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La nascita del positivismo italiano: Croce e le ragioni di un opposizione

L‘hegelismo lasciava aperta una sfida difficile, poiché, insieme al suo declino faceva la sua comparsa, nella scena italiana di quegli anni, un‘altra importante corrente filosofica che, come accadde per l‘idealismo, si affacciava tardivamente sul dibattito scientifico-filosofico della nostra penisola, ma che, nonostante questo ritardo, ebbe importanti e originali sviluppi: il positivismo.

Anche la ricostruzione di questo movimento, nato, in parte, come reazione agli eccessi di un certo pensiero metafisico – e come non pensare alle esagerazioni operate da alcuni hegeliani – risulta essenziale per cogliere i caratteri più significativi della formazione crociana. Prima di proseguire nelle analisi intorno alla reazione crociana al positivismo è bene, però, offrire una rapida ricostruzione storica del panorama culturale in cui tale opposizione è maturata. Come è noto, il positivismo, fece la sua comparsa intorno alla metà del secolo XIX, in parte, come reazione agli eccessi dell‘idealismo,29

sclerotizzato nella sua essenza dall‘estremizzazione operata degli scolari di Hegel (e, in parte, con la diretta responsabilità dello stesso Hegel) della filosofia del maestro, e, per altri aspetti, come conseguenza degli importantissimi cambiamenti che, in un breve torno di anni, rivoluzionarono il quadro politico, culturale ed economico del continente europeo.

Non è un caso che Giuseppe Galasso, nei primi capitoli della sua importante opera intorno alla figura di Benedetto Croce, Croce e lo spirito del suo tempo30, offra un‘analisi estremamente approfondita dei fermenti che agitarono il panorama europeo e ricostruisca, in maniera puntuale ed efficace, quelle dinamiche che, a partire dal 1948, misero in movimento l‘Europa scuotendo i diversi ambiti della vita e dello spirito dell‘epoca.

Nonostante le diverse istanze che stavano alla base di tale rivoluzione,

vi fu un momento centrale, ed eminente se non unificante, di quella varietà, e fu la consacrazione delle scienze come campo della massima capacità conoscitiva dell‘uomo e, insieme, come applicazioni esemplari di quel che sono il metodo autentico della reale conoscenza umana e i criteri effettivi della razionalità scientifica, e quindi anche il modello da perseguire e realizzare in ogni

29 «La tendenza al positivismo e alla liquidazione si manifesta con forza a livello europeo e, se in Francia ha

come bersaglio (non più in nome della religione positiva bensì della scienza positiva) la precedente tradizione illuministica e rivoluzionaria, in Germania ha come bersaglio la tradizione filosofica culminata in Hegel, liquidata pur sempre in quanto sinonimo di metafisica: dopo aver svolto un ruolo essenziale, a livello europeo, nella preparazione ideologica del ‗48, ora la filosofia in quanto tale e la filosofia hegeliana in particolare è costretta a subire le conseguenze della sconfitta» (D. Losurdo, Dai fratelli Spaventa A

Gramsci…, cit., p. 36).

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altro campo della conoscenza e dell‘azione umana. L‘espressione più matura e completa di questo trionfo delle scienze fu, nelle sue varie articolazioni, il positivismo.31

L‘ambizione fondamentale del positivismo fu quella di attuare la riduzione di ogni aspetto della vita, sia esso naturale o spirituale, al metodo delle scienze; rendere misurabile e quindi conoscibile anche il più inaccessibile aspetto della realtà. La quantità, una volta omogeneizzata la dimensione qualitativa, si presentò come la categoria principale attraverso cui qualificare la realtà, la quale, a sua volta, privata del carattere spirituale divenne un ammasso omogeneo di oggetti astratti tenuti insieme da un freddo meccanicismo. In tale sistema, l‘uomo stesso cominciò a perdere, in maniera graduale, la propria veste spirituale e, trasformato in un cumulo di atomi psichici, non riuscì a sfuggire alla lunga mano di quella nuova scienza, la psicologia, che si fece carico di liberare il soggetto ‒ che diviene piuttosto freddo oggetto inerte nelle mani dello scienziato ‒ da ogni male interiore, a eliminare ogni inceppo all‘interno del meccanismo.

