Negli anni settanta il dibattito sul regionalismo risentiva anche della riflessione culturale, risalente già al decennio precedente, sul tema dell’efficientismo nella Pubblica Amministrazione. L’impostazione del problema non era tanto di tipo giuridico (e cioè relativa al fenomeno dell’azione amministrativa) quanto piuttosto ‘sociologica’, individuandosi da più parti nell’economicità politico-sociale dell’agire pubblico il nuovo centro della questione amministrativa84.
Tutto ciò era accentuato dal fatto che – con l’istituzione delle regioni a statuto ordinario – i problemi precedentemente riferiti al dualismo centro-periferia venivano letteralmente moltiplicati dall'’esistenza di un’ulteriore livello di decentramento: la regione, appunto.
Il Ministero dell’interno – a seguito del proliferare delle sedi di raccordo istituzionale tra il centro e la periferia – perse il suo tradizionale ruolo di governo delle autonomie e finì per ‘ripiegare’ quasi esclusivamente sulle proprie competenze in materia di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
A questo punto la struttura amministrativa pubblica aveva ormai definitivamente assunto quell’aspetto elefantiaco che purtroppo ancora oggi – nonostante i numerosi tentativi di riforma – la caratterizza.
Non solo la struttura era pletorica, ma era anche enormemente diversificata quanto alle funzioni esercitate e soprattutto quanto ai risultati conseguiti ed alle metodologie operative.
Come è stato correttamente riassunto, infatti, «metodi e rendimenti si differenziano secondo un panorama a macchia di leopardo, in cui settori segnati dall'’arretratezza convivono con esperimenti di punta: le differenze di carattere e di rendimento sono
84
Vedi M. STRAZZA, La nascita delle regioni ordinarie, su www.storiain.net ed anche S. SEPE (a cura di), Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana, Roma, 2003, p. 155 in cui si riporta che l’unica, evidente concretizzazione di questo impulso alla razionalizzazione ed alla efficientizzazione dell’azione amministrativa – anche in un’ottica di autovalutazione – fu l’istituzione degli uffici «valutazione e metodo» presso le Direzioni generali del personale di diversi Ministeri
notevoli tra amministrazioni e perfino tra realtà territoriali della stessa amministrazione»85.
Né si può trascurare che la nascita delle Regioni, lungi dal produrre uno snellimento in termini procedurali, finì per complicare le cose anche dal punto di vista decisionale, giacché il panorama si arricchì di una nuova istituzione rappresentativa di interessi non sempre (parallelamente) nuovi: il Consiglio regionale.
Con la nascita delle nuove istituzioni regionali, infatti, si moltiplicarono le occasioni di scontro tra istanze localistiche e perduranti tendenze accentratrici da parte delle amministrazioni statali. Un esempio per tutti può essere dato dalla esperienza della cd. ‘prima stagione statutaria’ in cui, nella redazione dei propri Statuti, le regioni palesavano in realtà le ragioni della ricerca della propria identità della propria autonomia86.
Un ulteriore aspetto problematico palesato dal regionalismo degli anni settanta fu poi la assoluta non corrispondenza tra l’attuazione del dato costituzionale in termini di mero decentramento di funzioni ed il relativo (e solo auspicato) conferimento degli adeguati mezzi finanziari per sostenere le citate funzioni.
La quasi totale assenza di possibilità per le regioni, infatti, di contare su risorse finanziarie proprie e non derivate dai trasferimenti statali segnò uno dei maggiori elementi discorsivi del sistema, unitamente all’ulteriore aspetto legato all’atteggiamento di chiusura adottato quasi “a cascata” dalle Regioni stesse nei confronti degli enti locali.
Le cause della iniziale incapacità di funzionamento delle regioni, in altri termini, vanno ravvisate non solo nell’assenza di adeguate risorse finanziarie, ma anche nell’ottuso arroccamento, da parte degli amministratori regionali nei confronti degli enti locali, su posizioni accentratrici del tutto analoghe a quelle assunte dallo stato nei loro confronti87.
85
Così S. SEPE (a cura di), Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana, Roma, 2003, p. 160, alla cui sintesi ci permettiamo di aggiungere l’elemento ormai storico del dislivello funzionale tra amministrazioni del Nord ed amministrazioni del Sud del Paese
86
Vedi R. BIFULCO, Gli Statuti di seconda generazione, Torino, 2006, p. 201
87
Fu peraltro con le riforme sull’elezione diretta del Sindaco e del presidente della Provincia88 che le cose iniziarono a cambiare in senso (parzialmente) favorevole per gli enti locali, dotati finalmente di una rappresentanza politica direttamente legittimata dall'’investitura popolare, il che conferiva loro non poca forza in più rispetto al passato, anche e soprattutto nei confronti dell’amministrazione regionale89. Negli stessi anni della prima attuazione del dettato costituzionale in materia di regionalismo, si registrò poi una ulteriore tendenza “moltiplicatrice” delle amministrazioni centrali: quella che portò, cioè, alla nascita ed alla crescita esponenziale delle cd. «amministrazioni parallele»90 alle regioni: organismi dalla fisionomia istituzionale, dall'’autonomia e soprattutto dalla connotazione pratica molto spesso incerta il cui assurdo proliferare portò – in una congiuntura economica che cominciava a dimostrarsi tutt’altro che propizia – ad una sorta di esasperazione generale ed all’inizio della lotta (invero molto sostenuta anche nell’opinione pubblica) alle ‘amministrazioni inutili’91.
