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Il criterio del diverso ambito di applicazione dei due

Tale assunto, ossia quello della perfetta intercambiabilità dei due strumenti di controllo quanto all’ambito di applicazione degli stessi e dei motivi di doglianza che possono con essi essere fatti valere, è però proprio ciò che alcuni studiosi hanno ritenuto di criticare, così suggerendo ulteriori criteri sulla base dei quali regolare il concorso tra il reclamo alla Corte d’appello e la revoca e modifica ad opera del giudice istruttore.

Secondo una diversa prospettiva, i rapporti tra le due forme di controllo potrebbero essere regolati non tanto avendo riguardo alla prevalenza gerarchica dell’uno rispetto all’altro, ovvero al criterio della prevenzione, quanto con riferimento ai motivi di doglianza che con gli stessi possono farsi valere.

In giurisprudenza19 si è, infatti, delineato un orientamento in base al quale con il reclamo sarebbe possibile censurare esclusivamente profili di erroneità dell’ordinanza presidenziale immediatamente rilevabili, mentre

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App. Bologna, 13 novembre 2006, in Famiglia e diritto, 2007, 3, 280, con nota di ARCERI, Sulla

con la richiesta di revoca e modifica all’istruttore sarebbe possibile dedurre l’opportunità di adeguare i provvedimenti resi all’esito dell’udienza presidenziale, ossia sulla base di una delibazione sommaria, alle risultanze acquisite nel corso della fase a cognizione piena.

Trattasi di quella “giurisprudenza difensiva” elaborata da alcune Corti d’appello, cui si è già fatto cenno nel corso del capitolo precedente del presente lavoro, che ha cercato, già all’indomani dell’entrata in vigore della Novella del 2006, di ridurre il numero di ricorsi ex art. 708 c.p.c., delimitando l’ambito di applicazione del reclamo.

In dottrina20 è stato sostenuto che, in assenza di una disciplina quale quella dettata nell’ambito del rito cautelare uniforme e di fronte alla chiara volontà del legislatore di svincolare la revoca e la modifica dalla sopravvenienza di nuove circostanze, solo regolando in questo modo il rapporto tra le due forme di controllo, ossia ritenendo che esse non possano condurre al medesimo risultato sulla base di motivi di doglianza identici, potrebbero evitarsi inutili e pericolose sovrapposizioni tra le stesse.

In particolare, il reclamo di cui all’art. 708 c.p.c. sarebbe uno strumento di controllo molto diverso rispetto a quello previsto in ambito cautelare: mentre quest’ultimo sarebbe un mezzo di revisione integrale, totalmente devolutivo, che attribuisce al giudice di seconda istanza una cognizione piena con possibilità di valutare tutti gli aspetti non trattati precedentemente e le sopravvenienze nel frattempo intervenute, il primo sarebbe un mezzo di gravame in senso proprio, con il quale possono essere merito, 2007, 6, 1654; App. Trento, 6 luglio 2006, in www.minoriefamiglia.it; Id., 24 agosto 2006, in www.affidamentocondiviso.it.

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fatti valere esclusivamente errori decisionali evidenti, frutto di non corretta valutazione degli elementi acquisiti nella fase presidenziale del giudizio.

Il reclamo avverso i provvedimenti temporanei ed urgenti dovrebbe, dunque, essere ammesso esclusivamente per far valere errori interpretativi o giuridici palesi e consentire un riesame allo stato degli atti, sulla base di elementi già acquisiti nella fase presidenziale e con l’attribuzione alla Corte d’appello di un potere cognitivo non più ampio di quello del presidente. In sostanza, i coniugi potrebbero lamentare esclusivamente l’omessa considerazione, il travisamento o l’erronea interpretazione di elementi cognitivi e probatori già a disposizione del presidente, con la conseguenza che il giudizio di reclamo potrebbe, per certi versi, essere assimilato ad un giudizio di legittimità21.

