009, n. 14628). Rispetto alla prova dell’errore, di particolare interesse rispetto al caso appena esaminato è la pronuncia della

73 Tesi di dottorato di I. Cuffaro, Pratiche commerciali scorrette e rimedi contrattuali, Università degli Studi di Palermo, 2017, p. 98. 74 Sul punto, per un primo inquadramento: C. Dalia, La tutela individuale del consumatore al di fuori del codice del consumo in caso di

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Corte di Cassazione n. 21600, del 20 settembre 2013, in cui si chiedeva, a seguito della violazione di obblighi informativi, l’annullamento del contratto per errore. In tale pronuncia i Giudici di legittimità hanno confermato l’orientamento secondo cui la prova dell’errore rilevante ai fini dell’annullamento del contratto è “posta a carico della parte che deduce il vizio del consenso, che il contraente si è determinato a prestarlo in virtù di una falsa o distorta rappresentazione della realtà”. Non opera dunque qui nessuna presunzione.

3.5.3.1 Pratiche commerciali scorrette, delibere delle autorità amministrative, nullità e provvedimenti inibitori

Pare di particolare interesse anche il provvedimento del Tribunale di Ivrea del 29 marzo 2018, che ha adottato provvedimenti inibitori ex art. 140 cod. cons., in presenza di pratiche commerciali scorrette che consistevano nella introduzione della cd. fatturazione a 28 giorni nell’ambito della telefonia mobile, in contrasto con una delibera dell’AGCOM e attraverso una modifica unilaterale delle clausole contrattuali. Occorre aggiungere che nel caso di specie era applicabile una delibera dell’AGCOM, che atteneva alla modifica delle clausole contrattuali, e cui, secondo parte della giurisprudenza e sulla base della l. 481/1995 occorre riconoscere “portata precettiva, inderogabile da parte dell’autonomia privata, (…) dal cui mancato rispetto non può che conseguire la nullità delle clausole contrattuali difformi predisposte dalla resistente” (Trib. Ivrea, 29 marzo 2018; nello stesso senso, seppur con argomentazioni parzialmente diverse Trib. Milano 12 marzo 2018; Tribunale di Milano, 4 giugno 2018.

In questo caso specifico, in cui la scorrettezza della pratica si accompagna a una delibera dell’AGCOM, interpretata nella chiave dell’art. 1339 c.c., il Tribunale di Ivrea afferma che “non coglie nel segno il rilievo della resistente per cui la violazione di una regola di comportamento, quale quella del codice del consumo che impedisce pratiche commerciali scorrette, non può produrre la nullità delle clausole contrattuali”. A ben vedere però, ciò che rende nulla la clausola pare essere la delibera dell’AGCOM, più che il giudizio sulla scorrettezza della pratica.

3.5.4 La giurisprudenza europea

Proprio al tema dell’incidenza dell’accertamento di una pratica commerciale scorretta a livello contrattuale è dedicata la sentenza Perenicova, del 15 marzo 2012, C-453/10, in cui è sottoposta alla Corte la questione di quali siano le conseguenze da trarre dall’accertamento di una pratica commerciale sleale inerente una specifica clausola del contratto “ai fini della valutazione del carattere abusivo delle clausole di detto contratto, ai sensi dell’art. 4, § 1, della direttiva 93/13, nonché della validità di tale contratto nel suo complesso, alla luce dell’art. 6, § 1, di quest’ultima direttiva”. La Corte afferma a tal proposito che “l’accertamento del carattere sleale di una pratica commerciale rappresenta un elemento tra gli altri sul quale il giudice competente può basare la sua valutazione del carattere abusivo delle clausole di un contratto ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13”. Rispetto alla validità del contratto nel suo complesso, la Corte afferma che “è sufficiente rilevare che la direttiva 2005/29 non pregiudica l’applicazione, ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 2, del diritto contrattuale, né, in particolare, delle norme sulla formazione, validità o efficacia dei contratti” e dunque “l’accertamento del carattere sleale di una pratica commerciale non ha diretta incidenza sulla validità del contratto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13”.

3.5.5 Rilievi conclusivi e questioni aperte

La giurisprudenza europea sembra essere di particolare aiuto per leggere il rapporto fra l’accertamento di una pratica commerciale scorretta e la possibilità di accedere alla tutela dell’annullamento del contratto ex art. 1439 c.c. Due le questioni, fra loro connesse. La prima

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attiene alla possibilità di rileggere le interpretazioni restrittive date dalla giurisprudenza in materia di annullamento per dolo e per errore del contratto, alla luce del principio di effettività della tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette. A questo proposito si può formulare il seguente interrogativo:

Su quali aspetti della ricostruzione giurisprudenziale sui presupposti dell’annullamento per dolo o per errore potrebbe incidere il principio di effettività, portando eventualmente a un parziale mutamento dell’interpretazione attuale?

Il principio di effettività potrebbe giocare un ruolo anche sul piano della prova, in particolare nei casi in cui vi sia stato un accertamento in sede amministrativa della scorrettezza della pratica commerciale. A tal proposito si può ricordare che la Corte di Giustizia afferma la possibilità di considerare come elemento della valutazione l’avvenuto accertamento della scorrettezza della pratica.

A tal proposito potrebbe venire in rilievo anche il principio di proporzionalità, che potrebbe guidare la modulazione dell’influenza della decisione AGCM, evitando soluzioni eccessive. Alla luce del principio di proporzionalità e di effettività, in che modo il meccanismo delle presunzioni di cui all’art. 2729 c.c. potrebbe operare, ad esempio rispetto all’accertamento della scorrettezza della pratica in sede amministrativa?