• Non ci sono risultati.

1.3 Lo svolgimento intellettuale: tra De Sanctis e Labriola

1.3.1 Croce De Sanctis e l‟eterodossia hegeliana

Croce inizia la parte del Contributo dedicata al proprio svolgimento intellettuale chiamando in gioco, fin dalle prime battute, Francesco De Sanctis. Precedentemente, nei suoi ricordi relativi alla giovinezza sottolineava come, negli anni del liceo, egli fosse venuto in contatto con le opere del critico irpinate, anche se, all‘epoca, la sua indole di adolescente si fece catturare in maniera maggiore dallo spirito acceso e battagliero degli scritti di Carducci, recependo soltanto alcuni elementi della riflessione di De Sanctis.68 L‘inizio della lettura diretta delle opere di De Sanctis è da ricondurre, in ogni caso, secondo Nicolini, al primo liceo quando «un compagno calabrese gli pose fra mano i desanctisiani Nuovi saggi critici, che, letti e riletti, fecero al buio sottentrar la luce. Per altro, dal De Sanctis egli apprese, allora, più talune idee direttive della critica letteraria che non la temperata e squisita disposizione morale di quel grande maestro non solo di letteratura ma anche di vita etica».69

Ciò che importa, è che la scelta di Croce di aprire la narrazione del proprio svolgimento intellettuale con il riferimento diretto al pensiero di De Sanctis rappresenta un elemento importantissimo riguardo le fonti della formazione del giovane studioso. Scrive Croce:

Come ho accennato, sin da quando studiavo al liceo lessi le opere del De Sanctis, che mi colpirono vivamente e mi mossero perfino a esercitare nei componimenti che scrivevo per la scuola la critica letteraria. Ma se allora io avessi compreso a pieno il pensiero del De Sanctis, possedendolo nella sua idea fondamentale e in ogni particolare giudizio, con la congiunta e ricca esperienza che lo aveva dettato e sola poteva renderlo chiaro, sarei stato un mostro di natura, un ragazzo vecchio, o addirittura il De Sanctis medesimo, cangiato di vecchio in adolescente.70

68

«Lessi e rilessi in quel tempo i volumi del De Sanctis e del Carducci; ma, se dal De Sanctis appresi alcune idee direttive pel giudizio letterario, poco allora mi fermò la sua temperata e squisita disposizione morale, e più assai invece mi attrassero gli atteggiamenti violenti e battaglieri del Carducci. E questi anzi procuravo allora d‘imitare in certi disdegni pel costume frivolo e molle della buona società (al quale disdegno offrivano facile bersaglio quelli tra i miei compagni di scuola che appartenevano al bel mondo di Napoli), e in certo ideale di lotta civile, che rimaneva per altro in me assai superficiale e scarso di serietà etica» (B. Croce,

Contributo alla critica di me stesso, p. 354). Non bisogna dimenticare, inoltre, il gustoso aneddoto che

Nicolini riporta nella sua importante biografia crociana: «Un altro ricordo crociano relativo a quella casa si riferiva all‘―inquilino del primo piano‖, ch‘egli incontrava sovente per le scale, di solito in aria astratta, e, tra le labbra, un mezzo sigaro toscano, mille volte riacceso e mille volte spento, ma che talora, avvedutosi di quel fanciullino, che, in grembiulino bianco e la sua brava cartella a tracolla, s‘avviava a scuola, deponeva su quelle guance rosee e paffutelle una lieve carezza, chiedendogli, al tempo stesso, ragguagli dei suoi studi. Chi avesse detto a quell‘inquilino, cioè, nientemeno, a Francesco de Sanctis, che proprio quel fanciullino sarebbe divenuto un giorno il rivendicatore della sua fama e il suo continuatore?» (F. Nicolini, Benedetto Croce, p. 31).

69 F. Nicolini, Benedetto Croce, cit., p.64. 70

48

Certo, a quel tempo, considerata l‘età di Croce – siamo nel pieno della fase adolescenziale – non ci si poteva aspettare che la conoscenza dei temi più profondi della critica desanctisiana e, soprattutto – che è quello che qui più interessa – la lettura che il De Sanctis operò nei confronti della filosofia hegeliana, fossero colte e fatte oggetto di riflessione. E non ha tutti i torti Croce ad affermare che, in tal caso, egli sarebbe stato un ―mostro di natura‖, un ―ragazzo vecchio‖. Il giovane coglieva solo qualche tratto delle profonde riflessioni, sfuggendogli il senso generale di quelle teorie e delle loro complesse relazioni. Se, da un lato, egli già comprendeva «che l‘arte non è lavoro di riflessione e di logica, né prodotto di artificio, ma è spontanea e pura forma fantastica», dall‘altro lato, nelle pagine del Contributo, riconoscendo i limiti della sua ricezione del pensiero del critico, affermava: «Le ragioni filosofiche di questo concetto, i suoi necessari complementi, la concezione generale alla quale si congiunge, le conseguenze che ne derivano pel giudizio e per l‘azione, tutto ciò mi rimaneva oscuro e involuto, e solo a poco a poco sono andato poi svolgendolo e scorgendolo, né forse l‘ho ancora svolto e visto in ogni parte».71

