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Diritto penale classico vs moderno: due paradigmi opposti nello

Emerge però un problema, ovvero quello della (presunta) discontinuità concettuale e prasseologica tra il diritto penale moderno (o contemporaneo), frutto dell’evoluzione dogmatica degli ultimi anni 354 , e al cui centro

starebbe, tra l’altro, secondo certa dottrina, il concetto di pena in senso funzionale e sistemico, e quello tradizionale, classico, che fa capo alla tradizione illuminista (e post-­­illuminista) e che è invece orientato, in riferimento allo statuto della pena, al principio della retribuzione (morale e giuridica). Chiariamo meglio. In verità, anche nel modello penale illuminista trovò spazio e legittimazione una funzione diversa della pena, diversa cioè dalla mera retribuzione: soltanto negli ultimi anni però la dogmatica penale si è orientata (quasi) interamente sul paradigma preventivo occultando le altre funzioni latenti. “Retribuzione e risocializzazione” si è scritto “sono

dunque mere modalità interne di regolazione di uno dei settori della politica criminale. Fondamentale è però sempre – come ho già detto – che il protagonista principale della politica criminale medesima rimanga sempre il legislatore, non il giudice”355. In tal senso “la prevenzione generale è funzione

353 K. Seelmann, Una tendenza attuale nello sviluppo delle teorie della pena in Germania, in

“La questione criminale”, 1981, p. 430.

354 Qui il termine “diritto penale moderno” serba una declinazione particolare, non

canonica. Si tratta cioè di vederlo in antitesi e in contrapposizione al diritto penale della stagione illuminista e postilluminista, definito come classico, le cui categorie – quali quelle di colpa, di pena, etc. -­­ hanno caratterizzato l’evoluzione dogmatica negli ultimi tre secoli. Ciò dunque non significa che il diritto penale della tradizione illuminista sia antimoderno, tutt’altro: esso appartiene, infatti, interamente alla stagione della modernità politica e giuridica. Nel linguaggio penale però è incorso l’uso, in riferimento al diritto penale illuminista e postilluminista, di definirlo come “classico” per contrapporlo proprio al diritto penale di cui discutiamo e frutto della prassi e dell’evoluzione dogmatica degli ultimi anni. Quest’ultimo sarebbe caratterizzato, al suo interno, da una espansione costante dello spettro degli illeciti sanzionati e da una flessibilità rispetto al regime delle garanzie. Cfr. J. M. Silva Sànchez, La expansiòn del Derecho penal, Madrid, Civitas, 2001.

355 M. Romano, Prevenzione generale e prospettive di riforma del codice penale italiano, in F.

della pena legislativamente comminata e giudizialmente irrogata, entro la misura indicata dal legislatore, secondo l’individualizzazione della colpevolezza del singolo fatto”356. Insomma, in riferimento al paradigma

della pena, tale, nella sua dimensione generalpreventiva (cui rimanda il concetto qui discusso di pena come integrazione-­­prevenzione357), si mostra

come modello pratico-­­teorico, “particolarmente adatto a recepire o comunque a coniugarsi con gli aspetti più significativi della modernità penalistica: la spiccata preferenza nei confronti di beni giuridici di carattere universale; la connessa crescente utilizzazione della tecnica di tutela del pericolo astratto; la tendenza a risolvere la contraddizione tra le pressanti aspettative di tutela espresse dalla società ed il progressivo disincanto circa quanto di reale e salutare ci si può aspettare dagli effetti della pena, semplicemente costruendo norme dotate di valenza simbolica; un complessivo fastidio per l’insieme dei principi di stampo classico, ritenuti anacronistici e comunque inadatti a fronteggiare i moderni compiti del diritto penale”358.

Sulla questione dello statuto del diritto penale classico e della sua diversità rispetto a quello attuale, contemporaneo, s’interroga Donini. Si parte da un assunto: “Il diritto penale tradizionale, c.d. classico, soprattutto

nella sua versione liberale idealizzata, che si confonde a tratti col mito

contemporaneo del Kernstrafrecht o, in Italia, del diritto penale minimo, svolge una funzione stabilizzatrice delle condizioni essenziali (non soltanto del minimo etico) per il mantenimento della società e si articola secondo le clausole di un contratto sociale, di un patto sulle libertà. Come tale esso

356 Ibidem. Precisa però l’autore: “La prevenzione generale insomma, indiscutibile quale

teoria della pena in quanto istituzione, è invece inaccettabile se intesa come criterio di commisurazione della pena”.

