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La critica dello spazio in Italia

Nell’esaminare quanto è stato prodotto dalla critica in Italia sull’argomento dello spazio letterario occorre partire da una distinzione di fondo tra studi di critici italiani su romanzi stranieri e contributi dedicati da studiosi italiani a romanzi italiani. Se nel primo caso si fa riferimento ad una produzione non vasta ma certamente di buon livello, nel secondo caso non si può fare a meno di notare l’insufficienza del materiale critico reperibile a fronte di una tradizione complessa come quella italiana. I lavori dedicati agli aspetti spaziali delle opere sono ancora troppo pochi e quelli esistenti spesso affrontano il discorso da prospettive assai limitate e particolari; manca ad esempio un “atlante” del romanzo italiano così come una classificazione enciclopedica di tutti i luoghi romanzeschi del Novecento italiano. Gli studiosi che si muovono in ambiti diversi dall’italianistica, forse per l’influsso esercitato dalle teorie elaborate dalla critica anglosassone e francese, dedicano invece una maggiore attenzione al problema dimostrando in ogni caso di aver acquisito la consapevolezza della sua centralità nel dibattito teorico contemporaneo.

Uno dei primi studi sullo spazio letterario è Lo spazio narrante (1978) dell’anglista Ginevra Bompiani che, pur rifacendosi in modo generico a Jurij Lotman nella prefazione, propone una definizione non troppo precisa di spazio narrativo inteso come «non solo il luogo in cui avvengono i fatti narrati, ma il luogo d’incontro fra voce narrante e desiderio di ascoltare»59. Il lavoro si articola in un trittico dedicato alle autrici di lingua inglese Jane Austen, Emily Brontë, Sylvia Plath, nell’opera delle quali si ricercano le immagini spaziali e gli archetipi dominanti che sono rispettivamente il labirinto, l’aldilà e la rivisitazione delle

figure del mito. Le analisi però risentono negativamente di un certo psicologismo e di un’attenzione eccessiva per la biografia delle scrittrici ed il “milieu” in cui nascono le opere.

Procedendo secondo un ordine cronologico all’inizio degli anni Ottanta merita un cenno il saggio di Cesare Segre Fuori del mondo (1981) in cui le analisi spaziali sono uno strumento per approfondire i modelli semiotici della follia e delle immagini dell’aldilà attraverso la letteratura del Medioevo e dell’età moderna fino ai nostri giorni. Il ruolo ricoperto dallo spazio è diretta conseguenza degli interessi di Segre, che si estendono dalla semiotica all’antropologia culturale per dimostrare il legame inscindibile che unisce la capacità di rappresentazione umana alla “datità” materiale del mondo. Da questo punto di vista, lo spazio letterario non è l’argomento né il fine ultimo della ricerca del teorico, che si muove a proprio agio in un panorama che va dalla Commedia dantesca ai viaggi allegorico-didattici del XV secolo fino al Novecento, per poi tornare ad approfondire i vari tipi di “follia” raffigurati nelle opere letterarie del Medioevo, nella satira ariostesca e nella novella El licenciado Vidriera di Cervantes. Segre basa le proprie considerazioni su una mole enorme di fonti, alcune delle quali non propriamente letterarie; particolarmente agile ed interessante risulta la prima parte dell’opera, in cui si passano in rassegna gli schemi epistemici, archetipici e storici che sovrintendono all’invenzione dell’altro mondo.

Nel 1988 esce un’opera di grandi proporzioni, in due tomi, intitolata Dimore narrate. Spazio immaginario nel romanzo contemporaneo, curata da Carlo Pagetti e Gianfranco Rubino, nella quale sono raccolti numerosi interventi dedicati allo spazio raffigurato nei romanzi di area francese ed anglofona che abbracciano la letteratura americana, africana ed australiana. I testi analizzati si situano preferibilmente nella fascia cronologica compresa tra le due guerre mondiali, e i

saggi si incentrano in particolare sul tema della dimora in modo da garantire una certa omogeneità ad un corpus così ampio.

