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Arrivati a questo punto giova aprire una piccola parentesi riguardante il discorso appena fatto sull‘hegelismo di De Sanctis e di Labriola: il significato di tale operazione non è quello di affermare che il giovane studioso – che per sua stessa ammissione, come si è visto, dichiarava di avere chiari soltanto alcuni tratti di quelle riflessioni – abbia accolto in maniera già formata le profonde analisi che i due pensatori avevano prodotto nel loro confronto con il pensiero hegeliano, e nel fare ciò, rintracciare una sorta di hegelismo crociano già formato nei primi anni del suo sviluppo intellettuale. Ne, tantomeno, giustifica l‘idea di un hegelismo incipiente che, come seme gettato nella fertile mente del giovane Croce, dovesse necessariamente germogliare e mostrare, in un processo graduale ma inesorabile, i propri frutti più maturi a distanza di qualche anno.

Al contrario, ciò che si cerca di mostrare è che, nonostante il fatto che le due figure cardinali della formazione crociana avessero compiuto una critica profonda delle teorie hegeliane, Croce, in un primo momento, di questa critica, coglie poco o niente, solo alcuni tratti sparsi, e, anzi, di quelle riflessioni fa propri soltanto alcuni caratteri dell‘antihegelismo che quelle letture originali in parte sottendevano. E se, nelle pagine del

Contributo, Croce, nella sua ricostruzione, attenua in qualche modo questo suo originario

antihegelismo, ad esempio definendosi idealista desanctisiano, nella risposta ad alcune critiche di hegelismo ricevute in seguito alla Memoria del 1893, risponderà, e non si può dargli torto, che quella è un opera di respiro antihegeliano. Ma questo lo si vedrà più avanti.

Per ora bisogna sottolineare che dell‘hegelismo dei due maestri – e non sarebbe troppo azzardato affermare che anche nello Spaventa, e nella sua originale lettura ermeneutica della filosofia hegeliana, avrebbe potuto trovare alcuni elementi originali per il suo futuro confronto con Hegel – Croce comincia a intuirne il metodo critico, quel saper cogliere la parte viva del sistema e rigettarne gli abusi e le parti erronee, che essi hanno usato per rapportarsi al pensiero hegeliano. Il fatto che nelle loro riflessioni questi maestri abbiano compiuto un operazione di discernimento delle teorie hegeliane lascia supporre che, nelle lunghe ore in cui si immerse nella lettura dei lavori di De Sanctis, e nelle intense discussioni – per non parlare delle importanti riflessioni ascoltate nel corso delle lezioni – che animarono il soggiorno romano, Croce sia stato costantemente sottoposto a degli stimoli che, seppure non riusciva a comprendere in maniera organica e teoreticamente

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matura, dovevano comunque agire, in maniera feconda, sul proprio percorso formativo.127 «Se, dunque, il periodo giovanile del pensiero di Croce è caratterizzato dalla conoscenza indiretta del pensiero hegeliano, esso, tuttavia, alla luce dei successivi sviluppi, non lo ha portato fuori strada, non lo ha indotto a emettere giudizi affrettati e sommari nei confronti di Hegel».128 Hegel, seppur un Hegel di seconda mano, resta sempre un punto di riferimento all‘interno delle prime opere crociane.

«Questo non vuol dire, ovviamente, che il suo approccio è da considerarsi soddisfacente. […] Croce si ferma soltanto, e sia pure acutamente, sugli aspetti negativi del pensiero di Hegel; lo considera quasi come colui che ha rappresentato in maniera eminente gli errori della ―filosofia‖. Di quella filosofia entro la quale non si accorge di essere entrato, se è vero che si preoccupa di definire il senso e il limite dell‘arte, della storia, della scienza, ma non quelli del ―metodo‖ in funzione del quale egli si pone le domande e persegue con rigore logico le relative risposte».129 Soltanto quando Croce, nel corso della propria lenta maturazione filosofica, inaugurata, nella fase iniziale, dalla Memoria del 1893, opera ancora acerba dal punto di vista filosofico, ma ricca di spunti importantissimi, prenderà coscienza della natura delle proprie riflessioni sentirà in maniera decisiva la necessità del confronto; soltanto quando «si renderà conto di ―fare filosofia‖ non casualmente ma in maniera consapevole e metodica […] sentirà il bisogno di ripensare a Hegel come filosofo in senso positivo».130

Un esempio di questo carattere della prima formazione crociana è dato dalla commemorazione, letta nel 1892 all‘Accademia Pontaniana, dedicata alla figura di Giacomo Lignana, grande filologo e oppositore della filosofia hegeliana, che, come si vedrà, scatenerà la reazione di Donato Jaja, hegeliano discepolo di Spaventa.