357 Il concetto di pena sviluppato da Jakobs, nel solco della teoria funzionale, è inquadrabile

assolutamente secondo gli schemi della prevenzione generale. Cfr. L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, cit., pp. 262-­­264.

358 G. De Vero, L’incerto percorso e le prospettive di approdo dell’idea di prevenzione generale

assicura al cittadino l’invalicabilità, da parte dei poteri dello Stato, dei limiti fissati nelle norme incriminatrici”359.

Il diritto penale (classico) della tradizione illuminista è quindi segnato dai caratteri della mitezza (nella risposta sanzionatoria), della tutela del singolo dalla protervia del potere statuale, della retribuzione, e della risocializzazione del reo -­­ quanto questo corrisponda al vero o quanto invece sia frutto di un’autonarrazione rassicurante, lo dimostra la vicenda evolutiva del delitto politico, le sue ininterrotte ri-­­funzionalizzazioni anche in epoca liberale e illuminista360.

Seguendo tale ipotesi di discorso, comunque, il diritto penale della tradizione (classica) presenterebbe delle sue caratteristiche peculiari che lo rendono incompatibile con molte delle espressioni del diritto penale attuale, così come emerge dalla dogmatica funzionalista361 , e dalla prassi

coeva362: esso non può assolutamente rappresentare, infatti, “un fattore

cinetico del progresso sociale. Non solo non lo rappresenta, ma gli è vietato svolgere funzioni di promozione sociale”363. “Di qui” scrive sempre Donini,

“una ravvisata incompatibilità tra il garantismo penale e la

359 M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e

sussidiarietà, cit., pp. 97-­­98.

360 Su tale contraddizione, sempre Donini ricorda come “Il diritto penale storicamente

liberale e non mitico, quello veramente realizzato nelle società dell’Ottocento, era così attento alla tutela delle condizioni essenziali dello status quo, delle sue diseguaglianze, era così poco propulsivo e tanto conservatore, che impediva il mutamento sociale. Esso era, per definizione, un diritto diseguale”. Cfr. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, cit., p. 137.

361 Diamo per acquisito il fatto che la teoria sistemico funzionalista muove all’interno di

quella che abbiamo definito essere come la dottrina penale oggi egemone, ovvero quella della prevenzione generale. Ciò non toglie che alcuni ritengono non assolutamente eguali ma differenti, per vari aspetti, le due teorie, della prevenzione generale e della prevenzione integrazione. Cfr. E. Prieto Navarro, Teorìa de sistemas, funciones del Derecho y control sociale, in “Doxa. Cuadernos de Filosofia del Derecho”, 23, 2000.

362 In tema, afferma Ferrajoli: “Le prassi, si è detto, sono sempre più scadenti delle legalità

formale per quanto dissestata. E in esse tendono sempre a prevalere le ragioni dell’efficienza, unitamente alla facile idea, propria del senso comune autoritario, che la giustizia deve guardare al reo dietro al reato, alla sua pericolosità, dietro alla sua responsabilità, all’identità del nemico più che alla prova dei suoi atti d’inimicizia”. Cfr. L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, cit., p. 727.

363 M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e

funzionalizzazione della norme incriminatrici a scopi di promozione sociale”364.

È evidente, allora, come qualsiasi impostazione dogmatica – d’ispirazione illuminista -­­ si ponga in antitesi proprio con certe forme della penalità contemporanea e in particolare con la teorizzazione jakobsiana sul

Feindstrafrecht: se, secondo quest’ultima, come detto, lo scopo principale

del diritto penale è garantire la fedeltà all’ordinamento giuridico, ed in particolare la tenuta di questo – come visto riguardo ai reati contro la personalità dello Stato, così che la pena “deve intendersi come marginalizzazione del fatto nel suo significato lesivo per la norma e, con questo, come constatazione che la stabilità normativa della società rimane inalterata”365 -­­ lontanissime appaiono invece le istanze del pensiero penale

classico o illuminista, il quale entra in frizione con certa prassi penale contemporanea proprio perché promuove innanzitutto la tutela del singolo -­­ parametro esclusivo dell’azione penale.

Date tali premesse, guardando anche all’analisi jakobsiana sul bene giuridico -­­ Rechtsgut -­­ secondo la quale al centro della tutela penale starebbe la vigenza della norma, non gli interessi della vittima, il

Feindstrafrecht – il quale, come detto, esibisce chiaramente delle continuità

con la tradizione del delitto politico -­­ si mostrerebbe altresì come una manifestazione del diritto penale tardomoderno ovvero un diritto penale securitario e sistemico, rivolto alla tutela delle società complesse, contro autori pericolosi, al contrario del Kernstrafrecht in cui “Struttura e funzione della regola penale, (…) sono complementari nella loro rigidità e in effetti nella loro resistenza ad ogni funzionalizzazione diversa da quella di garanzia”366 (nei riguardi del singolo).

