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Il passaggio alle misure di prevenzione Da una società disciplinare

2. Sorvegliare il nemico Per una analisi biopolitica delle misure d

2.3 Il passaggio alle misure di prevenzione Da una società disciplinare

Riconosciuta, dunque, la genesi governamentale delle misure di sicurezza – le quali “sono protese verso il recupero etico-­­sociale dell’individuo pericoloso, perché (…) esso torni ad essere un soggetto normale”438 -­­, ad

esse, per una comprensione generale del fenomeno, devono accompagnarsi, nell’analisi, le cosiddette misure di prevenzione, cui si è accennato, quali disposizioni, di carattere amministrativo, assimilabili, in un certo qual modo, al tipo delle misure di sicurezza.

Grande interesse hanno tali disposizioni, ai fini della nostra riflessione: in relazione a queste “è invero pressochè unanime in dottrina l’opinione che, nonostante la loro denominazione formale di misure di prevenzione, le tradizionali misure c.d. personali (…) non siano mai riuscite a sortire un effetto autenticamente preventivo/rieducativo; anzi, di fatto esse sono state non di rado utilizzate come strumento di controllo sociale di tipo sostanzialmente repressivo”439.

Qui, nel campo delle misure di prevenzione, pare verificarsi concretamente l’ipotesi prevista da Jakobs con la teorizzazione del

Feindstrafrecht; nondimeno anche disposizioni, quali le misure di

prevenzione, il cui fine non è la rieducazione – quindi la disciplina -­­, ma soltanto la repressione, s’inscrivono in una logica metagiuridica, direbbe Deleuze “immanente” alle società del controllo. Ma andiamo con ordine.

Anche nelle misure di prevenzione, come si è osservato, opera il principio della pericolosità sociale che conduce a quell’attraversamento del “giuridico” rispetto alla dimensione del bios, della vita, caratteristica fondante delle misure di sicurezza e, in generale, della categoria di dispositivo. Invero, rispetto alle misure di sicurezza, non sussiste alcuna ipotesi di una loro sussunzione nello schema generale delle pene: “Esse hanno come caratteristica peculiare di essere applicate indipendentemente

438 G. Bettiol, Aspetti etico--­politici delle misure di sicurezza, cit., p. 523. 439 G. Fiandaca--­E. Musco, Diritto penale. Parte generale, cit., pp. 840 e ss.

dalla commissione di un precedente reato, onde la denominazione di misure ante o praeter delictum, è questa caratteristica che le distingue dalle misure di sicurezza, applicabili (…) ai soggetti socialmente pericolosi che abbiano già commesso un reato”440.

Se nelle misure di sicurezza ben resiste un principio di legalità – sebbene si tratti di un principio di legalità generico, ove nel sistema delle pene opera, invece, un principio di legalità specifico -­­ tale da renderle disposizioni con un (seppur parziale) ancoraggio a parametri legalistici determinati, nelle misure di prevenzione si agisce secondo un mero criterio funzionalistico: garantire la difesa della società dall’attacco di soggetti pericolosi.

Il fine, dunque, di misure che sono esclusivamente a carattere amministrativo – anche se una evoluzione in senso giurisdizionale si è avuta, in materia, negli ultimi anni -­­ è solo quello del controllo e della profilassi sociale. Scrive Deleuze a proposito dello statuto di tali nuovi dispositivi (appartenenti alla società del controllo): “Le reclusioni sono modelli-­­stampi, delle distinte modellature, mentre i controlli sono una modulazione, come una modellatura auto-­­deformante, che si modifica continuamente, da un’istante all’altro”441.

