• Non ci sono risultati.

I L CRITERIO DELL ’ INTERESSE NAZIONALE : DUBBI SULLA SUA SOPRAVVIVENZA

CAPITOLO III – LUCI ED OMBRE DELLA RIFORMA COSITUZIONALE DEL

2. A NALISI CRITICA DEL « NUOVO » TESTO COSTITUZIONALE

2.4. I L PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ NELLA DISTRIBUZIONE DELLA POTESTÀ AMMINISTRATIVA ED IL POTERE SOSTITUTIVO DEL G OVERNO

2.4.1 I L CRITERIO DELL ’ INTERESSE NAZIONALE : DUBBI SULLA SUA SOPRAVVIVENZA

L’art. 120, comma 2 della Costituzione prevede la possibilità che il Governo si sostituisca «ad organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per 1’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei Governi locali»453. Il legislatore costituzionale del 2001, come si nota immediatamente, non ha riprodotto nel nuovo testo costituzionale alcun riferimento all’interesse nazionale, criterio contenuto invece nella vecchia dizione, ed ancora richiamato in un’altra disposizione (l’articolo 117, comma 1) ove la legittimità dell’esercizio della potestà legislativa ripartita delle regioni veniva subordinata al mancato contrasto delle norme di queste ultime con l’ «interesse nazionale e con quello di altre Regioni». L’interesse nazionale, pertanto, ha costituito per tutti gli anni di attività della Corte costituzionale precedenti alla riforma del 2001 una sorta di «clausola generale di chiusura del sistema costituzionale» in base alla quale veniva garantito il principio

dell’unità nazionale di cui all’art. 5 della

Carta e la sua espunzione dal testo costituzionale sarebbe, a giudizio quasi unanime della dottrina, soltanto apparente454. Se si analizzano, infatti, i singoli presupposti che

453

La disposizione successiva stabilisce che sia la legge a determinare «le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione». Una riserva di legge così congegnata per altro, secondo un’opinione largamente condivisa in dottrina, non può non riferirsi che alla sola legge statale, vedi F. PIZZOLATO, Il principio di sussidiarietà, in T. GROPPI, M. OLIVETTI, La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino 2001, p. 154

454

Vedi Tra gli altri, R. TOSI, A proposito dell’«interesse nazionale», in Quaderni costituzionali, 2002, n. 1, p. 86; Q. CAMERLENGO, L’ineluttabile destino di un concetto evanescente: l’interesse nazionale e la riforma costituzionale, in AA.VV., Problemi del federalismo, Milano 2001, p. 343; A. BALDASSARRE, Audizione, in Indagine conoscitiva sugli effetti nell’ ‘ordinamento delle revisioni del Titolo V della parte 11 della Costituzione. Senato della Repubblica,

oggi legittimano l’intervento sostitutivo dello stato, si evince che in ognuno di essi è presente un aspetto della vecchia formula dell’interesse nazionale.

Il «mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria», per esempio, celerebbe l’interesse nazionale ad evitare che insorga una responsabilità comunitaria o internazionale in capo allo Stato455. Ed ancora, la tutela dell’unità giuridica ed economica cui fa riferimento l’art. 120, comma 2 è apparso a molti456 un

restyling del ‘vecchio’ interesse nazionale, piuttosto che un limite nuovo ed

autonomo. Lo stesso principio di sussidiarietà verticale, infine, indirizzerebbe all’utilizzo del criterio dell’interesse nazionale.

Cos’altro, infatti, potrebbe guidare nella ricerca del livello di governo più adeguato se non la ponderazione dei rispettivi interessi statali e regionali?457 L’interesse nazionale, dunque, lungi dall’essere scomparso dall’ordinamento, sarebbe soltanto

stato dotato di una diversa

strumentazione giuridica458. In passato infatti, sulla base di una concezione fortemente gerarchizzata dei poteri istituzionali, il perseguimento dell’interesse nazionale era un obiettivo facente capo esclusivamente allo stato, basti pensare al

Prima commissione permanente Affari costituzionali. Resoconto delle audizioni, su www.astrid- online.it e A. BARBERA, Scompare l’interesse nazionale? Forum di Quaderni costituzionali, su www.mulino.it, «avevo sostenuto che gli interessi nazionali sono identificati dai fini e dai valori su cui le forze politiche egemoni fondano la decisione di considerarsi uniti nella Repubblica italiana. Se è vera questa conclusione [...] ne deriva che tale limite non può considerarsi travolto dalla riforma: esso permane, a mio avviso, quale espressione dell’unità stessa della Repubblica. È un limite [...] che trova un aggancio testuale nell’art. 5 della Costituzione»

