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Uno sguardo sulla crisi dell’illuminismo penale: la caduta del

Nel nostro, come in altri ordinamenti, si segnala dunque la presenza di norme che, direttamente o indirettamente, ponendosi assai lontane dal modello garantista e liberale, presentano uno schema volto alla neutralizzazione del soggetto autore il quale, in alcuni casi, è considerato addirittura alla stregua di un nemico.

Trattando, sotto vari aspetti, la questione degli atti preparatori, dei reati associativi, e più in generale dei delitti contro la personalità dello stato, ciò

che è emerso, da un lato, è l’indiscutibile promiscuità, in certi settori del sistema giuridico, tra politica diritto e morale331, che condiziona lo statuto

di numerosissime disposizioni, dall’altro la tendenza, di parte della dottrina, a considerare tale promiscuità come fisiologica rispetto all’orditura generale del sistema medesimo.

Anche la prestazione jakobsiana sul Feindstrafrecht, nella sua pretesa di dare veste giuridica all’ostilità all’altro, per tale ragione, può apparire come una deviazione teorica sostenibile. Abbiamo osservato, infatti, come proprio l’universo penale, per sua storia e natura, conosca partizioni particolari, sottosistemi, all’interno dei quali il dispositivo sanzionatorio è rivolto non verso cittadini responsabili (del reato), ma bensì verso individui pericolosi, con lo scopo di reprimerli332.

La logica del sottosistema – cui il diritto penale del nemico s’ispira -­­ ha profondamente segnato e segna tuttora lo strutturarsi dell’ordinamento penale. In tal senso un ruolo fondamentale l’hanno avuto “l’espansione crescente del ruolo giudiziario di fronte ai mutamenti del sistema politico e al manifestarsi di forme di criminalità organizzata che sfuggono ai parametri della stretta legalità; la vocazione congenita del potere punitivo – legislativo e giudiziario – ad espandersi in forme assolute oltre i limiti stabiliti dalle norme che lo regolano”333.

Facendo riferimento alla nostra analisi i reati associativi e in generale lo spettro dei delitti politici incarnano uno dei crocevia più importanti di tale tendenza: il cristallizzarsi cioè, all’interno del sistema penale, di un ordinamento nell’ordinamento rivolto ai parametri della prevenzione e 331 Come visto il paradigma del diritto penale del nemico si fonda proprio su tale

promiscuità (tra diritto politica e morale). Cfr. sul tema in particolare J. Habermas, Recht und Moral, trad. it. Morale, Diritto, Politica, Torino, Einaudi, 2007.

332 Tale tendenza origina, come detto, dalla tradizione dei Crimina laesae maiestatis. Cfr. M.

Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, cit.

333 L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, cit., p. 727. Scrive l’autore (p.

796): ”Né è risultata una divaricazione del nostro sistema punitivo (…): da un lato il diritto penale e processuale ordinario, (…); dall’altro un diritto penale e processuale amministrativo, di competenza in gran parte della polizia ma in parte anche della magistratura e comunque dominato da forme di ampia discrezionalità amministrativa”. In tal senso, si è parlato, a proposito del Feindstrafrecht, proprio di amministrativizzazione della funzione penale.

della repressione, rivolto cioè a soggetti ritenuti nemici e non semplici cittadini che delinquono. Il problema è che oggi tali manifestazioni, securitarie, repressive, tendono ad espandersi caratterizzando gran parte del campo penale nel senso di una sua regressione generale.

Tutti nemici, dunque? Ovviamente sarebbe sbagliato e semplicistico affermare ciò. Discutere della pena, allora, a livello giusfilosofico, riveste una importanza fondamentale: la pena è, da sempre, uno dei punti di massima tensione tra visioni opposte, liberali o sociali, democratiche o autoritarie: esiste infatti un legame stretto tra la rappresentazione generale, a livello giuridico e politico, di un ordinamento, e il modo attraverso cui viene trattata la pena334. Insomma si può senza dubbio

tracciare, partendo dal concetto di pena, una filosofia giuridica e ripercorrerne le vicende istituzionali.

