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Verso un’allegoria spaziale: mondi di invenzione ed universi figural

L’allegoria spaziale

2.2 Verso un’allegoria spaziale: mondi di invenzione ed universi figural

La critica allegorica come si è visto tenta di rinvenire, oltre e aldilà della lettera testuale, un significato complesso inscritto nelle strutture profonde delle opere, che si rivela spesso in modo inatteso in seguito ad un accurato scandaglio analitico.

Lo spazio di ambientazione, il mondo fittizio in cui si muovono i personaggi creati dagli autori possiede, di per sé, uno spessore allegorico facilmente intuibile: composto da descrizioni, affidato interamente al medium del linguaggio, esso prende corpo grazie all’attività immaginativa dello scrittore ed a quella del lettore che su di essa si modella; tale dimensione spazio-temporale è requisito indispensabile di ogni testo letterario ed insieme il risultato di una serie di scambi, interazioni, spostamenti tra il piano della creazione ed il mondo reale in cui opera l’autore. Le convenzioni e le norme che regolano questa materia differiscono ovviamente a seconda dei propositi referenziali che gli artisti decidono di perseguire.

Lo spazio raffigurato nella letteratura del Novecento può essere alterato fino ad apparire irriconoscibile, o al contrario riflettere fedelmente luoghi reali e situazioni esistenti. Alcuni spazi letterari stabiliscono con un contesto reale e determinato una relazione all’insegna dell’opacità, ricorrendo ad un procedimento di trasfigurazione allegorica. Si badi però che la stessa nozione di “spazio di ambientazione” dei testi letterari è già un’allegoria poiché esso si forma, in virtù del patto narrativo che si stabilisce tra autore e lettore, a partire dalle parole scritte; pertanto nel caso di opere antimimetiche il processo di allegoresi va ad innestarsi su quella che potremmo definire un allegoria “statutaria”. Si ottiene così una sorta di allegoria di secondo

grado che chiameremo “allegoria spaziale”: essa può vantare un legame con l’allegoria moderna, benjaminiana, dal momento che l’attribuzione del significato non è più garantita da codici etici e religiosi, né da iconografie di alcun tipo. Ad esempio, La Divina Commedia, che raffigura un viaggio ultraterreno nei regni dell’aldilà, rispetta nella rappresentazione del Paradiso, dell’Inferno e del Purgatorio i canoni che erano consustanziali alla cultura cristiana medioevale; nell’allegoria spaziale novecentesca invece non vi è più alcuna autorità che predisponga i significati, i quali ricadono interamente sotto la responsabilità dell’autore. Gli spazi allegorici vengono spesso piegati a rispecchiare fermenti e inquietudini che attraversano un certo periodo storico, facendosi portatori di esigenze, proteste, tendenze culturali che gli autori ritengono opportuno esprimere in modo mediato.

Tra gli studi critici che hanno indagato la natura degli universi rappresentati nelle opere letterarie si distingue per completezza ed innovazione Fictionals Worlds di Thomas Pavel, che ha esercitato una qualche influenza anche sulla critica italiana. Pur peccando in alcuni punti di eccessivo e scoperto didascalismo, il lavoro di Pavel ha il merito di essere un precoce tentativo di sistemazione, classificazione, e discussione di problemi inerenti ad un ambito assai delicato in cui la letteratura e la sua ricezione da parte del pubblico si intersecano con questioni di natura filosofica.

Il critico applica le proprie teorie al campo della fiction, indicando con questo termine tutte quelle produzioni letterarie (racconti, drammi, romanzi) che presuppongono, sotto diverse forme, l’attività della fantasia umana. Nella lingua italiana non esiste un equivalente in grado di rendere il valore duplice del vocabolo anglosassone, derivato dal latino fictio che indica da un lato la nozione di “fingere” dall’altro quella di “creare”. Ciascuna opera di fiction può essere studiata dal punto

di vista della semantica dei mondi possibili, una branca della filosofia che indaga lo statuto ontologico dell’uomo mettendolo in relazione, oltre che con il mondo reale, con tutti i mondi alternativi che avrebbero potuto aver luogo. Pavel distingue tra un approccio alla fiction che definisce «segregazionista»18, il quale nega ogni valore di verità ai contenuti dei testi di finzione, ed un altro che chiama «integrazionista»19, il quale sostiene che tra la realtà e le descrizioni elaborate dalla fiction vi sia una sostanziale omogeneità; egli però si distanzia nettamente dal segregazionismo e propone un’ottica interna ai testi, avvalendosi di concetti mutuati dalla semantica modale e privilegiando il punto di vista della fruizione.

