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2. Sorvegliare il nemico Per una analisi biopolitica delle misure d

2.4 Per una critica del concetto di devianza

Se le misure di sicurezza dunque si presentano come dei dispositivi disciplinari, funzioni di una razionalità governamentale oggi in parte mutata, indirizzata al governo di sé, le misure di prevenzione e in generale le misure a carattere amministrativo/penale, rivolte alla profilassi sociale, appaiono come la manifestazione di un controllo, latente, pervasivo, il cui fine non è più solo la soggettivazione – degli individui pericolosi -­­ ma (solo) la loro neutralizzazione.

L’uso reiterato di tali misure pare seguire la transizione da una società disciplinare ad una società di controllo. Chi è sottoposto a determinate sanzioni – così come previste nell’ipotesi del Feindstrafrecht e concretamente operanti nei casi di applicazione delle misure di prevenzione – infatti, non è visto come un soggetto da rieducare, ma come l’oggetto di un’azione ”immunizzante”, di difesa della società, da parte del sistema penale445.

444 G. Jakobs, Diritto penale del nemico, in M. Donini-­­M. Papa (a cura di) Diritto penale del

nemico. Un dibattito internazionale, cit., p. 8.

Seguiamo l’evolversi della vicenda: da uno stadio in cui, attraverso l’applicazione delle misure di sicurezza, lo Stato tentava di farsi carico della devianza in un quadro sistemico, cercando di porre in essere un’opera di rieducazione, pur agendo con forti limitazioni della libertà personale, ad uno in cui l’essere deviante, il criminale recidivo viene, attraverso l’uso di misure a carattere preventivo o d’emergenza, semplicemente annullato nella sua esistenzialità, viene cioè neutralizzato sul piano ontologico.

I detenuti di Guantanamo rappresentano plasticamente tale dinamica: non possono definirsi dei normali soggetti di diritto cui è applicata momentaneamente una pena detentiva, né soggetti pericolosi verso cui è in corso però un tentativo di risocializzazione, essi sono semplicemente reclusi, uomini senza dignità, degradati allo stato di cose – non a caso nella pubblicistica è emerso ed è stato utilizzato, infatti, a proposito di questi, il termine enemy aliens. Verso di essi opera un controllo che non ne contempla la dimensione umana, civile: “attraverso l’esame della vicenda Guantanamo è possibile considerare fino a che punto un potere dello Stato, ovvero nel caso in specie l’esecutivo, possa intervenire sulla sfera dei diritti soggettivi in ragione di un fine superiore, come la sicurezza nazionale”446.

Qui il diritto (penale), e in particolare, il sistema di detenzione hanno svolto compiutamente quella funzione simbolica prima richiamata a proposito della teoria della pena come prevenzione-­­integrazione447.

Ma, andando al di là della vicenda Guantanamo, esemplare nella sua eccezionalità, è possibile fare i conti con la natura dei dispositivi di controllo guardando alla normativa prodotta in casa: è il caso della legislazione sul fenomeno dell’immigrazione, tema centrale degli ultimi anni in Italia. In questo campo, paiono realizzarsi tutti i presupposti del

Feindstrafrecht, e, in conseguenza di ciò, viene raggiunto il punto di

446 T. E. Frosini, Lo Stato di diritto si è fermato a Guantanamo, in “Diritto pubblico

comparato ed europeo”, 4, 2005, pp. 1647 e ss.

447 E’ evidente, infatti, come nel caso delle carceri di Guantanamo il tipo di sanzioni ivi

previste, e, in generale, il sistema penitenziario adottato, abbiano generato un precedente pericolosissimo. Ci si domanda altresì quanto una forzatura concettuale, e prasseologica, di così grande peso, rispetto ai principi di uno stato di diritto, possa condizionare in futuro le politiche criminali o essere stata solo un tragico intermezzo nella lotta al terrorismo.

massima operatività delle misure di prevenzione: “Ritroviamo nello statuto dell’immigrato irregolare tutto il bagaglio culturale delle misure di prevenzione, perché anche nei confronti dello straniero lo stereotipo dell’immigrato-­­autore di reati, ed in quanto tale potenzialmente pericoloso, gioca a favore del rafforzamento degli strumenti coercitivi e di allontanamento dal territorio dello Stato. Quel mutamento dallo Stato di diritto allo Stato di prevenzione, evidenziato da molti rispetto alla gestione dei rischi tecnologici ed alla prevenzione del terrorismo, trova una ulteriore conferma anche nel diritto dell’immigrazione”448. Ciò segna ovviamente un

cambiamento, che, partendo dal penale, arriva a toccare l’architettura istituzionale, soprattutto in tema di garanzie e di terzietà dei poteri.