In un periodo di agitazioni sociali, in cui i valori tradizionali, e i sistemi di pensiero che ne stavano alla base, cominciarono a mostrare le prime crepe, e cominciavano ad avviarsi verso il loro definitivo e inesorabile crollo, il positivismo si presentò, per i motivi che abbiamo ricordato, come una forza irresistibile, capace di scalzare il vecchio apparato e, attraverso la fede incontrastata nel progresso e nella razionalità scientifica, prenderne il posto. In questa prospettiva, il positivismo «non va giudicato come una affermazione filosofica, quale indubbiamente è, ma va giudicato innanzitutto e soprattutto in relazione allo sviluppo scientifico della sua epoca. È da questa relazione che il positivismo assume la forza d‘urto e di diffusione che lo qualifica come la filosofia della sua epoca».32

L‘estrema fiducia nei confronti del positivismo può essere interpretata, quindi, per certi aspetti, come una delle conseguenze dello sconvolgimento che, nel campo tecnico-economico, aveva comportato la rivoluzione industriale. I sorprendenti risultati che rivoluzionarono in pochi

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G. Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, cit., p. 23. Scrive Coppolino, sottolineando il valore programmatico di questa nuova corrente di pensiero, che si presentava come la risposta ai problemi della società europea travagliata dalla crisi dei grandi sistemi: «Volendo delineare in generale una caratterizzazione del programma di questa filosofia scientifica – che è poi più un orientamento che una costruzione filosofica sistematica, che si afferma in Europa soprattutto nella seconda metà del secolo decimo- nono – si può dire che si tratta della convinzione che la scienza possa risolvere tutti i problemi che lo spirito umano riesce a porsi in modo ragionevole, e che – viceversa – non riconosce alcuna legittimità a problemi filosofici diversi dai problemi scientifici» (S. Coppolino, Temi e problemi della cultura filosofica del „900, Antonio Perna editore, Messina 1992, p. 15). Nel capitolo intitolato Scienza e filosofia nella cultura italiana

del primo Novecento ( Ivi, pp. 9-51), Coppolino propone una ampia riflessione intorno al contesto scientifico-

filosofico italiano dei primi del Novecento, mettendo in evidenza le questioni teoretiche e metodologiche che, non senza polemiche, lo hanno animato.

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decenni il modo di vivere degli europei consegnarono nelle mani del positivismo un enorme potere persuasivo.

E per quanto riguarda l‘Italia? Quali furono le dinamiche che accompagnarono lo sviluppo del movimento positivistico? Quali le esigenze che ne stavano alla base? E soprattutto quali le sue relazioni, non soltanto di natura oppositiva, con l‘hegelismo?

Sarebbe alquanto riduttivo vedere nel positivismo italiano solo un semplice contraccolpo all‘hegelismo. Certo, esso nacque, in parte, come una genuina reazione, ed è questo il suo merito maggiore, alla metafisica sclerotizzata – solo in minima parte riconducibile ad una matrice idealistica – che dominava il piano speculativo italiano. Scrive in proposito De Ruggiero:

In fondo, chi pensi in che condizione miserevole si era ridotta la metafisica in Italia, tra il platonismo annacquato degli uni, l‘inconcludenza semi scettica degli altri, e qualche riesumazione di tomismo per giunta, non preannunziata in alcun modo dallo stato precedente della cultura e voluta con qualche sforzo, non può che considerare come un progresso quel positivismo, che almeno si presentava come critica delle vane ideologie e richiamava le menti allo studio dei fatti.33

