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Nel 1957 Gaston Bachelard pubblica La poétique de l’espace51 in cui vengono studiate le immagini spaziali presenti nella poesia. Nelle pagine introduttive l’autore postula la necessità di pervenire ad una “fenomenologia dell’immaginazione” che sia in grado di cogliere le immagini, così come esse emergono nella coscienza in quanto prodotti diretti dell’animo umano. La poesia è per Bachelard «engagement de l’âme»,52 e perciò deve essere indagata con l’ausilio di discipline idonee: in particolare, le immagini spaziali che si incontrano in poesia richiedono il metodo della “topo-analyse”, il quale comporta un’integrazione di psicologia descrittiva, psicologia del profondo, psicoanalisi e fenomenologia. Nell’opera sono prese in considerazione le immagini dello «espace heureux»53, lo spazio felice e amato dall’uomo, che ha il proprio fulcro nell’immagine della casa, il primo universo umano. Nel primo capitolo si precisa meglio la funzione protettrice esplicata dalla casa, alla quale viene attribuita una struttura omologa a quella della psiche umana, con una stratificazione di diversi livelli temporali e alcune zone di ombra. Riprendendo un esempio junghiano, l’inconscio è paragonato ad una cantina oscura, la casa ad uno stato d’animo. Gli altri capitoli si occupano di spazi simbolici, talvolta insoliti: il nido, la conchiglia, il cassetto, l’armadio, gli angoli, lo scrigno. La filosofia bergsoniana esercita un influsso notevole sul pensiero di Bachelard, come si evince dall’attenzione per gli aspetti più intimi della vita interiore e dalle riflessioni sul tempo e sullo spazio.

51

Gaston Bachelard, La poétique de l’espace, Paris, P.U.F., 1957

52 Ivi, p.5. 53 Ivi, p.17.

Vista la peculiarità dell’oggetto e del metodo adottato, l’opera di Bachelard conserva oggi un interesse di tipo filosofico e storico, ma non rappresenta un valido strumento per lo studioso di teoria della letteratura, sia per la vena immaginifica che la percorre, sia per il linguaggio eccessivamente ricercato.

La critica letteraria di orientamento “psicoanalitico”, per motivi che sono solo ipotizzabili, come ad esempio la predilezione per l’analisi dei personaggi e dei loro moti interiori, non può vantare una solida tradizione di ricerche sullo spazio letterario. Di conseguenza, è impresa ardua trovare studi che si occupino dello spazio artistico con un approccio “interno” ai temi teorico-letterari, mentre è più frequente che contributi appartenenti al settore medico-scientifica contengano delle considerazioni di tipo generale ed offrano interessanti spunti alla critica e all’indagine estetica. Ad esempio L’espace figuratif et les structures de la personnalité54 di Jean Le Men, un testo di psicologia infantile che tratta della costruzione dell’immagine spaziale in età evolutiva, malgrado il carattere specifico dell’argomento che affronta, è ricordato da Van Baak nel corso della sua ricognizione teorica delle opere dedicate allo spazio letterario. Prima di esporre questioni di natura strettamente psicoanalitica e casi clinici, Le Men si sofferma infatti sullo spazio inteso come concetto fondante della personalità e della psiche umana e al tempo stesso come schema o struttura mediatrice tra l’uomo e il cosmo, soggetta a determinazioni di natura sociale ed antropologica. Va da sé che ciascuna cultura possieda diversi sistemi di interpretazione e descrizione spaziale, i quali dipendono da fattori molteplici come il moto degli astri, la direzione dei venti, i rapporti gerarchici codificati all’interno del corpo sociale. Accanto a questo spazio in senso lato “antropologico”, vi sono poi diversi modelli spaziali, tra loro coesistenti, che regolano la vita quotidiana degli individui. Nella cultura

occidentale contemporanea si fronteggiano tre diverse tipologie spaziali, a cui si associano significati distinti: l’autore parla di un Espace affectif, di un Espace pragmatique ou euclidien, e di un Espace intellectuel. Il primo, lo spazio della «relation affective et socio-dramatique»55, mette costantemente in relazione le qualità degli oggetti e il soggetto che le percepisce; questo tipo di spazio, legato principalmente alle cosmologie ancestrali e al folclore, sopravvive nel pensiero infantile, nella vita artistica e nel linguaggio. Lo spazio euclideo può essere invece pensato come lo spazio in cui l’uomo si rapporta quotidianamente con gli oggetti che lo circondano, al fine di padroneggiare meglio la realtà. In questa prospettiva, il soggetto prende le distanze da se stesso e si considera un oggetto tra gli altri oggetti, giungendo ad assumere il proprio corpo come strumento di misura spaziale: si vedano ad esempio le antiche unità di misura (i pollici, i piedi, le mani), che testimoniano come parti del corpo siano ridotte alla stregua di appendici attraverso le quali è possibile classificare e dominare lo spazio e le distanze. Infine, lo spazio intellettuale è quello studiato dalle scienze matematiche, fisiche e dalla filosofia; in esso il pensiero concettuale ricerca la conoscenza di una “verità” che assume nel tempo diversi volti a seconda del grado di sviluppo degli strumenti di indagine di cui dispone.