Nel corso degli anni Croce rimediterà, approfondendole, le riflessioni di De Sanctis e, come si vedrà, anche attraverso le lezioni di Labriola, aprirà il proprio orizzonte a nuovi e diversi contributi, soprattutto filosofici, tanto che, con uno sguardo retrospettivo, descrivendo la propria formazione intellettuale, potrà affermare:

La mia condizione mentale di idealista desanctisiano in estetica, di herbartiano nella morale e in genere nella concezione dei valori, di antihegeliano e di antimetafisico nella teoria della storia e nella generale concezione del mondo, di naturalista o intellettualista nella gnoseologia, questi elementi non armonizzati ma nemmeno confusi tra loro, e piuttosto messi l‘uno accanto all‘altro come in un ordinamento provvisorio e lacunoso, si possono vedere riflessi già in alcuni articoletti da me pubblicati prima dei venti anni (e raccolti nel ricordato libretto Iuvenilia).72

Quel che più ci interessa, in questo momento, sono due dei punti trattati da Croce in questo testo: idealismo desanctisiano in estetica e antihegeliano e antimetafisico nella teoria della storia. Sono due punti importanti perché ci danno contezza della prima recezione crociana

71

Ibidem. «E non che Croce pretendesse di avere inteso De Sanctis fin da quei suoi commerci scolastici e infantili: egli confessa, anzi, di aver letto insieme lui e Carducci, e che Carducci aveva la palma; e, anche un po‘ più tardi, del suo prediletto autore egli coglieva appena, come scrisse, ―qualche tratto, e soprattutto, ma assai in grosso, questo concetto dominante: che l‘arte non è lavoro di riflessione e di logica, né prodotto di artificio, ma è spontanea e pura forma fantastica‖. Ma se si pensa che appunto l‘autonomia dell‘arte è la prima grande tesi filosofica di Croce, dalla quale venne via via cavando le necessarie implicazioni; che la necessità d‘un‘estetica nacque in lui dalla riflessione sulla critica letteraria, e questa riflessione da un tirocinio concreto; che la sua prima memoria filosofica verte sulla storia, ridotta, come suona quel titolo del ‗93, sotto il concetto generale dell‘arte, e che la storiografia da lui praticata allora non era meno letteraria che, per dir così, generale: le ragioni di quel tal patronato desanctisiano appariranno abbastanza legittime» (G. Contini, Croce e De Sanctis, in AA. VV., Omaggio a Croce. Saggi sull‟uomo e sull‟opera, Edizioni Radio Italiana, Torino 1953, p. 117).

72

49

del pensiero hegeliano. Croce ha assimilato da De Sanctis quella lettura originale – riforma apparirebbe in questo caso un termine improprio – della filosofia hegeliana che il critico venne maturando nel corso dei propri studi e dei differenti periodi che caratterizzarono la sua attività letteraria; essi vanno da un iniziale adesione, dovuta alla lettura delle lezioni di estetica, ad un confronto diretto delle maggiori opere di Hegel che lo conducono fino ad un periodo critico e di successivo distacco.

La questione relativa all‘hegelismo nel pensiero di De Sanctis rappresenta un nodo complesso, e non privo di difficoltà viste anche le varie fasi in cui essa si è articolata e la lettura originale che egli venne via via sviluppando. Si veda a titolo d‘esempio il giudizio di Garin:

Ma un posto a sé nell‘eco hegeliana in Italia spetta a Francesco De Sanctis, che lesse e meditò Hegel e Rosenkranz, ma in fondo per allontanarsene e condannare tutte quelle dottrine che scorgono nell‘arte la ―manifestazione dell‘idea‖, ―l‘ideale‖, una ―certa idea‖, per cui la forma diverrebbe quasi accessorio del concetto. La forma al contrario è il centro dell‘estetica, la forma vivente è tutto, e prima d‘essa c‘è solo il caos. ―Innanzi alla forma ci sta quello che era innanzi alla creazione, il caos‖; non contenuto prima e forma poi, non forma accanto a contenuto, ma forma come realtà concreta vivente unica. Che in questo fosse implicita una filosofia, ha mostrato il Croce, traendola alla luce. Che fosse già filosofia, che fosse unica via a quella filosofia, il Croce stesso l‘ha negato. […] Eppure si trattava indubbiamente di una grande esperienza, di una finezza profonda di critico, su cui poteva bene impiantarsi, come s‘impiantò, una ricca elaborazione filosofica.73

Qui, Garin mostra chiaramente come quello spirito filosofico che animava le riflessioni di De Sanctis, pur mancando di organicità, ha offerto alla speculazione successiva, prima fra tutte alla filosofia crociana, degli spunti importantissimi per gli sviluppi ulteriori di quelle teorie.

All‘interno del famosissimo saggio del 1896, La critica letteraria. Questioni teoriche,74

le cui pagine sono ispirate in gran parte dalle riflessioni di De Sanctis,75 Croce nel capitolo

73 E. Garin, Storia della filosofia italiana, vol. III, cit., pp.1240-1241. Si veda anche il giudizio espresso da

Attisani in merito all‘hegelismo desanctisiano. Scrive Attisani: «Hegeliano, dunque, il giovane De Sanctis, ma... ―con giudizio‖. In realtà, la sua adesione all‘estetica hegeliana non è totale e passiva, non solo per il rifiuto netto della teoria della transitorietà dell‘arte, ma anche e soprattutto per l‘accento ch‘egli pone, nell‘interpretare e far sua quell‘estetica, sul momento dell‘unità organica, o della simultaneità, com‘egli diceva, dell‘idea e della forma; ciò che  come riconoscerà più tardi  era, si, avvertito dall‘Hegel che ―congiungeva con rara penetrazione molta finezza di gusto e un sentimento squisito dell‘arte‖, ma ―non entrava naturalmente nel suo sistema‖, per il quale l‘importante è sempre l‘idea, la cosa manifestata, non già la forma, che invero a quella deve servire a ciò quella possa manifestarsi» (A. Attisani, L‟estetica di F. De

Sanctis e dell‟idealismo italiano, in AA. VV., Momenti e problemi di storia dell‟estetica, Marzorati, Milano

1979, p. 1444). Per una rapida analisi dell‘estetica desanctisiana, del suo svolgimento e dei suoi rapporti con la filosofia di Croce cfr. E. Cione, Dal De Sanctis al Novecento. Introduzione storica, in Id., Dal De Sanctis

al Novecento, Perinetti Casoni, Milano 1945, pp. 7-32.

74

B. Croce, La critica letteraria. Questioni teoriche (1986), in Id., Scritti su Francesco De Sanctis, a cura di T. Tagliaferro e F. Tessitore, vol II, Giannini, Napoli 2007, pp. 4-100.

75 Come sottolinea Gembillo in quest‘opera è possibile riscontrare «un tema che assumerà un rilievo

fondamentale nella fase successiva, e che qui viene chiaramente impostato, anche perché Croce lo trova, in maniera già sufficientemente determinata, nelle pagine di De Sanctis: si tratta del problema dei ―generi

50

relativo al giudizio intorno all‘opera letteraria di De Sanctis, dopo aver specificato che esistono vari aspetti che convivono nella figura del critico (filosofo estetico, espositore dell‘opera letteraria, critico, storico) si sofferma sul carattere speculativo. Scrive Croce:

Il De Sanctis filosofo estetico mosse, com‘è noto, dall‘estetica hegeliana. Ma dell‘estetica hegeliana colse la parte immarcescibile, che nello stesso Hegel non è espressa sempre con piena coscienza e conseguenza: la teoria che l‘arte è rappresentazione bella (= idealizzata = ridotta a ideale) della idea (= realtà). Tutte le discussioni sul significato e il valore metafisico dell‘idea hegeliana, fortunatamente, non lo toccarono e non lo turbarono sul terreno da lui conquistato, sul quale soltanto si può difendere la libertà e l‘indipendenza dell‘arte76