A tal proposito si è scritto che “Una riflessione sul significato filosofico della pena dovrebbe riguardare innanzitutto le ragioni per le quali i gruppi umani stabilmente organizzati ricorrono, senza eccezioni, a pratiche di carattere penale. Si tratterebbe cioè di indagare sulle ragioni profonde che dall’antichità più remota come nel mondo moderno, hanno indotto e continuano a indurre i gruppi sociali ad imporre ad alcuni loro membri, in forme rituali e collettivamente condivise, sofferenze fisiche o psichiche, torture e mutilazioni fino al limite della soppressione della loro vita”335.

In virtù di questo, ci misureremo, con la necessaria prudenza che si deve quando si affrontano questioni di carattere così complesso, con alcuni degli aspetti inerenti il problema della pena336, consapevoli della sua importanza nel quadro di una lettura metagiuridica del sociale, partendo ovviamente dalle considerazioni sviluppate in merito da Jakobs ma allargando il discorso a quella che pare essere una tendenza radicata, sedimentatasi 334 “Si può dire che vi è un interesse filosofico-­­giuridico, nel porre la questione della pena,

quando gli argomenti ad essa inerenti assumono una dimensione a carattere universale. In questa direzione, il concetto di punire rinvia alla rappresentazione della dignità della persona soggetta alla pena, oltre che di quella lesa: perché punire? Qual è l’obiettivo fattuale della punizione? Qual è la sua relazione essenziale con il diritto?”. Cfr. L. Avitabile, Riflessioni per una “filosofia della pena”, in “Archivio penale”, 1, 2015.

335 D. Zolo, Filosofia della pena e istituzioni penitenziarie, in “Iride”, 1, 2001, p. 47. 336 G. Bettiol, Il problema penale, Trieste, Editrice Scientifica Triestina, 1945.

negli ultimi anni, che coinvolge il diritto occidentale-­­europeo 337 ; tale

tendenza si specchia, a livello generale, nella crisi dell’illuminismo penale, nella caduta (parziale) dei suoi principi e dei suoi valori.

Sulla questione dell’illuminismo, della sua natura penale come della sua contestualizzazione storico-­­istituzionale, occorre chiarirsi. Sul punto, nota Ippolito: “Illuminismo è una parola relativamente recente. Affermatasi nel lessico storiografico a partire dal tardo Ottocento, essa denota il grande e composito movimento culturale che si sviluppò, lungo il corso del XVIII secolo, all’insegna del rifiuto del principio di autorità, della critica della tradizione e della libera ricerca intellettuale in ogni sfera dello scibile. La classica e icastica definizione kantiana dell’Illuminismo come uscita dell’uomo dallo stato di minorità ne coglie pienamente la radicale carica emancipatrice, connettendola alla valorizzazione dell’uso autonomo della ragione”338.

Sul piano giuridico, tale carica emancipatrice si è tradotta in una serie di principi – tra i quali quelli della certezza della pena, della personalità della responsabilità penale, del diritto ad un processo equo e giusto -­­ che hanno codificato il diritto di punire negli ultimi tre secoli. La tesi, intorno alla quale muoveremo, è che alcuni di questi principi vivono oggi, nel nostro presente confuso, un profondo stato di crisi in ragione non solo ovviamente della costruzione teorica jakobsiana, che si inserisce in un preciso filone interpretativo e dogmatico – il funzionalismo339 -­­, ma anche (e soprattutto)

a causa delle numerosissime discrasie presenti nell’attuale sistema giuridico penale.

Prendiamo la questione relativa allo scopo della pena, in riferimento all’oggetto della tutela: qual è la relazione che si sviluppa (o che dovrebbe

337 Esiste tutta una letteratura sulla crisi dell’Occidente, entro cui sta anche e si sviluppa la

crisi del diritto penale occidentale. Cfr. sul tema G. Preterossi, L’Occidente contro se stesso, Roma-­­Bari, Laterza, 2004.