Il lavoro di Pagetti e Rubino, corredato tra l’altro da una bibliografia quasi completa sullo spazio letterario divisa per nazioni, è il frutto di anni di collaborazione tra i due studiosi, a quei tempi entrambi docenti presso la Facoltà di Lingue dell’Università di Pescara. La presenza nei due volumi di contributi che trattano letterature “minori” ed autori poco conosciuti così come l’attenzione costante per la scrittura femminile testimoniano la vivacità delle ricerche sulle tematiche spaziali nei settori più aperti ed “esterofili” della nostra critica letteraria.

Anche Franco Moretti, fine studioso del romanzo europeo, affronta in un libro intitolato Atlante del romanzo europeo 1800-1900 (1997) il rapporto tra il romanzo e lo spazio in cui esso è ambientato. Moretti ricorre alla geografia come ad uno strumento di analisi attraverso il quale sono dedotte le informazioni necessarie ad inquadrare le opere in un determinato contesto storico. Mettendo la propria formazione marxista al servizio di un forte interesse per la storia culturale europea tra Otto e Novecento il critico costruisce vere e proprie “carte” del romanzo; osservando i percorsi e le configurazioni spaziali così ricavate, è possibile risalire alle ragioni di ordine culturale e stilistico che determinano l’ambientazione di un testo in un luogo anziché in un altro. Ad esempio la scelta di Jane Austen di rappresentare nei romanzi un’area corrispondente alle contee dell’Inghilterra centrale, dimenticando la “periferia celtica” costituita da Galles, Cornovaglia, Scozia ed Irlanda appare strettamente connessa alla nascita dello “stato nazione”, mentre il genere picaresco veicola l’immagine di una nazione “familiare” che si snoda lungo vie interminabili e trafficate. La città moderna con Dickens e Balzac mostra invece il ruolo di primo piano svolto dai condizionamenti economici nei processi di affermazione sociale.

Nella seconda parte dell’opera Moretti passa a studiare la letteratura nello spazio, ovvero la storia del libro e della diffusione dei romanzi nella metà del diciannovesimo secolo, applicando ancora gli strumenti geografici per costruire “mappe” della circolazione libraria nel periodo considerato. L’Atlante del romanzo europeo rappresenta una lettura piacevole ed un contributo intelligente ed innovativo nel quale l’autore dimostra una notevole abilità nell’impiego versatile, senza precedenti nella critica letteraria italiana, della geografia e della cartografia.

Ad un ventaglio variegato di interessi e di discipline corrisponde invece Lo spazio e le sue rappresentazioni: stati, modelli, passaggi edito nel 1993 a cura di Paola Cabibbo, nel quale sono raccolti gli interventi tenuti nel corso di un convegno patrocinato dall’Università di Salerno nel 1990. I saggi riuniti presentano diversi approcci alla categoria “spazio”, dall’estetica filosofica alle scienze, alla letteratura, al teatro, alla tecnologia. Particolarmente denso e ricco di spunti il saggio “Spazi liminali” di Paola Cabibbo, nel quale viene elaborata la nozione di “spazio del Fra” come luogo di incontro e di dialogo che mette a contatto discipline diverse nel paesaggio frantumato del pensiero moderno. Nel panorama variabile della contemporaneità, gli studi letterari sono diventati secondo l’autrice «area di intersezione di discorsi eterogenei: la linguistica, la psicanalisi, la sociologia, l’antropologia, la matematica, la fisica, la filosofia»60; anche la letteratura del Novecento sembra privilegiare spazi intermedi, soglie, passaggi in cui si respira un’atmosfera indefinita, sospesa. Cabibbo riporta come esempi oltre alle opere di Kafka anche Il custode di Carmelo Samonà, definito con lungimiranza «uno dei romanzi più suggestivi della narrativa italiana contemporanea».61

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Paola Cabibbo, “Spazi liminali”, in AA. VV., Lo spazio e le sue rappresentazioni:stati, modelli, passaggi, a cura di Paola Cabibbo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp.13-38; p.14.

Nel 1998 esce il volume Le configurazioni dello spazio nel romanzo del ’900, risultato dei colloqui del’Associazione Malatesta tenutisi tra il 1993 e il 1995 nella rocca di Sant’Arcangelo di Romagna, un volume che era stato preceduto da altri due studi simili dedicati rispettivamente al Settecento e all’Ottocento. La raccolta di saggi sul romanzo del ’900, che pure vanta al proprio interno nomi di tutto rispetto come Mario Lavagetto, Paolo Amalfitano, Vittorio Coletti, Silvano Sabbadini, non approfondisce però come ci si aspetterebbe le dinamiche spaziali del romanzo italiano: ad eccezione del contributo di Lavagetto su Senilità di Italo Svevo e di quello di Coletti sul romanzo italiano contemporaneo, la maggior parte delle riflessioni hanno per oggetto le letterature straniere.