Se, da un lato, si potrebbe vedere nel De Sanctis uno dei primi divulgatori dell‘estetica hegeliana in Italia, dall‘altro, Croce ci tiene a precisare che nelle riflessioni del critico non si assiste ad una semplice attività di divulgazione, «perché non è lavoro di divulgatore l‘accettare, col beneficio dell‘inventario, le opinioni altrui. Né lavoro di divulgatore il ridurre a principio posto da altri un gran numero di fatti, che vagavano prima senza legge. E questo fece il De Sanctis rispetto all‘estetica hegeliana: in modo che, dallo studio dei suoi scritti, non poche correzioni e svolgimenti e chiarimenti derivano al pensiero estetico di Hegel».77 Certo, bisogna subito aggiungere che insieme a questi meriti si devono aggiungere anche numerose lacune e imperfezioni – se non ci fossero non si discuterebbe intorno alla possibilità di attribuire un valore filosofico al suo pensiero – primo fra tutti il non aver raccolto le proprie riflessioni all‘interno di un sistema definito. E ne tanto meno basterebbe raccogliere e ordinare quelle riflessioni sparse, mettendole l‘una accanto all‘altra, perché esse risulterebbero, in molti casi, fuori dal loro contesto, contraddittorie.

letterari‖, dal De Sanctis affrontato in maniera rapsodica, e a cui egli dà vera e propria consistenza teorica» Gembillo, Filosofia e scienze nel pensiero di Croce. Genesi di una distinzione, cit., p. 42

76 B. Croce, Scritti su Francesco De Sanctis, cit., p. 58. E continuava «Più tardi, estese l‘applicazione del

fecondo principio hegeliano allo studio dei capilavori della letteratura nazionale e di molti delle letterature straniere. […] I suoi meriti come divulgatore di tali vedute in Italia sono grandissimi e troppo torcono il muso sdegnosi dalle opere del De Sanctis, i quali non si accorgono di vivere del frutto del lavoro di lui, per quanto lo abbiano ricevuto di seconda e terza mano» (Ivi, p.59). Per un giudizio intorno all‘attività storico-critica di De Sanctis, e un‘attenta disamina, anche dal punto di vista teoretico, del suo lavoro intorno alla storia della letteratura cfr. F. Tessitore, Francesco De Sanctis e la Storia della letteratura italiana, in AA. VV.,

Risorgimento per lumi sparsi, a cura di F. Rizzo, Le Lettere, Firenze 2011, pp. 181-228. A proposito

dell‘opposizione dal critico sempre manifestata nei confronti dei sistemi rigidi e dei metodi astratti, e cercando di offrire una definizione della filosofia desanctisiana, scrive Tessitore: «Ciò significa che a De Sanctis è chiaro il comune carattere monistico dei sistemi filosofici dell‘idealismo e del positivismo. Di fronte ad essi la sua filosofia può essere definita (sia pure con la coscienza di rifuggire dalle definizioni) un maturo e compiuto storicismo che del maturo storicismo del secondo Ottocento condivide i problemi fondamentali: basti ricordare l‘attenzione prestata alla ricerca dell‘―uomo intero‖ o all‘insistenza sull‘idea di ―forza‖ come energia genetica, alla preoccupazione per la definizione delle scienze storiche come scienze etiche di fronte alle scienze naturali con le quali si vuole intendere il rapporto pur nella distinzione metodologica ed oggettuale. […] Uno storicismo che ha fatto, fino in fondo, i conti con l‘assoluto, con il monismo, con l‘ontologia e perciò congeda l‘idealismo e non si lascia confondere col positivismo» (F. Tessitore, Francesco De Sanctis e la Storia della letteratura italiana, cit., p. 226).

77

51

Tutto ciò è dovuto, probabilmente, alla repulsione che De Sanctis provava verso la forma del sistema. Si prenda ad esempio questa affermazione:

La verità è che io non sono un sistematico. Il sistema per me è una verità unilaterale, non è tutta la verità. Perciò aborro da‘sistemi, pur riconoscendo la loro necessità. Il sistema nasce da una nuova tendenza che si manifesta in opposizione al passato. La quale, ridotta in sistema, si attribuisce un valore assoluto, e nel calore della lotta vi aggiunge l‘esagerazione e l‘intolleranza della passione. Il sistema è necessario, perché gli uomini sono fatti così, e per pigliar bene la mira debbono chiudere un occhio. Suo contrapeso è il buon senso, che, presto o tardi, piglia il suo posto. Il mio temperamento intellettuale non mi ha reso mai inchinevole a opinioni estreme. Sotto le varie forme della mia esistenza sono stato sempre centro sinistro o sinistra moderata, così in politica come in arte Perciò aborro dai sistemi e dalle loro esagerazioni.78