Verificata, dunque, l’assoluta complementarietà di misure – quali quelle di prevenzione – nello schema del Feindstrafrecht, considerata la genesi biopolitica delle misure di sicurezza -­­ operanti sul bios – desideriamo soffermarci ora, seppur brevemente, sul concetto di devianza, sotteso all’intera materia in esame, delle misure di sicurezza/prevenzione. Questo perché il concetto di devianza inerisce quello di pericolosità sociale sviluppato dal positivismo criminologico e trova eco nell’analisi jakobsiana finora sviluppata.

Il concetto di devianza, infatti, è un asse gnoseologico fondamentale nel discorso sulla prevenzione penale (generale e speciale), sulla possibilità che la sanzione si rivolga ad un soggetto indipendentemente dal fatto commesso, per ragioni di profilassi sociale, di controllo, di risocializzazione. Il concetto di devianza è, inoltre, come visto, un termine dal profondo significato biopolitico449.

Occorre però definire la relazione tra soggetto pericoloso e azione deviante. In chiave critica, si è scritto, che “l’azione deviante non può essere considerata come un indice, un sintomo di una personalità deviante, né può

448 M. Pelissero, Il Vagabondo oltre confine. Lo statuto penale dell’immigrato irregolare nello

Stato di prevenzione, in “Politica del diritto”, 2, 2011, p. 279.

449 Cfr., sul concetto di devianza, fra gli altri, T. Pitch, La devianza, Firenze, La Nuova Italia,

1975 e, inoltre, S. Anastasia, Metamorfosi penitenzierie. Carcere pena e mutamento sociale, Roma, Ediesse, 2012.

essere vista di per sé come un segnale di disturbi della personalità, del rapporto con gli altri, di squilibri nello sviluppo, ecc.”450 . Lungo tale

direzione allora la devianza può essere considerata, più che un elemento congenito, appartenente alla struttura ontologica del soggetto, il riflesso di una serie di interazioni tra individuo e prassi sociale. Quasi fosse – lo è? – un elemento sovrastrutturale, la devianza, rispetto alle consuetudini, alle istituzioni, sedimentatesi nel tempo, giuridiche e non.

In questo senso si può affermare che “Ogni individuo compie azioni ampiamente diversificate rispetto al confine norma/devianza; ciò che le diversifica non è per lo più di ordine psicologico o personologico, ma normativo e sociale” 451 . È chiaro come, tali considerazioni possano

benissimo sposarsi con quella, da noi offerta, riguardante la misura di sicurezza quale dispositivo di soggettivazione.

La misura di sicurezza, o per essa qualsiasi misura a carattere amministrativo/penale, nel suo realizzarsi, produce spesso, infatti, o consolida, personalità devianti, produce cioè tipi criminali: è il paradosso del sistema penale moderno, per dirla alla Foucault, un sistema nel quale cercando di regolamentare l’anormale – al fine di rieducarlo/risocializzarlo – lo si rende perfettamente funzionale alla struttura epistemologica del sistema penale stesso.

Tale è anche il paradosso della costruzione teorica jakobsiana: in questa, infatti, il criminale/nemico opera come una funzione imprescindibile per l’ordinamento penale, da un punto di vista euristico e prasseologico.

Occorre quindi aver consapevolezza del nesso inestricabile tra devianza e politiche della devianza: è la logica del sistema (penale) moderno, che, mentre tenta di contenere la conflittualità immanente al piano sociale si serve sovente di questa per modellare nuovi strumenti coercitivi, e nuove soggettività criminali. Ciò pare essere quindi l’esito perverso delle misure

450 G. De Leo, Devianza, Personalità e risposta penale: una proposta di riconcettualizzazione,

in “La Questione criminale”, 1981, p. 224.

di sicurezza/prevenzione: combattere il pericolo correndo però il rischio di (ri)crearlo452.

3. La teoria della colpa in senso funzionale