338 D. Ippolito, Diritti e Potere. Indagini sull’Illuminismo penale, Roma, Aracne, 2012, p. 11. 339 Cfr., sul funzionalismo penale, J. A. Garcìa Amado, Dogmàtica penal sistemica? Sobre la

influencia de Luhmann en la teorìa penal, in “Doxa. Cuadernos de filosofia del derecho”, 23, 2000.

svilupparsi) nei nostri ordinamenti tra bene giuridico e dispositivo sanzionatorio?

Come riferito all’inizio, se, nella considerazione generale340, prevale il dato

che “Il reato è una minaccia all’integrità e alla stabilità sociale in quanto esso è l’espressione simbolica di una mancanza di fedeltà al diritto”341

allora, inevitabilmente, la pena viene vista più che come strumento in difesa del singolo, nella sua duplice veste di vittima ma anche di colpevole (da garantire sempre e comunque, nel corso del processo sanzionatorio), come “una espressione simbolica contraddittoria rispetto a quella rappresentazione del reato. Come strumento di prevenzione positiva” tendente “a ristabilire la fiducia e a consolidare la fedeltà all’ordinamento giuridico, prima di tutto nei terzi e, possibilmente, anche nell’autore della violazione”342.

La pena, lungo tale traiettoria teorica, perde così gran parte del suo significato originario – inerente il suo valore retributivo343 – come previsto

nel disegno illuminista. Essa, al contrario, secondo parte della scienza penale moderna, tra cui la corrente dottrinaria d’indirizzo funzionalista-­­ sistemico – cui Jakobs appartiene -­­, provvederebbe solo a consolidare il sistema sociale, entro il quale l’ordinamento giuridico opera ed agisce come 340 Come vedremo, il paradigma preventivo, sembra ritagliarsi, al di là di Jakobs, un ruolo

egemone all’interno delle teorie penali contemporanee. Cfr. F. Stella-­­M. Romano (a cura di) Teoria e prassi della prevenzione generale dei reati, Bologna, Il Mulino, 1980.

341 A. Baratta, Integrazione-­­prevenzione. Una nuova fondazione della pena all’interno della

teoria sistemica, cit., p. 7.

342 Ibidem.

343 Sulla crisi del paradigma retributivo cfr. R. Marra, M. Pavarini, E. Villa, La codificazione

impedita, Alcune osservazioni in tema di nuovo diritto penale e funzione della pena, in “La Questione criminale”, 1981. In particolare, dove si legge (pp. 268-­­269): “E nel definitivo superamento della ragione contrattuale nel diritto, come espressione un tempo reale e niente affatto ideologica di determinati e specifici rapporti economici-­­sociali, sta di riflesso la crisi del principio della pena retributiva. Crisi che è poi una morte senza speranze di resurrezione”. Dunque, in tal senso “a perdere è il contratto, la forma giuridica principe dell’autonomia del sociale nei confronti della coercizione che regna nell’universo della produzione. E nella misura in cui il contratto perde, è la disciplina a trionfare. È la società disciplinare che si estende, che opera al di là del contratto: infatti il potere delle discipline non trova più nella reciprocità il suo limite. Questo processo di superamento del limite contrattuale nel rapporto punitivo viene così a tradursi in una pluralità di strategie differenziate nella pratica del controllo sociale, pluralità questa non più riconducibile ad unità in quanto queste diverse strategie sono teleologicamente orientate a scopi tra loro diversi e comunque sempre particolari”. Osserveremo come ciò si produca concretamente, con l’emersione delle misure di sicurezza/prevenzione.