La natura e le proprietà dei mondi fittizi vengono illustrate per affondi successivi, mentre è condotto parallelamente un dialogo implicito con alcune teorie filosofico-letterarie, quali il convenzionalismo, la filosofia “dei gradi di esistenza” di Alexius Meinong, la semantica modale di Saul Kripke.

Dopo aver dimostrato la parziale inadeguatezza della nozione leibniziana di “infiniti possibili” applicata alla letteratura, l’autore del saggio espone la propria idea della fiction come “struttura saliente”. L’uso del termine “mondo” quale «metafora ontologica della fiction»20 può contribuire ad inquadrare meglio i termini della definizione paveliana, dal momento che essa implica la possibilità di stabilire nessi tra il nostro mondo e “i mondi di carta”. Il mondo reale può essere infatti considerato la “base” di infiniti universi fantastici creati dalla letteratura: a seconda dell’argomento e del periodo storico in cui vede la luce, ciascun testo avrà come base una certa porzione del reale. Chiunque d’altronde, facendo riferimento alle proprie esperienze di lettura, è in grado di comprendere tali affermazioni e non

18

Thomas Pavel, Mondi d’invenzione, Torino, Einaudi, 1992, p. 22.

19 Ibidem. 20 Ivi, p.75.

confonderà mai Don Chisciotte con Il circolo Pickwick, dal momento che essi si sviluppano da basi di realtà completamente diverse.

La tendenza a ri-creare un mondo a partire da un ambiente di base reale è una procedura che viene sistematicamente messa in atto nei giochi infantili e nelle rappresentazioni teatrali; in questi casi si può individuare una «struttura complessa»21 che unisce universi distinti in un’unica struttura fino a produrre una corrispondenza fra i suoi elementi costitutivi, come avviene ad esempio su un palcoscenico in cui si rappresenta una dramma di Shakespeare: durante lo spettacolo il pubblico, in ossequio alla convenzione scenica, è portato a credere che un cartone dipinto sia il castello di re Lear e che gli attori siano Lear, Cordelia, Gloucester. Per «struttura duale»22 si intende dunque una struttura complessa formata da due elementi.

L’ontologia delle entità di invenzione è chiarita dal concetto di struttura saliente, da intendersi come struttura duale nella quale «l’universo primario non è isomorfo

dell’universo secondario perché quest’ultimo comprende entità e stati di cose privi di corrispondenze nel primo»23.

Egli distingue inoltre un’ontologia primaria ed una secondaria da questa derivata, portando quale esempio esplicativo il celebre racconto La biblioteca di Jorge Luis Borges, in cui lo spazio raffigurato nel testo è pensabile dal lettore solo ricollegandosi per via analogica alla conoscenza pregressa delle biblioteche reali e degli oggetti che in esse si trovano abitualmente.

I testi letterari così caratterizzati sono «esistenzialmente creativi»24 perché inventano nel senso forte del termine, ospitando al loro interno enti privi di corrispondenza nell’universo primario. L’allegoria si profila dunque come topos 21 Ivi, p.84 22 Ibidem. 23 Ivi, p.85. 24 Ibidem.

generale della letteratura, poiché «costituisce il modello più generale dei rapporti di decodificazione o di corrispondenza all’interno delle strutture di invenzione»25. I lettori accordano alla fiction un assenso limitato nel tempo, che ricorda da vicino la celebre “sospensione di incredulità” raccomandata da Coleridge.