Ma, nonostante la natura frammentaria delle riflessioni desanctisiane, Croce afferma che esse hanno un profondo carattere teoretico e che perciò De Sanctis può essere considerato «un vero filosofo, poco disciplinato, se vogliamo, ma un filosofo: un intelletto che dallo studio del particolare risaliva sempre al generale delle cose, ai loro concetti, e mai si lasciava distrarre da preoccupazioni e da pregiudizii e dall‘autorità delle opinioni altrui».79 È questo uno dei motivi che spinsero Croce a polemizzare con chi, come vedremo, non riconosceva a De Sanctis un posto all‘interno dello sviluppo della storia della filosofia italiana. Ed è probabilmente questo il motivo per cui Croce esprime la propria delusione a Gentile, il quale, nel suo studio sulle origini del pensiero filosofico italiano contemporaneo – opera che abbiamo citato nel corso della breve ricostruzione storica nel paragrafo iniziale

 lasciava fuori De Sanctis e Labriola, l‘altro grande maestro di Croce, dalle proprie analisi. Scrive Croce, nella sua lettera a Gentile, con un tono decisamente stizzito: «Tu ha intitolato la raccolta dei tuoi saggi Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Credi tu davvero che in quei filosofi, quasi tutti povera gente, da te esaminati, siano le nostre origini? Meno male che tu ci trovi lo Spaventa: io non ci trovo nemmeno i miei maestri, De Sanctis e Labriola. E se anche ce li trovassi, non in essi soli, né in essi soli intermediari, sentirei le mie origini».80

Croce vede nel De Sanctis uno dei suoi punti di riferimento essenziale e, nel suo particolare confronto con Hegel, un antecedente di quella operazione critica di rivitalizzazione della filosofia hegeliana che, tra fasi alterne, avrebbe impegnato più di metà della sua esistenza. Con quella secca battuta, Croce non lamentava soltanto una mancanza, ma, allo stesso tempo, approfittava dell‘occasione per prendere le distanze da

78 F. De Sanctis, Scritti varii inediti o rari, a cura di Benedetto Croce, Volume II, Morano e Figlio, Napoli

1898, pp. 83-84.

79 B. Croce, Scritti su Francesco De Sanctis, cit., p. 60. 80

52

quella linea di sviluppo dell‘hegelismo che, a partire da Spaventa conduceva fino all‘attualismo gentiliano. Come sottolinea Cotroneo, «rimane comunque il fatto che Croce, mentre si riconosceva in debito  come gli abbiamo sentito dire  verso l‘interpretazione hegeliana di Francesco De Sanctis (al quale Gentile non ritenne di dedicare un apposito capitolo, e nemmeno un paragrafo, nella sua storia dell‘hegelismo italiano); Croce, dunque, fu sempre convinto  né ci sembra possibile dargli torto  che la filosofia di Gentile, più che di Hegel fosse debitrice di quella, da lui mai apprezzata, di Bertrando Spaventa».81 Arrivati a questo punto è bene fare una piccola, ma molto importante, precisazione, prima di proseguire nel discorso relativo ai primi contatti di Croce con la filosofia di Hegel, ed è la questione resa evidente dallo stesso Croce nel momento in cui chiama in causa Spaventa in questo discorso sulle origini. Anche in questo caso giova sempre tornare a prestare attenzione alle pagine del Contributo. Scrive Croce: «Altra immaginazione o falsa congettura devo dichiarare quella del mio ―hegelismo‖, quasi tradizione domestica a me trapassata dal mio zio del lato paterno, Bertrando Spaventa, famoso hegeliano. Ho già detto come con lo Spaventa la mia famiglia avesse lasciato cadere ogni relazione; ma anche quando, recatomi a Roma in casa del fratello Silvio, ebbi tra mano per la prima volta i libri di Bertrando Spaventa, e mi provai a leggerli, essi, nonché iniziarmi allo hegelismo, piuttosto me ne stornarono».82 Il giovane Croce, privo di formazione filosofica, non

81 G. Cotroneo, L‟Ingresso nella modernità. Momenti della filosofia italiana tra Ottocento e Novecento,

Morano, Napoli 1992, pp.121-122. «In realtà Bertrando Spaventa (dal quale, non a caso, nel 1926 Croce negherà ogni provenienza nella polemica individuazione d‘una propria genealogia intellettuale assolutamente non omologabile a quella di Gentile, riformatore di un riformatore di Hegel senza la forza di tagliare il ciò che è vivo e il ciò che è morto); Bertrando Spaventa non aveva davvero ripensato e perciò superato Hegel nel suo proprio e diverso ordine di pensieri, come, invece, aveva fatto De Sanctis e come Croce faceva con De