La conclusione, pertanto, è che l’auspicato raccordo tra riforma regionalista dello stato e riforma dell’amministrazione centrale nel senso di un suo snellimento – lungi dall'’andare in direzione armonica – si rivelò un ‘fiasco’ e restò sostanzialmente nel campo delle buone intenzioni.
Non può trascurarsi, a questo proposito, che un peso determinante nella vicenda fu giocato non solo dalla ‘reazione’ degli apparati burocratici centrali, ma anche dal nuovo clima politico che si stava diffondendo proprio negli anni settanta, caratterizzato dalla fine del tentativo di collaborazione istituzionale tra forze del centro-sinistra e sinistra radicale (PCI) e soprattutto dalla comparsa, all’orizzonte,
88
Di cui alla legge 25 marzo 1993, n. 81
89
Vedi L. MANNORI, B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, 2001, p. 88
90
L’espressione è di S. CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983, p. 16
91
Osserva S. SEPE (a cura di), Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana, Roma, 2003, p. 173 che «massima espressione di questa nuova sfiducia negli enti fu la legge 20 marzo 1975, n. 70, meglio nota come ‘legge sul parastato’. Il provvedimento fu il tentativo ( in gran parte fallito, ma non di meno significativo) di dettare una disciplina uniforme per gli enti pubblici non economici […], sopprimendo quelli non più funzionali ed impedendo la creazione di nuovi». In realtà, applicandosi solo agli enti censiti in una tabella allegata alla legge stessa, le norme ebbero una limitatissima efficacia reale e non riuscirono affatto ad arginare il fenomeno che si proponevano di contrastare
della minaccia terroristica, di fronte alla quale i Governi dell’epoca preferirono centrare il mirino sul rafforzamento del potere centrale per reprimere e, se possibile, prevenire il fenomeno92.
Quanto invece al passaggio delle funzioni, conseguente alla prima attuazione del disegno costituzionale c’è da osservare che – sebbene l’elezione dei primi quindici Consigli regionali delle regioni a statuto ordinario fosse avvenuta nel 1970, unitamente ai primi trasferimenti finanziari e di funzioni amministrative93 – il primo sostanzioso passaggio di funzioni avvenne legislativamente solo nel 1977, con l’approvazione della legge delega 22 luglio 1975, n. 382 e del relativo D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
Queste norme ridefinirono quasi completamente la ripartizione delle funzioni amministrative tra stato e regioni a statuto ordinario, un nuovo assetto al quale avrebbe dovuto corrispondere anche un riordinamento degli apparati burocratici statali, soprattutto nel senso del loro snellimento, eppure ciò non avvenne, come si è detto, se non in modeste proporzioni94.
Il programma venne inoltre arricchito di ulteriori elementi con il passaggio del controllo sull’attività dei comuni e delle province alle commissioni regionali di cui all’art. 53 della cd. legge Scelba95, con l’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali (con la quale si completava quel complesso sistema della giurisdizione amministrativa già disegnato nella sua struttura essenziale dalla legge sul contenzioso amministrativo del 1865)96, e con il definitivo superamento delle giunte provinciali amministrative e dei consigli di prefettura per effetto delle relative declaratorie di incostituzionalità pronunciate dalla Corte costituzionale.
L’effetto di queste riforme fu il superamento della Prefettura quale anello di congiunzione tra Stato e realtà locali e quale strumento di controllo e direzione di
92
Vedi F. AIMO, Stato e poteri locali in Italia. 1848-1995, Roma, 1997, p. 158
93
Si vedano, in proposito, la legge 16 maggio 1970, n. 281 ed i DD.P.R. 14 gennaio 1972, nn. 1 e 2
94
Vedi AA. VV., La riforma dello Stato, Roma, 1981, p. 187
95
Legge n. 645 del 1953
96
L’istituzione dei T.A.R. avvenne per mezzo della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, mentre la legge sul contenzioso amministrativo è la n. 2248 del 20 marzo 1865
quello nei confronti di queste ultime. Il nuovo soggetto che si affacciava sulla scena istituzionale italiana era ormai diventato la regione, nuovo centro di legittimazione democratica, ma anche (come si vedrà) nuova sede di virtuale incontro tra partiti politici e cittadini, recante già in sé pericolosissime potenzialità come nuovo snodo di politiche clientelari97.
97
Molto incisivo, a tale proposito, è il commento di S. SEPE (a cura di), Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana, Roma, 2003, p. 183 dove si legge che «a determinare risultati spesso insufficienti contribuì, senza dubbio, il carattere raccogliticcio della burocrazia regionale, poiché gli spostamenti di personale obbedirono per lo più a logiche clientelari o di convenienza personale. Nell’insieme le burocrazie regionali non sono state in grado di emergere come corpi professionali, lasciando di frequente ai politici il compito di guidare la macchina amministrativa»
8. LA LEGISLAZIONE CD. BASSANINI E LA LEGGE COSTITUZIONALE DEL 18