L’immaginario narrativo è da considerarsi per Pavel «una variabile storica»26 e come tale è soggetto a mutamenti, ad alterazioni dipendenti tanto da fattori storico- culturali quanto dal tipo di informazione che gli autori intendono trasmettere; adottando questo punto di vista, il realismo può essere definito come un modo letterario in cui è prevalente la rappresentazione di eventi verosimili e la descrizione di particolari minuti che consolidino “l’effetto di realtà”. L’autore realista ed il suo pubblico accettano quindi che il mondo raffigurato sia il più possibile simile a quello reale, secondo una logica di «scostamento minimo»27.

Non sempre però si può definire con certezza l’effetto artistico che uno scrittore intende produrre, né il tipo di lettura che un testo implicitamente richiede: in un romanzo come Il Castello di Kafka, ad esempio, «la natura dei paesaggi di invenzione rimane elusiva.[…]. Si confondono deliberatamente gli indicatori di distanza, lasciando vaga la scelta tra familiarità e distanza infinita»28.

Il funzionamento dell’economia dell’immaginario è retto da alcuni principi- cardine e risponde a propositi referenziali eterogenei; la referenza è regolata dai principi di distanza e cospicuità, attraverso i quali la fiction esplica il proprio ruolo all’interno delle formazioni culturali e dei sistemi sociali. La traduzione italiana nell’ultima parte del saggio di Pavel mostra evidenti difficoltà nel rendere le espressioni teoriche usate dallo studioso in termini chiari e precisi, per cui la spiegazione dei due principi di funzionamento dell’immaginario narrativo risulta 25 Ivi, p.89. 26 Ivi, p.120. 27 Ivi, p.137. 28 Ivi, pp.138-9.

alquanto oscura; nel riportarne le linee generali si cercherà dunque di semplificare quanto possibile

Scopo ultimo della fiction è creare una distanza tra i suoi fruitori e gli eventi narrati: non a caso la lettura di un testo è stata paragonata spesso ad un viaggio, poiché conduce il lettore in un mondo che non è più il suo, costringendolo ad un atto di astrazione dalla situazione contingente. La letteratura consente di parlare dell’inaudito e dell’inusuale proiettandoli lontano, ad una “distanza di sicurezza”, dove avviene l’espulsione e la sublimazione delle tensioni generate dalla narrazione, le quali si intrecciano con quelle che il pubblico esperisce nella vita quotidiana. Se il principio di distanza si risolve nell’instaurazione di una “zona franca” che separa il lettore dagli eventi narrati, il principio di cospicuità si fa garante dell’interesse e del coinvolgimento che i fatti narrati generalmente suscitano nei destinatari: destando una forma di partecipazione che può esprimersi tanto come identificazione con il personaggio quanto come critica e contrapposizione, la fiction si rivela sempre legata all’attualità della ricezione. Gli exempla medievali erano costruiti ad esempio secondo uno schema riconoscibile che invitava il lettore alla generalizzazione ed all’apprezzamento di una “morale”, e questo modello si è mantenuto in molta letteratura moderna, da Anna Karenina di Tolstoj a La ricerca del tempo perduto di Proust.

Alcuni testi novecenteschi registrano però una trasformazione della cospicuità intesa tradizionalmente, impedendo ai lettori di giungere a conclusioni univoche:

Proprio come la semplicità tonale delle composizioni di Vivaldi viene gradualmente sostituita da procedimenti più complessi, per culminare negli equivoci tonali di Wagner, Richard Strauss e Mahler, le semplici pratiche inferenziali aprono la strada a sistemi letterari più ricchi e la cospicuità

inferenziale (l’orgoglio che conduce Lear alla distruzione) conduce gradualmente a una cospicuità diffusa (Il castello di Kafka quale parabola non ben definita della condizione umana)29.

Sempre di più dunque nel Novecento i testi letterari ostentano un’apparente incomprensibilità, un’oscurità che è passibile di essere penetrata e ridotta a significati razionali e comunicabili attraverso l’analisi critico-teorica.

Pavel si sofferma ad indagare lo statuto delle opere di fiction nel loro carattere di dispositivi che mettono in comunicazione la realtà e l’immaginario con esiti spesso condivisibili, in particolare per quanto riguarda le strutture salienti, il cui funzionamento sembra fornire uno schema estendibile anche alle allegorie spaziali.