Facendo nostra tale lettura vediamo come le misure di prevenzione possano ben rappresentare dei dispositivi di controllo, serbando una maggiore elasticità rispetto allo schema delle misure di sicurezza – e ovviamente rispetto a quello della pena. Non è un caso quindi che tali misure – di prevenzione – siano adottate contro classi di soggetti considerati esclusi, privi di diritti, senza parte: nemici dell’ordinamento

440 Ibidem.

441 G. Deleuze, Politica: controllo e divenire -­­ Poscritto sulle società del controllo, in

Pourparler, Macerata, Quodlibet, 2000, p. 236. Qui l’analisi del filosofo francese verte sul mutamento di paradigma, avvenuto negli ultimi anni: “Nelle società disciplinari non si faceva che ricominciare (dalla scuola alla caserma, dalla caserma alla fabbrica), mentre nelle società di controllo non si finisce mai con nulla, in quanto l’impresa, la formazione, il servizio sono gli stati metastabili e coesistenti di una stessa modulazione, di uno stesso deformatore universale”. Anche la sanzione diventa un trattamento estendibile all’infinito, attraverso particolari misure a carattere preventivo.

verso cui adottare tecniche pervasive di controllo e di neutralizzazione, facilmente modulabili secondo le varie esigenze di prevenzione442.

“Quanto alle tipologie soggettive di pericolosità” scrivono Fiandaca e Musco, cui nel disegno iniziale erano indirizzate le misure di prevenzione, “la legge del ’56 originariamente contemplava cinque categorie di destinatari, fondamentalmente ricalcanti – a loro volta – le tipologie di vecchio stampo già menzionate nel testo unico di pubblica sicurezza del 1931, e cioè: oziosi e vagabondi; soggetti dediti a traffici illeciti; proclivi a delinquere; sospetti sfruttatori di prostitute o contrabbandieri o trafficanti di sostanze stupefacenti; soggetti abitualmente dediti allo svolgimento di attività contrarie alla morale pubblica o al buon costume”443.

Nella elencazione delle tipologie criminali emerge dunque, fin dall’inizio, quello stigma – di carattere antropologico – in virtù del quale l’azione penale/amministrativa tende non in funzione rieducativa, disciplinare, ma, al contrario, è rivolta soltanto alla mera neutralizzazione.

Ecco allora che, con l’emersione delle misure di prevenzione, i dispositivi di disciplina incarnati dalle misure di sicurezze, transitano verso forme nuove e diverse, di controllo: il dna delle misure rimane in parte inalterato (la base rimane la pericolosità), quello che cambia è il sostrato teleologico delle stesse.

Abbiamo discusso all’inizio delle misure di sicurezza, nella prospettiva di una loro “incardinabilità” nello schema del Feindstrafrecht, verificando al tempo la loro natura di dispositivi. Invero è nel campo delle misure di prevenzione – in maggior grado rispetto a quelle di sicurezza -­­ che la costruzione teorica jakobsiana pare trovare completa concretizzazione, realizzandosi cioè sul piano dell’effettività giuridica. Scrive, infatti, Jakobs: “Pertanto, in luogo di una persona, che in quanto tale ha una propria competenza e la cui azione si contraddice mediante l’irrogazione della pena, appare l’individuo pericoloso, avverso il qual si procede (…) in maniera

442 Cfr. L. Re, Carcere e globalizzazione. Il boom penitenziario negli Stati Uniti e in Europa,

Roma-­­Bari, Laterza, 2011.

fisicamente effettiva: si tratta di una lotta contro un pericolo, in luogo di una comunicazione; è diritto penale del nemico (…) invece che diritto penale del cittadino, ove il termine Diritto ha nelle due espressioni un significato chiaramente differente”444.

Così si esprime il giuspenalista di Bonn in riferimento alle misure di sicurezza (art. 61, n. 3 e 66 StGB) previste nell’ordinamento tedesco: in realtà a noi pare che, al di là delle misure di sicurezza, le misure di prevenzione – prive per molto tempo di quelle garanzie appartenenti al campo delle misure di sicurezza e, in generale, delle pene -­­ realizzino compiutamente quella dimensione preventiva, di annichilimento sociale prevista dal Feindstrafrecht.