455

Vedi G. ARRIGO, Osservazioni sulla riforma del Titolo V della Costituzione. Il lavoro tra diritto comunitario e diritto interno, in Lav. pubbl. amm., 2002, I, p. 117

456

Vedi per esempio R. BIN, Le potestà legislative regionali, dalla Bassanini ad oggi in Le Regioni 2001, n. 4, p. 627

457

Vedi M. LUCIANI, Le nuove competenze legislative delle Regioni a statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della 1. cost. n. 3 del 2001, in Lav. pubbl. Amm., 2002, n. 1, suppl., p. 14

458

Cosi sostiene R. BIN, L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità della giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni 2001, n. 6, p. 1214

giudizio di merito preventivo che il Governo poteva effettuare, ai sensi dell’articolo 127, comma 3, Cost. sulle leggi regionali prima che queste venissero promulgate459. Oggi invece, sulla base del criterio del variabile livello degli interessi (tradotto nel principio di sussidiarietà), le funzioni sono assegnate al livello istituzionale più vicino alla società civile, ma tale assegnazione è contemperata dai principi di sussidiarietà ed adeguatezza in virtù dei quali l’ente superiore può sostituirsi a quello inferiore incapace di garantire gli interessi comuni, risalendo fino alla tutela dell’interesse nazionale globalmente inteso460. L’esistenza di un simile criterio, d’altra parte, è quanto mai necessaria in un ordinamento, come quello italiano, che si ispira ad un modello di separazione delle competenze legislative basato su schemi fissi che non prevedono l’operatività di un limite mobile utilizzabile dallo stato per riespandere le

proprie potestà

a tutela dell’unità dell’ordinamento461 e tuttavia può comportare il rischio che si finisca per interpretare l’interesse nazionale come l’interesse dello stato (riguardato come istituzione, nel senso fatto proprio dal nuovo articolo 114, Cost., per

459

«È ampiamente noto che il rinvio agli interessi nazionali vigente nella previsione originaria dell’art. 117, Cost. rappresentava un limite di merito e non di legittimità, come tale rimesso all’apprezzamento delle Camere parlamentari e non del Giudice delle leggi (vedi l’art. 127 Cost. ora abrogato). Tuttavia, nel vigore del sistema regionale speciale, prima, e di quello ordinario, dopo, si è affermata la possibilità di una interpretazione delle materie secondo gli ‘interessi’, che ha legittimato l’inclusione tra i limiti di legittimità di quello degli ‘interessi nazionali’. Coerentemente – s’intende, con queste premesse – è stata affermata la rilevazione di tali interessi in via interpretativa (in particolare, ad opera della Corte costituzionale). [...]. Si è trattato di una ricostruzione delle attribuzioni regionali legata a valutazioni di merito, che non erano affatto compatibili con la norma sulla competenza, in quanto gli interventi a tutela dell’interesse nazionale, per il loro intrinseco carattere politico, non rappresentavano una forma di esercizio della competenza e non risultavano attribuiti al giudice della legittimità delle leggi, il quale era chiamato a determinare le finzioni dello Stato e delle Regioni, esclusivamente attraverso procedimenti ermeneutici», così S. MANGIAMELI, Prime considerazioni sulla tecnica del riparto delle competenze legislative nel nuovo disegno di legge costituzionale di revisione del Titolo V. Forum di Quaderni costituzionali, su www.mulino.it

460

Vedi R. BIN, La funzione amministrativa, in Il nuovo Titolo V della parte II della C’costituzione. Primi problemi della sua attuazione, Milano 2002, p. 128

461

Vedi P. RIDOLA, Intervento in G. BERTI, G.C. DE MARTIN (a cura di), Le autonomie territoriali: dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale, Atti del Convegno – Roma gennaio 2001, Milano 2001, p. 106

intendersi), frustrando così le aspirazioni federalistiche del nuovo ordinamento462. Non a caso il ricorso al criterio dell’interesse nazionale è stato subordinato dalla Corte costituzionale alla sussistenza di una serie di requisiti: che esso non sia irragionevole, arbitrario o pretestuoso, che l’interesse dedotto sia effettivamente infrazionabile, indifferibile ed urgente tale da non poter essere perseguito attraverso un atto normativo regionale, che l’intervento statale sia proporzionale al perseguimento dell’interesse nazionale che si assume in pericolo463.