Tuttavia, nella delineazione di un quadro di riferimento teorico che getti le basi per una definizione più precisa di allegoria spaziale e quindi di altrove letterario, un apporto risolutivo è venuto da un piccolo e densissimo saggio di Francesco Orlando intitolato Per una teoria freudiana della letteratura30. Considerato ormai a ragione un classico della teoria della letteratura del Novecento, il libro di Orlando propone una geniale interpretazione del fatto letterario, nella quale le competenze psicanalitiche dell’autore si sposano con gli interessi linguistici e con le posizioni più avanzate della cultura marxista degli anni Settanta.

La riflessione orlandiana prende il via da una lettura de Il motto di spirito di Freud, concentrandosi sugli aspetti logici del processo psichico che conduce al motto di spirito. Poiché secondo Freud i “fenomeni dell’attività fantastica” danno origine ad un “ritorno del represso” che è una ribellione contro il principio di realtà e contro la logica, anche la letteratura, opera della fantasia umana, viene considerata da Orlando sede di un ritorno del represso “formale” che si esprime nel linguaggio. La letteratura e l’inconscio sono caratterizzati entrambi da un

29 Ivi, p.218. 30

linguaggio ad alto tasso di “figuralità”, intendendo con ciò la presenza di “figure”, ovvero di «alterazioni del rapporto di trasparenza tra significante e significato, ossia da scarti rispetto a un grado zero (problematico da definire ma necessario da postulare)»31; la differenza tra i due linguaggi è sostanziale ed imprescindibile: mentre la figura nell’inconscio serve a nascondere, pur esprimendo determinati contenuti che rimangono comunque latenti, il ruolo della figura in letteratura è di esprimere pur nascondendo. La letteratura è infatti un linguaggio comunicante ed istituzionalizzato, mentre l’inconscio, regolato dal meccanismo della rimozione, è per definizione non comunicante. Il linguaggio letterario si fa opaco se si ricopre di figure e non fa trasparire il suo significato, ma poiché la letteratura è un atto comunicativo, il destinatario sarà sempre in grado di ridurre e recepire il senso che si cela oltre il tessuto figurale. Il concetto di “figura” per Orlando non va inteso in ambito letterario solo nel senso di un’alterazione di piccole dimensioni, localizzata, del rapporto di trasparenza tra significante e significato, ma va ampliato sulla scia delle acquisizioni teoriche della neoretorica francese:

La retorica concepibile oggi - e di fatto rinata, come era prevedibile, in base a quel presupposto coerente con la linguistica strutturale che abbiamo visto - potrà prendere in considerazione figure di tutte le dimensioni e di tutte le specie. Figure del significante, figure del significato, figure del metro e della rima, figure di grammatica, figure di sintassi, figure di logica, figure del rapporto coi dati di realtà, figure del racconto, figure della successione delle parti del testo, figure del destinatario e del destinatore come funzioni interne al testo, […] ecc. In certi casi lo spazio di testo in cui la figura ha sede sarà un paio di righe; ma in certi altri le migliaia di pagine che formano la totalità di un’opera sterminata32.

31 Ivi, pp. 58-9. 32 Ivi, pp. 61-2.

Dal nostro punto di vista questa estensione della nozione di “figura” si è rivelata assai utile perché ci ha consentito di precisare un’importante proprietà dell’allegoria spaziale, che può essere definita senza ombra di dubbio una “figura del rapporto con i dati di realtà”. Il referente di realtà (sia esso una nazione, una città, una situazione sociale, una circostanza storica determinata) è mascherato e distorto fino a dar vita ad una rappresentazione spaziale completamente altra. La trasposizione trasfigurante del dato di realtà può avvenire in modi e misure diverse a seconda dei propositi teleologici che gli scrittori perseguono; ad esempio un’opera realistica prevederà un tasso piuttosto basso di trasfigurazione e dunque un’allegoria ridotta ai minimi termini, mentre i testi antimimetici o post- moderni spesso trasfigurano lo spazio di ambientazione in modo che sia impossibile risalire ad un sostrato reale o riconoscere, oltre le invenzioni, una serie di indizi capaci di suggerire una “base” realistica di partenza: si pensi ad esempio a certi esiti di autori italiani come Landolfi o Buzzati, al superbo Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Màrquez. In questi casi il tasso di trasfigurazione sarà assai elevato e l’allegoria spaziale dovrà essere decifrata attraverso l’elaborazione di ipotesi interpretative circostanziate e verificate sul testo. Ne Il Castello e ne Il processo di Kafka invece il falso mimetismo iniziale fuorvia il lettore creando i presupposti per lo scarto allegorico.