Invero, tale lettura, che identifica due idealtipi differenti ed opposti nel corso della vicenda evolutiva del diritto penale occidentale – uno moderno, contemporaneo e dunque cronologicamente a noi vicino, e uno classico, di 364 Ibidem.

365 G. Jakobs, La Pena Estatal: Significado y Finalidad, cit., pp. 167 e ss.

366 M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e

matrice illuminista e postilluminista -­­ nonostante sia e possa essere fallace come tutte le costruzioni teoriche, troverebbe verificazione non soltanto attraverso l’ipotesi del Feindstrafrecht: esistono infatti altre manifestazioni, a livello teorico e della prassi, di questa transizione, nel corso degli ultimi anni, del diritto penale verso logiche securitarie e sistemiche. Ad esempio, nella categoria di diritto penale moderno (o contemporaneo), possono trovare spazio tutta una serie di reati che “obbediscono a una spiccata o dichiarata idea preventiva”, tali da essere “figure legali che colpiscono condotte intollerabili non in sé, ma per le conseguenze che potrebbero produrre”367 ai fini della tenuta generale del sistema giuridico.

Si è osservata l’importanza che rivestono, nella prassi penale più recente, gli atti preparatori. Anche nei reati associativi, espressione di quello che abbiamo definito essere un diritto penale di lotta – le cui differenze con il diritto penale del nemico sinceramente faticano a trovarsi – si riscontra un certo slittamento – rispetto alla tradizione del diritto penale classico -­­ mettendo tra l’altro in crisi il principio della responsabilità personale nel reato. Tutto questo significa forse che nella attuale filosofia penale e nel diritto che ad essa si ispira, oggi, non residuino più le istanze, i principi, della razionalità giuridica illuminista?

Sarebbe sbagliato affermare che l’intera lezione illuminista e liberale, a proposito della funzione penale, sia stata del tutto dimenticata o liquidata. Indubbiamente degli smottamenti, rispetto a quella tradizione, si sono verificati. In tal senso una interessante lettura è quella che vede parte dell’attuale diritto penale orientato ai parametri del rischio.

Per Prittwitz, infatti, “Le tendenze attualmente più importanti e la condizione presente nel diritto penale e della politica criminale possono essere descritte in modo piuttosto preciso con i due concetti di diritto penale del rischio e di diritto penale del nemico”368. Seguendo la riflessione

del giurista tedesco tra il Feindstrafrecht e il Risikostrafrecht esisterebbe un

367 Ivi, p. 104.

368 C. Prittwitz, Feindstrafrecht, trad. it. “Diritto penale del nemico”, in M. Donini-­­M. Papa (a

rapporto di interdipendenza reciproca: il diritto penale del rischio cioè, espressione di quella Risikogesellschaft teorizzata da Luhmann prima e da Beck poi, serberebbe come possibile effetto proprio la deriva verso un regime di Feindstrafrecht. Ma andiamo con ordine.

Se, secondo Prittwitz, il diritto penale del rischio incarna una svolta, immanente alle logiche del Moderno, nel modo di intendere la funzione penale, “il diritto penale del nemico è, al contrario, la fatale conseguenza, assolutamente da respingere, di un diritto penale del rischio, che si è sviluppato e continua a svilupparsi nella direzione sbagliata”369. Secondo

questa interpretazione il diritto penale del nemico rappresenterebbe il frutto avvelenato di politiche di sicurezza fondate solo sulla logica della prevenzione all’interno delle quali il rischio (del pericolo) diventa un parametro centrale che orienta ogni volta, sistematicamente, le dinamiche dell’intervento sanzionatorio. Ci chiediamo: qual è la ragione profonda del verificarsi di un diritto penale siffatto? Centrale è, nella comprensione del

Risikostrafrecht, l’indicazione, il riferimento, al tipo di condotta punibile.

Scrive sempre Prittwitz: “Se si estende la descrizione allo sfondo politico-­­ criminale del diritto penale del rischio, questo diritto penale del rischio in espansione si caratterizza, inoltre, per il fatto che tipicamente un comportamento non viene criminalizzato perché ritenuto socialmente inadeguato, ma affinchè venga considerato socialmente inadeguato”370.