Dopo un rapido profilo biografico del filologo, in cui Croce si concentra su alcuni cenni biografici e sugli interessi di studio che lo coinvolsero nel corso della sua attività di studioso, Croce passa a descrivere alcuni temi essenziali del suo lavoro. E in particolare si

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Come sottolinea Franchini, parlando delle riflessioni di Labriola, che tanto affascinarono il giovane studioso, queste «restarono come impressioni durature, destinate a cangiarsi in convinzioni meditate e mediate nel corso del lungo sviluppo del suo pensiero. Quando poi nel 1887 il Labriola passò a trattare della Filosofia della Storia, egli si accostò per la prima volta all‘hegelismo, […]. Ma furono influssi che per il momento non dovevano lasciar tracce rilevanti nella sua produzione se la prima opera decisamente filosofica da lui pubblicata, la memoria pontaniana dal titolo La storia ridotta sotto il concetto generale dell‟arte, che è del 1893, non lascia trasparire influssi hegeliani o herbartiani» (R. Franchini, Esperienze dello storicismo, Giannini, Napoli 1953, p. 149).

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G. Gembillo, Tra confronto e dialogo, in B. Croce, Dialogo con Hegel, a cura di G. Gembillo, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1995, p. 13.

129 Ibidem. 130 Ibidem.

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sofferma sull‘antihegelismo che aveva attraversato l‘opera di Lignana, soprattutto per quanto riguarda il problema della storia:

Contro l‘indirizzo hegeliano, allora prevalente, il Lignana ebbe parole vivaci, che suscitarono proteste e dispute. ―Quasi mi vuol parere‖ — egli scrisse — ―che l‘epoca delle enciclopedie scientifiche sia chiusa per sempre, che questi tentativi di dedurre da un sol principio la natura e lo spirito, l‘essere e il pensare, non sieno più consentanei all‘indole della scienza moderna‖. Intorno alla filosofia della storia, intesa nel senso hegeliano, scrisse anche: ―La filosofia della storia, sebbene già divisa da taluno in tanti capitoli e paragrafi, come sistema, è ancora molto lontana‖. E altrove, scoprendo chiaramente l‘allusione allo Hegel e al suo tentativo di esporre la storia dell‘umanità come processo dialettico di un principio universale, diceva: ―Che valore ha questa dialettica storica, che fa mongola l‘India ariana, semitico il genio dell‘Iran, e prepara nell‘Egitto l‘ellenismo? Io so che il Maestro non ha corretto il testamento e ch‘esso, con tutti questi errori, è una delle rivelazioni più importanti della filosofia del secolo XIX; ma so pure che la rettificazione è succeduta, ch‘è venuto il tempo di un giudizio critico della filosofia tedesca‖.131

Dopo aver richiamato il clima culturale della seconda metà dell‘Ottocento, quando, come si è visto, l‘hegelismo si era diffuso a Napoli, e «uomini di forte ingegno, i cui nomi sono presenti a […] tutti, propugnavano con molto onore quel sistema»,132 il giovane filosofo sottolinea l‘esagerazione che, via via, si è venuta facendo di quella filosofia e che ha suscitato le reazioni di molti studiosi, tra i quali Lignana: «Ma, d‘altra parte, che cosa era diventato Hegel in certi cervelli!»133 A titolo di esempio, Croce riporta il curioso caso di uno scrittore napoletano che utilizzava le teorie logiche hegeliane per dimostrare l‘autenticità di alcuni scritti deducendo a piacere conseguenze per lui necessarie.134

Croce, pur riconoscendo la grandezza del sistema hegeliano, mette l‘accento sugli errori di questo, rimanendo fedele a quell‘atteggiamento che, come si è visto, ha connotato le sue prime riflessioni intorno alla filosofia di Hegel. Scrive Croce: «Lungi da me il pensiero di parlare dello Hegel e del suo sistema con quella mancanza di rispetto che ora è d‘uso, e che mi par propria di gente che nulla sa dell‘uno e dell‘altro. Gli errori dei grandi uomini sono gli errori stessi della mente umana, e degni dello studio più profondo come parte eterna di noi. Ma credo anch‘io che i principi fondamentali, e specialmente il metodo, di quel sistema siano interamente errati; e le dannose conseguenze di questo errore si fecero chiari nelle discipline particolari».135 Come si vede, leggendo tra le righe, è già accennato uno dei temi

131 B. Croce, Pagine sparse. Serie terza. Memorie, schizzi biografici e appunti storici, a cura di G.

Castellano, Ricciardi, Napoli 1920, p. 77.