Con il titolo Il castello, il convento, il palazzo e altri scenari dell’ambientazione letteraria sono stati editi da Olschki nel 2000 gli atti di un convegno organizzato dal Dipartimento di Filologia, Linguistica e Letteratura dell’Università degli Studi di Lecce. L’individuazione di una “configurazione spaziale” significativa sembra essere il labile nesso che unisce analisi di testi disseminati su un arco cronologico vastissimo, molto diversi per stile e contenuti: si va dal Novecento alla latinità passando per il Settecento, l’Ottocento e il Medioevo trobadorico.

Tra i contributi di italianistica spicca per interesse e completezza l’articolo di Carlo Alberto Augieri su Pasolini dal titolo In cammino, lontano dal Palazzo, distante dalla Piazza. Pasolini e la strada come cronotopo simbolico della verità ‘viandante’.

Il piccolo manuale di Gino Ruozzi e di Gian Mario Anselmi intitolato Luoghi della letteratura italiana (2003) appare come un censimento dei luoghi topici della letteratura italiana, raccolti secondo un criterio alfabetico e “spiegati” attraverso esempi celebri. Il tentativo compiuto dai due curatori per fare una storia dei luoghi letterari agile e di facile consultazione è sicuramente degno di lode, così come lo

sforzo di catalogare gli spazi significativi e “ricorrenti” della nostra letteratura; tuttavia, il trattamento delle singole “voci” è del tutto privo di basi teoriche, mentre le parti esemplificative e i commenti che ad esse seguono non riescono ad emanciparsi da un tono aneddotico, da un’impressione di dissertazione leggera se non superficiale.

La dimensione “spazio” in Italia è perlopiù studiata in chiave “tematica” e quindi scomposta in quelle componenti semplici che sono i luoghi, come testimonia il lavoro di Ruozzi ed Anselmi e l’opera di Anna Ferrari Dizionario dei luoghi letterari immaginari (2006), nella quale sono riuniti e “spiegati” come voci di un dizionario gli spazi letterari di invenzione originati dalla fantasia degli autori; di recente pubblicazione sono gli atti di un convegno tenutosi a Padova nel 2005 e raccolti con il titolo Spazio e luogo. Testi e contesti della narrativa italiana tra Otto e Novecento (2006), in cui l’attenzione dei relatori è rivolta soprattutto ai luoghi reali descritti nei testi letterari.

Come emerge da questa breve rassegna la situazione attuale della critica spaziale in Italia presenta dei ritardi dovuti a fattori di tipo ideologico e filosofico nonché alla chiusura degli ambienti accademici, rimasti per molto tempo impermeabili alle teorie elaborate all’estero in nome di una radicata fedeltà all’interpretazione crociana del fatto letterario. Solo a partire dalla fine degli anni Sessanta e poi negli anni Settanta la critica semiotica comincia gradualmente ad attaccare le fondamenta dell’idealismo, introducendo nuovi metodi e diffondendo un nuovo interesse per le dinamiche spaziali dei testi. Occorre inoltre considerare che la critica stilistica ha sempre privilegiato gli aspetti formali delle opere, tralasciando la sfera contenutistica, mentre la critica di orientamento “psicologico” ritiene che il tempo- non lo spazio- sia la dimensione peculiare della letteratura ed ai fenomeni della temporalità dedica di preferenza la sua attenzione.

Alla luce di queste riflessioni c’è da sperare che, partendo dal cammino già percorso, gli studi critici non tardino ulteriormente a produrre un approccio teorico alla dimensione “spazio” intesa nella sua totalità e non depotenziata dalla scomposizione nelle sua parti costitutive (dimore, castelli, città, etc.): la letteratura italiana offre un ricco repertorio di testi che attendono di essere letti da questa prospettiva, come mostrano in parte i capitoli III, IV, V di questa tesi, dedicati all’analisi dello spazio nel romanzo italiano dagli anni Trenta agli anni Ottanta del Novecento.

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