Come il Giudice delle leggi ha avuto modo di precisare già molti anni addietro, infatti, «A differenza di tutti gli altri limiti costituzionalmente posti all'autonomia legislativa delle regioni (o province autonome), l'interesse nazionale non presenta affatto un contenuto astrattamente predeterminabile né sotto il profilo sostanziale né sotto quello strutturale. Al contrario, si tratta di un concetto dal contenuto elastico e relativo, che non si può racchiudere in una definizione generale dai confini netti e chiari. Come ogni nozione dai margini incerti o mobili, che acquista un significato concreto soltanto in relazione al caso da giudicare, l'interesse nazionale può giustificare interventi del legislatore statale di ordine tanto generale e astratto quanto dettagliato e concreto. La ragione di ciò sta nel fatto che, per raggiungere lo scopo che si prefiggono, le leggi deputate a soddisfare l'interesse nazionale nelle sue mutevoli valenze non possono non seguirne sino in fondo i molteplici e vari percorsi,

462

Vedi Q. CAMERLENGO, op. cit., p. 338. L’Autore si esprime, in generale, in senso molto critico nei confronti del principio dell’interesse nazionale. «La trasposizione, sul piano dei rapporti tra stato e regioni di un concetto, quale quello dell’interesse nazionale, concepito e maturato in un altro contesto, ha sortito l’effetto di mettere in discussione l’intima essenza e la ragion d’essere dell’autonomia politica riconosciuta alle regioni dalla Legge fondamentale. Invero, il terreno d’elezione dell’interesse nazionale sin dal XVIII secolo fu quello delle relazioni internazionali, rispetto alle quali il singolo Stato aspirava a presentarsi di fronte agli altri membri della comunità internazionale quale ordinamento unitario e compatto [...]. Il pluralismo istituzionale accolto nell’ordinamento italiano a seguito della consacrazione a livello costituzionale di principi profondamente innovativi avrebbe suggerito una maggiore cautela nell’inclusione dell’interesse in parola tra i cardini del modello regionale ivi delineato»

463

Vedi A. ANZON, I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale, Torino 2002, p. 105 e G. ROLLA, Evoluzione del sistema costituzionale delle autonomie territoriali e nuove relazioni tra livelli istituzionali. Prospettive costituzionali e profili problematici, in Le Regioni 2000, n. 6, p. 1022 il quale precisa che gli effetti del potere sostitutivo sono limitati nel tempo e che non è pregiudicata, anzi viene auspicata, l’eventualità che le regioni con un loro intervento successivo sostituiscano le proprie norme a quelle statali

i quali, in taluni casi, pongono in evidenza problemi la cui risoluzione può avvenire soltanto mediante una disciplina dettagliata e puntuale.

Proprio in considerazione di questa sua particolare natura, l'interesse nazionale, se non può essere brandito dal legislatore statale come un'arma per aprirsi qualsiasi varco, deve esser sottoposto, in sede di giudizio di costituzionalità, a un controllo particolarmente severo. Se così non fosse, la variabilità, se non la vaghezza, del suo contenuto semantico potrebbe tradursi, nei casi in cui il legislatore statale ne abusasse, in un'intollerabile incertezza e in un'assoluta imprevedibilità dei confini che la Costituzione ha voluto porre a garanzia delle autonomie regionali (o provinciali). E, allo stesso modo, la sua potenziale pervasività, fin troppo evidente nel caso di legislazione di dettaglio, potrebbe causare, in mancanza di un'approfondita verifica dei presupposti di costituzionalità relativi alla sua effettiva sussistenza, una sostanziale corrosione e un'illegittima compressione, se pure circoscritta alle fattispecie disciplinate, dell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni (e alle province autonome)»464.

Intorno alla giurisprudenza della Corte costituzionale, peraltro, si è articolata la definizione dei principi e dei criteri di condotta cui il Governo deve attenersi nell’esercizio del suo potere sostitutivo ancorato al criterio dell’interesse nazionale (art. 120, comma 2)465. Qualora infatti prevalessero interpretazioni estensive di questa

disposizione, essa diventerebbe

«bonne a tout faire, capace di giustificare le più varie incursioni governative in ambito regionale [...]. Il custode degli interessi nazionali diverrebbe il Governo e si manifesterebbe allora un drastico giro di boa rispetto ad un’esperienza

464

Sentenza 18 febbraio 1988, n. 177. Vedila su www.giurcost.it

465

Ma di questo si avrà modo di parlare più avanti, a proposito della giurisprudenza della Corte con particolare riferimento ad una specifica funzione: l’«individuazione delle funzioni fondamentali di province e comuni» di cui all’articolo 117, comma 2, lett. p) della Carta fondamentale. Vedi infra Cap. III, § 3.3

che, pur con tutti i limiti che 1’ha contrassegnata, non ha mai abbandonato l’idea che quel compito dovesse restare nelle mani del Parlamento»466.