132 Ivi, p. 75. 133 Ibidem.

134 «Non conosco caricatura più graziosa, sebbene involontaria, della filosofia hegeliana di quella che fece

uno scrittore napoletano, quando, agitandosi allora la questione circa l‘autenticità dei Diurnali di Matteo Spinelli da Giovenazzo, saltò su ad affermare che la questione si risolveva facilmente coi ―principi razionali della scuola germanica‖, in forza dei quali appariva evidente, per necessaria deduzione, che nel secolo XIII un Matteo Spinelli ―era dovuto‖ esistere, e nel secolo XVI un falsificatore di quella cronaca ―non aveva potuto‖ esistere» (B. Croce, Pagine sparse. Serie terza., cit., pp. 75-76).

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che, sviluppato e approfondito, sarà centrale all‘interno del saggio hegeliano del 1906, quello della metamorfosi dei concetti particolari in errori filosofici. Ma rimane pur sempre il giudizio estremamente negativo –―i principi fondamentali, e specialmente il metodo, di quel sistema siano interamente errati‖ – in cui l‘accento rimane solo sull‘opposizione e la critica non è rivolta a riconoscere la parte viva di quel sistema, o se lo è, è ancora immatura e lontana da quella che sarà l‘operazione di confronto che Croce, qualche anno più tardi, intraprenderà.

Questa nettezza nel giudizio di Croce suscitò la reazione di Jaja che, in una lettera indirizzata allo studioso, scriveva: «Ho letto ciò che pensate dell‘Hegel e della sua dottrina. No, caro Benedetto, non sono sbagliati in Hegel il metodo e i principi. Ciò che in voi va modificato è il concetto, che, in questo primo stadio del sapere, avete del sapere. Altro il terreno della ricerca speculativa, specialmente com‘era possibile in Hegel dopo il nostro Risorgimento e Cartesio e Spinoza e Kant, altri i principi e il metodo di tale ricerca. Il sapere, coi metodi delle ricerche naturali e storiche, non basta, non appaga, non leva, direi, tutta l‘acquolina dalla bocca».136

Quella di Jaja appare come una profonda requisitoria nei confronti di Croce, indirizzata a criticare la sua concezione ancora immatura, a parere dello studioso, del sapere filosofico, e i metodi usati dal giovane, troppo legati alle discipline storiche e alla ricerca filologica. Croce, ed è un dato di fatto, ancora non ha sviluppato in maniera matura la propria dimensione teoretica, nonostante i profondi stimoli che le riflessioni di De Sanctis e di Labriola gli avevano offerto, anzi, tornato a Napoli, il giovane studioso si era immerso nelle ricerche storico-filologiche, mettendo da parte quelle riflessioni che, pian piano, erano venute sviluppandosi nel corso della sua formazione, e ripiombando così in una sorta di ―sonno erudito‖.

Jaja, da parte sua, vedeva in quelle parole un attacco diretto al nucleo fondamentale della filosofia hegeliana che, sulla scorta del maestro Spaventa, egli aveva abbracciato e fatto propria, attraverso lo studio appassionato e tenace che quel pensiero, profondo e arduo, meritava. Ed infatti, così continuava:

Ecco la corda viva! Hegel, è vero, è duro. Non appartiene tutta a lui la durezza, né la durezza è nelle sole parole e nello stile. Non si spiana la prima volta un difficilissimo sentiero, senza che occorra rispianarlo ancora, che talvolta può essere come uno spianarlo la prima volta. Ma le somme linee sono segnate, la gran via è tracciata. Hegel non s‘intende alla prima, e sopra tutto guai a dargli la scalata di fronte, e non girarlo nella derivazione storica de‘ sistemi. Questo bisogno è reale per ogni sistema filosofico di qualche valore, ma in Hegel è un bisogno al tutto imprescindibile. La posizione dell‘Hegel (il suo metodo, i suoi principi) è ciò che vi ha di più alieno dalla vita del pensiero di tutti i giorni, dal comune conoscere, dal modo con cui procediamo nella conoscenza dei fenomeni del