una parte del tutto. Quello che entra in crisi, quindi, in una tale elaborazione – comune a Jakobs e ad altri nella penalistica contemporanea344 -­­, è gran

parte dell’impianto assiologico sotteso al pensiero penale illuminista. Scendiamo più nel dettaglio. Uno dei principi -­­ appartenente proprio alla tradizione illuministico/liberale – che più soffre a contatto con prestazioni teoriche quali quella jakobsiana e con certa prassi securitaria è, come visto, il principio della proporzionalità tra delitto e sanzione. Alla base di tale principio345, lo rammentiamo, vi è la necessità di ristabilire una simmetria,

un (ri)equilibrio tra il singolo che delinque e la vittima dell’azione delittuosa: il principio di proporzionalità così inteso, fondato sul fatto di reato, rappresentò un principio cardine della dottrina penale illuminista, che da Filangieri a Beccaria, da Grozio a Kant, sostenne l’ancoraggio della sanzione a parametri retributivi e rieducativi346.

Per Beccaria, infatti, “fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso. (…) Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e il metodo d’infliggerle deve esser prescelto che, serbata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, la meno tormentosa sul corpo del reo” 347 . Allargando il campo d’analisi, fu

344 Scrive Baratta: “Mi sembra evidente che la teoria della prevenzione-­­integrazione è una

teoria funzionale al movimento attuale di diffusione del sistema penale e di incremento di esso tanto relativamente all’estensione che all’intensità della risposta penale. La relazione che si stabilisce, attraverso questa teoria, tra la scienza sociale e la tecnica giuridica è una relazione di tipo tecnocratico. La teoria sistemica è infatti una teoria che indica le condizioni di stabilizzazione dei sistemi sociali attraverso il diritto. In quanto tale essa è utilizzata da Jakobs, e da altri rappresentanti della teoria della prevenzione-­­integrazione, tanto in funzione tecnico-­­giuridica che in funzione politico criminale”. Cfr. A. Baratta, Integrazione-­­prevenzione. Una nuova fondazione della pena all’interno della teoria sistemica, cit., pp. 17-­­18.

345 In riferimento al principio proporzionalistico, si è scritto: “l’idea proporzionalistica

costituisce pertanto il momento unificatore dell’intero processo di razionalizzazione del diritto penale borghese, vale a dire della sua possibilità di codificazione. Infatti, nella realizzazione storica dell’idea della proporzionalità tra reato e pena, possono trovare pratica attuazione i grandi ideali – ovvero necessità politico-­­economiche della nuova classe – in tema di rapporti tra autorità e autonomia dei privati (dei proprietari)”. Cfr. R. Marra, M. Pavarini, E. Villa, La codificazione impedita, Alcune osservazioni in tema di nuovo diritto penale e funzione della pena, cit., p. 264.

346 Cfr. M. A. Cattaneo, Pena Diritto e Dignità umana, cit. 347 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, cit., p. 78.

Montesquieu che, tra i primi, teorizzò in maniera sistematica il principio di proporzionalità: “dal rapporto di equità per cui al male causato deve corrispondere il patimento di uno stesso male, Montesquieu”, scrive Ippolito, “inferisce i principi normativi di omogeneità e proporzionalità delle pene rispetto ai delitti”348. In questo senso la costruzione filosofico

giuridica del pensatore francese procede secondo rigidi schemi speculativi al di là dell’interpretatio tradizionale: suo obiettivo è la ricerca di costanti determinate del pensiero e della prassi giuridica.

Al contrario oggi, sovente, ci si muove, a livello dogmatico (e della prassi giuridica), al di là del principio di proporzionalità, al fine di legittimare (giuridicamente) ogni azione tesa a neutralizzare l’altro – pensiamo nuovamente alla figura del terrorista -­­ quale fonte di pericolo. Ecco allora che, in una riflessione che voglia interrogarsi sui particolari mutamenti occorsi nello statuto ontologico del diritto penale, durante gli ultimi anni, sulla sua transizione da un modello teorico fondato sulla tutela della persona ad uno sistemico, basato cioè prevalentemente sulla difesa della società, è necessario partire, primariamente, dal concetto di pena.