Dallo studio dell’opera di Orlando si è ricavata anche la nozione-cardine della letteratura quale «formazione di compromesso», definita come «una manifestazione semiotica – linguistica in senso lato – che fa posto da sola, simultaneamente, a due forze psichiche in contrasto diventate significati in contrasto»33.

L’istituzione letteraria prevede, statutariamente, una continua formazione di compromesso tra l’istanza della realtà e quella della non-realtà,

dell’immaginazione. In altre parole, la letteratura possiede di per sé il carattere di una «negazione freudiana»34, che afferma e nega allo stesso tempo: se da un lato le opere esprimono un contenuto e presentano un’azione, invitando implicitamente il lettore a dare il proprio assenso a quanto viene narrato, dall’altro esse stesse, in virtù della loro natura letteraria, denunciano il valore fittizio degli eventi mostrati e delle passioni che scuotono i personaggi. La letteratura consente così un «ritorno del represso in accezione ideologico-politica»35, ospitando al proprio interno contenuti “censurati” che in un contesto reale sarebbero inesprimibili perché incontrerebbero la condanna e la repressione da parte del potere costituito. Se si accetta l’interpretazione freudiana della storia della civiltà come dialettica di repressione e represso, si dà per scontato che ciascun individuo debba sottostare ad una repressione di natura sociale ed ideologica che lo trascende e lo precede. L’assetto sociale e politico agisce a priori sulla coscienza dei singoli, stabilendo attraverso l’esercizio dei poteri ciò che è lecito dire e ciò che è indicibile; la dimensione sociale e comunitaria in cui si esplica il fatto letterario fa sì che esso interiorizzi il divieto ed al tempo stesso lo trasgredisca, dando luogo ad un ritorno del represso che è anche di natura ideologica. L’allegoria spaziale dal canto suo accoglie i messaggi censurati e garantisce loro diritto di cittadinanza dietro lo schermo di una parziale visibilità.

Con queste ultime affermazioni siamo giunti sulla soglia del nostro discorso sull’“altrove letterario”. Nella prossima sezione finalmente le definizioni potranno avvalersi dell’esemplificazione condotta su alcuni testi del Novecento italiano e le proposte teoriche acquisteranno così una vivacità che spesso la pura speculazione non possiede. Se il confronto con le opere riuscirà a comprovare la fondatezza delle

34 Ivi, p.88. 35 Ivi, p.49.

riflessioni critiche che verranno presentate, le discussioni sostenute fino a questo punto appariranno come necessario preludio.

Il percorso teorico all’interno del Novecento italiano che verrà tracciato nella prossima sezione è stato costantemente guidato da un metodo che privilegiasse, sulla scia degli studiosi citati in questa prima parte del capitolo, un approccio diretto ai testi e quindi scrupolosamente rispettoso del loro livello letterale. Nelle pagine che seguono sarà introdotta la categoria “altrove” e sarà proposta una sintesi dei risultati ricavati dalle analisi degli spazi rappresentati in alcuni romanzi italiani sui quali ci soffermeremo nei capitoli seguenti.

Il lavoro sui testi è stato condotto in modo uniforme, secondo una procedura omogenea: il metodo indiziario proposto da Luperini è stato fatto reagire su una scelta di brani testuali in cui la descrizione spaziale presentava dettagli “sospetti”; prendendo come iniziale pezza di appoggio il dato testuale si è poi tentato di risalire ogni volta ad una costellazione semantica che risultasse motivata sulla base di parametri “interni” al testo. Solo in un secondo momento, dopo aver compiuto le necessarie controverifiche, si è ipotizzata un’interpretazione allegorica, incentrata sulla decifrazione della spazialità, obbedendo ad una visione coerentemente materialistica e storicamente determinata dei fenomeni letterari.