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mondo, che di tanto giusto orgoglio riempie gli animi delle nuove generazioni, da Bacone a Galilei a noi.137

Il primo approccio alla filosofia hegeliana, riconosce Jaja, è difficoltoso; essa è paragonata ad un difficile sentiero che per essere tracciato deve essere attraversato più volte, percorso con assiduità e impegno. Il nucleo del pensiero di Hegel è difficile da raggiungere, ma se alla prima può sembrare inaccessibile, una volta dischiuso esso svela la propria profondità, esso supera la superficiale conoscenza dei fenomeni che il pensiero moderno prima di Hegel ci ha mostrato, arrivando al cuore della realtà, del suo palpitante divenire. Scrive Jaja continuando la sua dichiarazione d‘amore nei confronti della filosofia hegeliana: «Le grandi linee della sua dottrina m‘innamorano, mi riempiono, me le trovo tutti i giorni sotto la penna, sulla cattedra, tutte le volte che la superficie non mi contenta, e cerco il fondo. Non è vero che io le prendo da lui o da alcuno; son mie, le sento come cosa mia, come parte mia vitale».138 Quella di Jaja è una esaltazione accorata del pensiero hegeliano, una dichiarazione ricca di passione e di sentimento, una partecipazione profonda che, in quelle righe dirette a Croce, viene affermata quasi come una professione di fede. Dopo il rimprovero nei confronti dell‘affrettato giudizio crociano, e l‘esaltazione delle linee principali del pensiero hegeliano, Jaja raccomanda a Croce, richiamando la sua parentela con i due Spaventa, di approfondire lo studio di Hegel. Scrive Jaja, con tono più pacato: «Sentite, caro Benedetto. Vi ha un proverbio nelle, province nostre, che dice figlio di gatto, piglierà i suoi topi. E figlio di gatto voi siete; siete nipote a Bertrando e Silvio Spaventa, siete concittadino di Camillo De Meìs; su con gli studi, e piglierete i vostri topi»139

Nella sua lettera di risposta del 23 giugno Croce ringrazia Jaja per l‘interesse mostrato nei confronti dei propri studi. Se, da un lato, quelle parole appassionate con cui Jaja aveva difeso la filosofia hegeliana, lo spingevano ad approfondire in maniera più seria le linee principali del pensiero di Hegel, dall‘altro, Croce ci teneva a ribadire che le proprie posizioni nei confronti della filosofia della storia hegeliana – tema sul quale aveva riflettuto in maniera continua attraverso le considerazioni di Labriola e, come si vedrà, dello storicismo tedesco – rimanevano in lui ben salde, e non passibili di modifica. E, infatti, afferma: «Ciò che mi dite dell‘indirizzo hegelliano mi richiama a studiare con maggior forza quella filosofia. Io scrissi quelle parole intorno all‘indirizzo hegelliano, avendo in mira principalmente la filosofia della storia dello Hegel, alla quale anche si riferiscono le critiche del Lignana. E per ciò che riguarda la concezione hegelliana della

137 Ivi, p. 60. 138 Ibidem. 139

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storia, anche ora, ripensandoci, non mi riesce di trovar la via di dubitare del mio giudizio negativo».140

Croce, quindi, riconosce l‘insufficienza della propria conoscenza del sistema hegeliano che, come si è visto, ancora non ha studiato in maniera assidua, se non tramite i riferimenti incontrati nelle opere dei suoi maestri, e nelle tante critiche disseminate nelle maggiori opere della letteratura filosofica contemporanea. Allo stato attuale le conoscenze di Croce si limitano ad una lettura delle lezioni di Estetica e della filosofia della storia, e qualche conoscenza di seconda mano del resto del sistema. La formazione filosofica di Croce è ancora incompleta, ma la lettera di risposta a Jaja è importantissima per la dichiarazione di intenti, un vero e proprio programma di studi, che Croce vi inserisce. Scrive Croce: «Perché, ormai, io ho 23 anni, ed è tempo che mi circoscriva in un campo di studii, o magari in due, ma che mi circoscriva. E avendo riguardo agli studi fatti finora, e alle mie tendenze, come sono potuto venirle scoprendo, io ho stabilito di fare due generi di studii, da menare innanzi, alternando: studii storici, riguardanti la storia intima d‘Italia, degli ultimi tre o quattro secoli; e studi filosofici, riguardanti principalmente: la filosofia della storia e la filosofia dell‘arte».141