In tal senso è assai significativo come Jakobs, nel corso dei suoi studi, poco o nulla riservi della sua attenzione all’opera di Montesquieu o di Beccaria 349 . Indubbiamente tale disattenzione può leggersi come un

superficiale rifiuto della tradizione penale illuminista, giustificato in parte dal fatto che tale tradizione, agli occhi di Jakobs e dei penalisti della scuola sistemica, si mostra come (in parte) inadatta rispetto alle esigenze del diritto penale nella modernità. “La filosofia penale dell’Illuminismo” afferma, infatti, Jakobs, “è una teoria cui manca un fondamento normativo;

348 D. Ippolito, Diritti e Potere. Indagini sull’Illuminismo penale, cit., pp. 53 e ss.

349 Nel corso del suo lavoro sulla pena statuale (Staatliche Strafe) è interessante notare

come Jakobs citi, anche sommariamente, le tesi di Seneca, Grozio, Pufendorf, Hobbes, Locke, Kant, Grolman, Feuerbach, Hegel, Wolff, Bentham, dimenticando del tutto, o quasi, quelle appartenenti a Montesquieu e a Beccaria. Cfr. G. Jakobs, Staatliche Strafe: Bedeutung und Zweck, cit. Qui si farà riferimento alla versione spagnola del saggio G. Jakobs, La Pena Estatal: Significado y Finalidad, in M. Cancio Melià-­­B. Feijoo Sànchez (a cura di), Cuadernos Civitas, Madrid, 2006.

le sue dottrine della pena derivano da regole di prudenza; si occupano della Natura, non del diritto come Idea”350.

La critica muove sul fatto che l’illuminismo si presenterebbe più come un’antropologia -­­ il cui obiettivo, la cui missione, consisterebbe, attraverso la leva penale, in un miglioramento generale della natura umana -­­ piuttosto che presentarsi come una filosofia del diritto, dunque una reale analisi sulle condizioni della giuridicità. Se quindi appare necessario – secondo Jakobs – ricostruire dogmaticamente lo schema del reato e in esso il concetto di pena, bisogna (ri)partire non dall’eredità illuminista ma dalla riflessione hegeliana. È nella tradizione di studi hegeliani che emerge quel significato simbolico di ri-­­stabilizzazione sociale e normativa che l’individualismo moderno – di matrice liberale e illuminista – non riesce a cogliere discutendo della funzione penale351.

In virtù di ciò, si può allora riconoscere: “Gesellschaft ist normative Verstandigung. Normen spielen eine Kostitutive Rolle bei der gesellschaftilchen Struktur”(La società è una costruzione normativa. Le norme svolgono un ruolo costitutivo nella struttura sociale) 352 . Le

riflessioni jakobsiane sul concetto di pena seguono quindi tutta una linea interpretativa, parto della dottrina giuridica tedesca con chiare ascendenze hegeliane.

Se, infatti, la genesi teorica di tale pensiero -­­ l’idea della pena come

prevenzione con finalità di integrazione -­­, “è dato dalla teoria dei sistemi”,

nondimeno, “Alla luce dell’attualità di questa teoria, può meravigliare il fatto che già nella prima metà del XIX secolo nella teoria della pena di Hegel

350 G. Jakobs, La Pena Estatal: Significado y Finalidad, cit., p. 97.

351 Al di là di tutto, scrive Seelmann in riferimento alle ambiguità della critica dei principi

illuministici “se si restasse all’immagine, ancor oggi diffusa, dell’illuminismo ridotto al razionalismo e circoscritto all’utilitarismo, allora vi sarebbe poco da aggiungere a obiezioni del genere. La distanza temporale dal XVIII secolo lascia tuttavia apparire in diversi punti molto più complessa la nostra odierna immagine dell’illuminismo penale”. Cfr. K. Seelmann, Le filosofie della pena di Hegel, Milano, Guerini e associati, 2002.

352 M. Polaino Navarrete, Die Funktion der Strafe beim Feindstrafrecht, in Festschrift fur

si trovi una combinazione di elementi relativi allo scopo e di elementi relativi all’autonomia”353.

1.2 Diritto penale classico vs moderno: due paradigmi opposti nello sviluppo