È chiaro come, anche muovendo da tale prospettiva, sia radicalmente messo in discussione e il principio del fatto e quello della proporzionalità tra delitto e sanzione, dunque lo statuto stesso del diritto penale classico o illuminista: pertanto un comportamento diviene inadeguato e oggetto di repressione penale non solo, ed esclusivamente, per il disvalore giuridico della condotta (e dell’evento), ma finanche per i profili etici che essa nasconde: “ciò non è contestato quasi da nessuno con riferimento ad ampi settori del diritto penale dell’ambiente, ma può essere verificato anche nel

369 Ibidem. 370 Ivi, p. 149.

diritto penale economico, e conduce ad una rivitalizzazione della fiducia nella forza moralizzatrice del diritto penale”371.

Per tale ragione nel Risikostrafrecht, così come rilevato nel

Feindstrafrecht, il pericolo è che si ricada sistematicamente in un regime

giuridico orientato eticamente, in cui la pena – da strumento retributivo e di risocializzazione -­­ diventa un mezzo per imporre un determinato assetto di valori etico-­­sociali.

Sia chiaro: abbiamo visto, parlando del Gesinnunsstrafrecht, quanto tale condizione di promiscuità tra la funzione penale e le logiche della morale sia inscritta nella dinamica giuridica moderna, e che lo Stato di diritto non sempre è riuscito a contenere; il Risikostrafrecht ed il Feindstrafrecht altro non sarebbero che un’accentuazione di tale promiscuità, incarnando degli stadi terminali di una tendenza – repressiva, antiliberale, securitaria -­­ che ha radici lontane e che ha segnato il giuridico nella modernità.

In quest’ottica, e in riferimento sempre al Risikostrafrecht, quest’ultimo incarnerebbe allo stesso modo del diritto penale del nemico, l’espressione di un mutamento: da un regime di garanzie – il diritto della tradizione liberale e illuminista -­­ si sarebbe passati ad una forma di dominio372 della

371 Ibidem.

372 Sul diritto penale del rischio, sulla sua razionalità giuridica, si trattiene anche Donini

che scrive “Il rischio, nozione per lungo tempo solo dottrinale, o sociologica, caratterizza invece il disvalore oggettivo dell’azione (più che dell’evento) presente in reati di mera condotta come in reati di evento, ovvero la tendenza, non necessariamente illecita, di un’attività consentita (es. circolazione stradale), o di un’organizzazione sociale (es. impresa) a produrre eventi dannosi o pericolosi. (…) Il rischio tende ad essere un pericolo che dipende da una decisione dell’uomo, e che quindi può essergli imputato, laddove il pericolo in genere tende ad attrarre nella spiegazione fattori ed eventi naturali sopravvenuti e non governabili se non operando sulle decisioni a monte, relative alla creazione o gestione delle fonti di pericolo, e alle posizioni di garanzia e controllo che le concernono. (…) Il rischio non si può neutralizzare, ma solo disciplinare e ridurre. Le regole cautelari che lo riguardano, pertanto, sono spesso regole cautelari improprie, come tali destinate solo a contenerlo: mentre le regole cautelari proprie hanno per oggetto l’evento, il cui pericolo va neutralizzato ed eliminato, le regole cautelari improprie hanno per oggetto il rischio, che deve essere il più possibile ridotto, mentre il pericolo e l’evento rimangono più sullo sfondo della tutela preventiva. (…) Ecco, questo (in parte pienamente dispiegato) diritto penale del rischio, che genera un’esplosione di funzioni preventive in capo economico- ­­sociale, di tutela della sicurezza collettiva, che vuole rispondere a un bisogno di assicurazione del nostro futuro, ma appunto con i mezzi del diritto penale, sembrerebbe pienamente coerente con l’idea di un sistema punitivo orientato allo scopo, con un uso politico del diritto penale quale strumento per il raggiungimento di obiettivi di controllo e di delimitazione di rischi socialmente gravi nelle loro potenzialità cumulative”. Cfr. M.

ragione strumentale, della tecnica, sulla individualità, sulla persona, sui valori che questa rappresenta373.

Indubbiamente ciò può essere vero. Occorre però capire, e fino in fondo, quanto un differente statuto concettuale della pena assuma un peso in tale mutamento, nell’inversione cioè – nei principi della tutela penale -­­ del valore della tecnica rispetto a quello della persona – insomma nel passaggio, nell’universo penale, dal paradigma classico a quello moderno. Il dilemma pare orientarsi su un punto: la pena deve garantire i diritti (dei singoli) o proteggere l’ordinamento (nel suo complesso), e la società cui esso si conforma374?