Croce manifesta il bisogno, arrivato ad un punto importante della propria formazione, di intraprendere un percorso di affinamento storico- filosofico, lasciando da parte altri tipi di ricerca fini a se stessa, e approfondendo in maniera seria i propri studi filosofici, sentendo questo approfondimento come un bisogno ineludibile per rispondere ai problemi sorti nel corso delle propri indagini storiche. Non è un caso che, di qui a due anni, Croce comporrà la famosa memoria, La storia ridotta sotto

il concetto generale dell‟arte, in cui farà un primo, ma importante, esercizio di riflessione

filosofica, applicata ai temi e ai problemi nascenti dalla storia.

Quel bisogno, come si è visto, nasceva da una sorta di disagio che la sua attività di erudito cominciava a causare nel suo animo. Un malessere che, in una pagina molto importante costituita da un‘intervista pubblicata, l‘11 ottobre del 1908, nel Marzocco dal giornalista Luigi Ambrosini, con il titolo, dalla forte connotazione autobiografica, Discorrendo di sé

stesso e del mondo letterario,142 diventa uno degli elementi principali che condussero Croce ad approfondire la propria tendenza filosofica. Ambrosini rivolgeva a Croce questa domanda: «Sono appunto venuto per potervi conoscere più da vicino, non attraverso le opere ma col tramite della vostra parola. Da tempo ho bisogno di render conto a me stesso

140 Ivi, p. 64 141 Ibidem.

142 La conversazione si tenne a Cesena alla presenza, oltre che di Ambrosini e dello stesso Croce, di

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con precisione del come siete voi fatto: sotto la vostra armatura di scrittore vorrei giungere a toccar col pollice la nuda pelle dell‘uomo… Per esempio: perché non cominciaste filosofo? A che punto sono rimasti, nelle vie del vostro spirito, i primi lavori di erudizione?».143 Una domanda che mette bene a fuoco quel punto della lettera indirizzata a Jaja in cui Croce esprimeva la propria dichiarazione di intenti. E ancor più a fuoco la mette la risposta che Croce, in forma di racconto autobiografico, ha dato a quella domanda. «Sono giunto tardi alla filosofia. […] Avevo le mie spalle di erudito belle e assodate e ancora non mi ero accorto di averci sopra una testa di filosofo. I filosofi li ho guardati un bel pezzo di lontano, e tutti con infinito rispetto. Credevo io di non capir nulla ed essi tutto».144 Gli studi eruditi rappresentano la parte preminente, se non esclusiva, dell‘attività di Croce, almeno fino ai primi anni ‘90, soddisfacendo quella curiosità, connaturata nell‘animo del giovane Croce, per i fatti umani, l‘aneddoto succoso e il particolare biografico. Continua Croce: «Ricorderò che nel 1891 mi diedi a un‘orgia di pubblicazioni erudite: memorie, opuscoli, articoli, un grosso libro sul teatro napoletano, tanta roba, troppa roba. Ne restai col cervello vuoto, con lo spirito nauseato. Quello non era un costruire, era un ammucchiare. E per qualche mese vissi in un profondo scontento, in un malessere indefinito, tirando innanzi alla stracca per la via che ormai non era più la mia. Dentro mi maturava la negazione di quel che facevo fuori».145 Croce sente che quel mondo nel quale si era immerso lungo il corso della propria giovinezza, non rispondeva più alle proprie esigenze intellettuali, o in maniera ancora più profonda, al proprio bisogno spirituale. La mera erudizione, riempendo le sue opere di aneddoti, svuotava il suo spirito, impoverendo la sua attitudine filosofica, la quale, come si è visto, era emersa come componente essenziale della sua personalità, per essere subito soffocata con il ritorno a Napoli. Ma le problematiche collegate alle ricerche intorno alla storia e alla letteratura agivano dentro il giovane, agitando il suo animo, e provocando quello stato di profondo malessere, che, come testimonia Croce nel corso dell‘intervista, lo porta a mettere in crisi il senso della propria attività di ricerca, ponendo un dilemma difficile da affrontare perché comportava la messa in discussione di una parte intera della propria vita intellettuale. Un