Il rischio che l’utilizzo di tale principio porti il potere centrale ad usurpare indebitamente le competenze regionali può essere controbilanciato, però, dall’introduzione nel sistema del principio della leale collaborazione (contenuto anch’esso nell’articolo 120, comma 2) e di quello della sussidiarietà (ad esso parallelo), che costituiscono insieme il perno ed il parametro di valutazione della legittimità dei poteri sostitutivi esercitati da Governo467. Valutati dunque alcuni dei suoi aspetti negativi, deve ammettersi che l’eliminazione dell’interesse nazionale in termini letterali ed in quanto espressione ambigua non è stata una grande perdita in quanto ha determinato il venir meno di una serie di equivoci interpretativi.

In particolare, è stato affermato, «la costruzione giurisprudenziale e legislativa dell’interesse nazionale come presupposto di competenza per lo stato era ben nota al legislatore costituzionale. Se costui ha ritenuto di non fornire a tale costruzione un riconoscimento generale ed una strumentazione apposita [...] ma, al contrario, ha scelto di prevedere solo singoli limitati mezzi con cui siffatto interesse può essere fatto valere, è lecito concludere [...] che lo stesso legislatore abbia inteso vietare la possibilità in interventi statali ‘innominati’ volti a perseguire le esigenze unitarie che non si prestino ad essere ricomprese nelle ipotesi previste»468. Ed ancora

466

Così R. TOSI, op. cit., p. 87, la quale più avanti specifica meglio la necessità che sia il Parlamento stesso ad individuare, con le proprie leggi, i presupposti che giustificano l’intervento sostitutivo a tutela degli interessi nazionali. In questo modo «i presupposti che giustificano l’intervento statale a tutela di quegli interessi sono riconducibili ad una serie di titoli abilitanti puntuali e distinti, poiché ogni diversa norma costituzionale – espressa o implicita – che offre fondamento all’intervento dello stato potrò stare a premessa dell’argomentazione della Corte ed agevolare la formazione di differenziate e stabili tecniche valutative»

467

Vedi A. ANZON, op. cit., p. 109, la quale precisa, altresì, che la leale collaborazione non assurge pienamente al rango di principio fondamentale del nuovo ordinamento federalista, essendo la sua portata circoscritta solo al particolare ambito cui si sta facendo riferimento. Vedi anche D. PICCIONE, Gli enigmatici orizzonti dei poteri sostitutivi del Governo: un tentativo di razionalizzazione, in Giur. cost., 2003, n. 2, p. 1230 che circoscrive invece l’operatività del principio in parola al procedimento di sostituzione di cui all’articolo 120, comma 2 come garanzia di correttezza

468

«una formula generica – come quella previgente – o non serve oppure è pericolosa. La formula di per sé significa poco [...]. Altrimenti è pericolosa, nel senso che apre la strada alle incarnazioni più imprevedibili del principio dell’ ‘interesse nazionale, per diventare [...], un grimaldello per intaccare l’autonomia delle regioni anche laddove forse non era il caso di farlo»469. Dunque il merito dell’art. 120, comma 2 starebbe proprio nello sforzo di dare un’elencazione esaustiva di tutte le inadeguatezze regionali che giustificherebbero un intervento correttivo dello stato, evitando così di fare riferimento a criteri troppo imprecisi che presterebbero il fianco a facili strumentalizzazioni del legislatore nazionale470.

Tutto ciò comunque, giova ripeterlo, non vale ad escludere la validità di un concetto come quello dell’interesse nazionale, dato che qualsiasi ordinamento, anche il più federalista, non può non accogliere un simile principio. Esso, in ultima analisi, altro non costituisce se non quella che negli stati federali viene chiamata supremacy

clause, cioè un criterio di mobilità delle competenze, un titolo di legittimazione per lo

stato ad intervenire per la salvaguardia

dell’unità, che è un bene riconosciuto come meritevole di tutela da parte di qualsiasi ordinamento.

469

Così osserva S. PANUNZIO, Audizione, in Indagine conoscitiva sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del Titolo V della parte Il della Costituzione. Senato della Repubblica, Prima commissione permanente Affari costituzionali. Resoconto delle audizioni, su www.astrid-online. it

470

Vedi F. PIZZOLATO, op. cit., p. 154. Ci si domanda, tuttavia, se si possa realisticamente sostenere che l’elencazione attualmente prevista dall’art. 120, comma 2, Cost. sia esauriente sotto il profilo terminologico. Oppure se, piuttosto, espressioni come «pericolo grave per l‘incolumità o la sicurezza pubblica» o come «tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica» non facciano che moltiplicare le fonti di incertezza. In questo senso vedi anche A. RUGGERI, P. NICOSIA, Verso quale regionalismo?, in Rass. parl., 2001, n. 1, p. 111