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La giurisprudenza del Tribunale di Genova Pag

Come si è più volte avuto modo di evidenziare nel corso del presente lavoro, la giurisprudenza del Tribunale di Genova ha svolto un ruolo fondamentale nel dibattito in ordine alla ammissibilità del reclamo avverso i provvedimenti del giudice istruttore, avendo i giudici genovesi sostenuto, ancor prima dell’introduzione del reclamo avverso i provvedimenti presidenziali, la tesi della loro reclamabilità ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., con un orientamento in contrasto con quello di tutti gli altri giudici di merito.

Muovendo dal presupposto che i provvedimenti del giudice istruttore “non sono emessi nella funzione ordinatoria propria dei provvedimenti istruttori quali le ordinanze ex art. 177 e 178 c.p.c. (…), ma con la funzione di assicurare la dovuta tutela ai soggetti della famiglia in crisi nel sempre possibile verificarsi di eventi che rendano inadeguati i provvedimenti assunti preventivamente”, i giudici genovesi pervengono alla conclusione che la risposta di tutela, nella materia de qua, sia tale solo quando possa essere pronta ed adeguata e, di conseguenza, effettiva.

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Ammettono la reclamabilità dei provvedimenti del giudice istruttore ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., App. Genova, 10 novembre 2006, in Foro it., 2007, 2, I, 590; App. Bari, 29 agosto 2007, in Foro

it., 2008, 11, 3334. Tra i giudici di prima istanza, esamina nel merito un ricorso per reclamo presentato ex

È interessante ricordare in questa sede quali siano le argomentazioni principali che hanno indotto i magistrati liguri, guidati dal pensiero del Presidente della Sezione famiglia ed estensore di numerosi provvedimenti sul tema, dott. Paolo Martinelli, ad assumere questo atteggiamento di apertura nei confronti del reclamo34.

Per la prima volta, infatti, la questione della reclamabilità è stata affrontata in un’ottica non più soltanto nazionale, bensì di più ampio respiro, ossia alla luce dei principi sovranazionali e convenzionali.

Impongono, secondo il Tribunale di Genova, di non aderire alla configurazione del giudice istruttore quale dominus incontrastato della sorte dei minori per tutta la durata della causa i principi contenuti nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, alla quale la L. 27 maggio 1991, n. 176 ha dato piena esecuzione in Italia, nonché il regolamento comunitario 2201/2003 in tema di competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che richiama a sua volta l’art. 24, rubricato “I diritti del bambino”35, della Carta europea dei diritti fondamentali del cittadino, firmata a Nizza nel 2000.

Secondo i giudici genovesi, peraltro, dovrebbero essere assoggettati a controllo avanti ad un giudice terzo non solo i provvedimenti concernenti i minori, i cui diritti devono sempre considerarsi preminenti nella ponderazione degli interessi effettuata dal giudice, bensì tutti i

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Tali motivazioni sono dettagliatamente esplicate in Trib. Genova, 6 febbraio 2007, cit.

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Questo articolo recita: “1. I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro

benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. 3. Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”.

provvedimenti che intervengono sugli assetti della famiglia in crisi, in quanto formazione sociale qualificata, cui il legislatore ha riservato un trattamento speciale.

A ciò si aggiunga, continuando con il ragionamento dei magistrati liguri, che è oggigiorno indubbia la precettività e la cogenza per i giudici italiani delle norme contenute nella Convenzione europea dei diritti

dell’uomo, delle quali essi non possono non tener conto

nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto nazionale.

Dal momento che l’intervento del giudice istruttore comporta sempre un’ingerenza nella vita familiare, la prima norma che viene in considerazione è l’art. 8 CEDU, rubricato “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”, ai sensi del quale “ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione di reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle liberà altrui”.

E l’intervento del giudice istruttore nella vita della famiglia in crisi rientra proprio, secondo i giudici genovesi, tra le ingerenze e le misure previste dalla legge in una società democratica per proteggere i diritti e le libertà degli stessi membri della famiglia in disgregazione.

Alla menzionata disposizione si affianca quella contenuta nell’art. 13 CEDU, rubricato “Diritto ad un ricorso effettivo”, ove è sancito che “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente

Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.

Da tali principi deriva, secondo il Tribunale genovese, che il titolare di un diritto fondamentale, che veda compressa la propria posizione da un provvedimento esecutivo di un organo giudiziario nazionale, ha diritto a rivolgere un ricorso ad altro giudice diverso dal primo per la tutela dell’effettività del suo diritto e che il giudice nazionale ha il dovere di interpretare le norme dell’ordinamento nazionale in modo da assicurare una simile tutela.

Quanto all’individuazione dell’organo giudicante cui rimettere la decisione sul reclamo, i magistrati liguri ritengono che essa debba spettare al tribunale in composizione collegiale, così come previsto dall’art. 669 terdecies c.p.c., norma che sarebbe applicabile ai provvedimenti del giudice istruttore in virtù di una interpretazione non analogica, bensì estensiva, dell’art. 669 quaterdecies c.p.c., avendo tali provvedimenti natura anche cautelare.

Così si conclude la parte motiva della pronuncia del Tribunale di Genova che si sta esaminando: “in virtù delle ragioni sopra richiamate e dei doveri di adeguamento dell’ordinamento interno al principio di effettività delle garanzie dei diritti inviolabili della persona, in quanto singolo e quanto parte di una formazione sociale quale è anche la famiglia in corso di disgregazione, deve ritenersi applicabile al caso di specie la garanzia del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.”.

Vi è da dire che, se tanto appare condivisibile il percorso argomentativo che conduce i giudici genovesi a ritenere necessaria la reclamabilità dei provvedimenti del giudice istruttore avanti ad un giudice

terzo, incidendo essi sugli assetti della famiglia in disgregazione ed essendo l’alterità del giudice garanzia di effettività della tutela delle parti, non altrettanto può dirsi per la parte della motivazione che individua quale organo competente a decidere sul reclamo, così come prevede l’art. 669 terdecies c.p.c., il tribunale in composizione collegiale, limitandosi a sostenere la natura cautelare dei provvedimenti de quibus, senza neppure prendere in considerazione l’ipotesi che il legislatore abbia voluto introdurre con il reclamo alla Corte d’appello un modello procedimentale ad hoc per i controlli nell’ambito dei procedimenti di separazione e di divorzio.

7. La tesi della reclamabilità avanti alla Corte d’appello ai