Laddove venisse così delimitato l’ambito di applicazione del reclamo, sarebbe possibile rispettare il tenore letterale dell’art. 709 c.p.c., che non subordina la possibilità di revoca e modifica al sopravvenire di nuove circostanze. Infatti, in caso di mancata proposizione del reclamo, sarebbe sempre e comunque possibile proporre istanza di revoca o modifica al giudice istruttore, sulla base di fatti e circostanze, anche non sopravvenuti, non allegati in precedenza.

Allo stesso modo, la pendenza del reclamo non precluderebbe l’istanza al giudice istruttore, non essendovi coincidenza tra i motivi di doglianza: com’è ovvio, tuttavia, l’intervenuta pronuncia della Corte d’appello imporrebbe al giudice istruttore di pronunciare la sopravvenuta cessazione della materia del contendere sull’istanza di revoca e modifica, essendo venuto meno il provvedimento sul quale pronunciarsi. E,

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analogamente, laddove il giudice istruttore dovesse modificare o revocare il provvedimento presidenziale, il procedimento avanti alla Corte d’appello verrebbe ad esaurirsi per sopravvenuta mancanza dell’oggetto della controversia.

Secondo tale orientamento, che considera profondamente diversi i due strumenti di controllo, in sede di reclamo sarebbe precluso ogni tipo di attività istruttoria, non potendo il giudizio avanti alla Corte d’appello rappresentare una sorta di anticipazione del processo, che deve necessariamente svolgersi avanti al giudice istruttore.

Altra parte della dottrina, seppur anch’essa convinta che i rapporti tra reclamo e revoca e modifica debbano essere regolati tenendo in considerazione il diverso ambito di applicazione degli stessi, non essendo essi strumenti di controllo sovrapponibili ed assolvendo a funzioni diverse, giungono a conclusioni differenti.

Vi è chi22 ha evidenziato che la previsione di una competenza speciale per il reclamo, ossia quella della Corte d’appello, unitamente alla previsione di un termine perentorio per la proposizione dello stesso, imporrebbero di ritenere che l’istanza di revoca e modifica non rappresenti un surrogato del reclamo di cui all’art. 708 c.p.c., con la conseguenza che i coniugi non potrebbero scegliere liberamente a quale dei due strumenti di controllo fare ricorso per fare valere gli errori del presidente, dovendo questi essere dedotti necessariamente in sede di giudizio di reclamo.

La prevalenza del reclamo proposto da uno dei coniugi comporterebbe, tra l’altro, la sospensione del procedimento di revoca e modifica eventualmente attivato ad opera dell’altro coniuge, il quale

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CEA, Il controllo dei provvedimenti nell’interesse dei coniugi e della prole tra corti d’appello e giudici

potrebbe decidere se trasferire le proprie istanze in sede di reclamo, ovvero se attendere la pronuncia della Corte d’appello per riproporre la questione al giudice istruttore.

In sostanza, mentre il reclamo sarebbe finalizzato ad una rivisitazione illimitata dell’ordinanza presidenziale, il potere di revoca e modifica sarebbe attivabile esclusivamente in caso di mutamenti delle circostanze, ovvero se si allegano fatti anteriori al provvedimento presidenziale di cui si sia acquisita conoscenza solo successivamente, fermo restando che, per ragioni di economia processuale, le sopravvenienze dovrebbero essere conosciute dal giudice del reclamo, laddove questo sia stato proposto.

Nonostante, secondo la tesi che si sta riportando, la Corte d’appello possa e, anzi, debba, conoscere delle sopravvenienze, essa dovrebbe avvalersi esclusivamente di prove precostituite, non potendosi ammettere in sede di reclamo un’istruttoria orale, ovvero la richiesta di consulenza tecnica.

Tale soluzione – si anticipa fin d’ora – non convince poiché attribuisce alla Corte d’appello un potere cognitivo non supportato da un corrispondente potere istruttorio: se si ammette che il giudizio di reclamo sia aperto ai nova, deve necessariamente consentirsi al giudice di seconda istanza di espletare tutta quell’attività istruttoria, senza alcun tipo di distinzione, che sia necessaria al fine di conoscere delle circostanze e dei motivi sopravvenuti; diversamente, si deve escludere che elementi cognitivi differenti da quelli già valutati dal presidente possano trovare ingresso in sede di giudizio di reclamo.