Proseguendo nella lettura del libro, le riflessioni di Le Men prendono tutt’altra strada, incentrandosi sull’uso del disegno nei trattati di psicologia infantile e sul suo significato analitico.

Un discorso a parte merita The Role of Place in Literature56, di Leonard Lutwack, edito nel 1984, il quale può considerarsi un raro esemplare di critica psicoanalitica applicata tout court alla letteratura. L’originalità dell’opera risiede nella capacità dell’autore di toccare molteplici aspetti della problematica spaziale,

55 Ivi, p.16

concentrandosi principalmente sulla tradizione letteraria americana, con un corredo di esempi testuali scelti in area anglosassone; tuttavia, molte intuizioni interessanti rimangono al livello di suggestioni perché non vengono approfondite come meriterebbero, forse proprio a causa della mole di testi esemplificativi messi in campo. Ma la critica più forte che può essere mossa a Lutwack concerne l’impianto metodologico del lavoro: se da un lato egli si mostra sensibile a fenomeni nuovi come l’impatto dei valori ambientalisti e dell’ecologia sulla rappresentazione letteraria dei luoghi, dall’altro ricade nel simbolismo freudiano più trito nel momento in cui prende in esame le metafore costitutive della “retorica spaziale”. Il simbolismo archetipico nasce dall’associazione di particolari esperienze e valori umani a luoghi (in questo caso si avverte la mancanza, in italiano, di un equivalente dell’inglese “place”) come il giardino, la foresta, le montagne, gli edifici, la Terra stessa. Lutwack interpreta questi spazi attraverso il concetto di «geomorphic anatomy»57, stabilendo delle analogie tra le varie “forme” spaziali e diverse parti del corpo umano. Partendo da un’affermazione di Freud contenuta nell’ “Introduzione generale alla Psicoanalisi”, per cui nei sogni i paesaggi sarebbero riferibili agli organi sessuali femminili e gli oggetti a quelli maschili, si perviene ad una prevedibile sessualizzazione degli scenari letterari: così, in base ad un processo un po’ meccanico, la terra, i giardini e le foreste descritti nelle opere letterarie risultano interpretabili come immagini femminili o legate alla sessualità femminile, mentre gli edifici sono assimilati in genere al corpo umano, sia maschile che femminile. Lutwak trae i suoi esempi da opere appartenenti a diversi periodi: si va dai poeti del Rinascimento fino a James Joyce passando per Coleridge e per il romanzo gotico.

Nella sezione dedicata alla rappresentazione dello spazio nazionale nelle opere degli scrittori americani, così come pure nel capitolo monografico su Melville, si sottolinea in modo convincente il legame esistente tra lo spazio letterario e i mutamenti socio-culturali che interessano una collettività, mentre nell’ultimo capitolo si parla addirittura del fenomeno della “placelessness”, ovvero della sparizione di spazi tradizionali, sostituiti da luoghi uniformi e senza storia.

Considerando la modernità di queste posizioni, è davvero un peccato che il critico statunitense non riesca a confrontarsi attivamente con l’eredità della critica psicanalitica freudiana, emancipandosi dalla vulgata psicanalitica. L’ opera avrebbe potuto rappresentare un’occasione di incontro proficuo tra gli strumenti psicoanalitici ed una critica più aperta verso l’interazione tra il testo e la società se solo l’autore avesse affrontato il discorso sul simbolismo freudiano in modo autonomo, tenendo nel debito conto gli aspetti “logici” della lezione freudiana (di cui non vi è menzione) e il carattere specifico dei testi letterari, come suggerisce ad esempio Francesco Orlando in Per una teoria freudiana della letteratura58. Il libro di Lutwack invece, pur muovendosi in un ambito strettamente letterario, non riesce a mettere appunto una strumentazione teorica adeguata al proprio oggetto e prende in prestito concetti dalla psicoanalisi tradizionale senza tentare una riformulazione personale del modello interpretativo adottato.