Quindi, il positivismo, che arrivava in Italia con ampio ritardo rispetto al resto d‘Europa, per certi aspetti, si faceva portatore di una sana esigenza, ed era pronto a scuotere dal torpore in cui erano caduti numerosi settori della cultura italiana, dalla scienza alla storia, dalla medicina alla filologia, attraverso il richiamo al concreto e alla ricerca dei fatti. Se si dovesse scegliere una data precisa – anche se nella storia, e nel suo complesso sviluppo non è sempre facile, se non affidandosi all‘arbitrio, determinare delle cesure nette – per determinare l‘ingresso del positivismo nella tradizione filosofica italiana, il 1865 rappresenta un anno decisivo. Certo, la maggior parte degli studiosi che si sono occupati di storia della filosofia italiana rintracciano una prima forma di metodo positivistico, o comunque un rappresentante di quelle istanze che verranno fatte proprie dal movimento, in Carlo Cattaneo.34 Ma lasciando da parte la questione, sempre complicata, dei precursori,

33 G. De Ruggiero, La filosofia contemporanea, vol. II, Laterza, Bari 1929, p. 113. Dello stesso avviso Garin

che ribadisce: «D‘altra parte non è esatto neppure vedere nel positivismo esclusivamente la reazione all‘idealismo; se di reazione si deve parlare, converrà piuttosto riferirsi alle ultime scialbe forme di spiritualismo, dal Mamiani al Conti, in cui veniva esalandosi in tenui sospiri l‘anima bella dei retori nostrani» (E. Garin, Storia della filosofia italiana, vol. III, cit., p.1244).

34 Gentile, nel volume della sua storia della filosofia italiana dedicata al positivismo, esprimendo il proprio

disaccordo con Ardigò – il quale rintracciava, come si vedrà più avanti, in un saggio del Villari la fondazione del positivismo italiano – affermava: «Carlo Cattaneo, aveva da circa un decennio dette le stesse cose. La prosapia positivistica è più antica, dunque, e più illustre. C. Cattaneo, fu uomo d‘intelligenza superiore e di dottrina universale, scrittore di un‘energia, di una potenza plastica, di una lucidezza, che pochi gli possono stare a canto nella nostra letteratura; carattere antico. Negli studi linguistici e negli economici stampò orme profonde; negli scritti storici, specialmente nelle Notizie sulla Lombardia (1844) e nel libro su l‟Insurrezione

di Milano nel 1848 (1848), diè prova di una penetrazione realistica, di un vigore di sintesi, di un‘efficacia di

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come si già accennato, è il 1865 la data più significativa della storia del positivismo filosofico italiano.35 È l‘anno in cui Villari legge la sua famosa prolusione, intitolata La

filosofia positiva e il metodo storico,36 in cui segnala l‘esigenza di rinunciare a quella conoscenza assoluta che ha contraddistinto gran parte del pensiero filosofico, e di ritornare ai fatti, cercando di rintracciare le leggi che ne stanno alla base. Ritornare al concreto,

anch‘egli, fu un filosofo?» (G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. II. I positivisti, Principato, Messina 1921, p. 2). Dello stesso avviso De Ruggiero, anche se più parsimonioso nei complimenti: «Uno dei primi positivisti è il Cattaneo, un diligente studioso di scienze sociali. Uomo di spirito veramente positivo, egli combatte la metafisica come una scienza vana, che non serve a niente» (G. De Ruggiero, La filosofia contemporanea, vol.II. cit., p. 114). De Ruggiero, commentando le idee di Cattaneo riguardanti l‘esperienza come azione del fenomeno, che è reale, sulla coscienza dell‘individuo che, infine, misura quelle forze che provengono dall‘esterno, afferma che «non si tratta cioè che di quel mero soggettivismo contro cui un Kant e un Rosmini avevano reagito, per la buona ragione che esso non giova a fondare l‘oggettività del sapere. Kant e Rosmini erano dunque più positivisti del Cattaneo!» ( Ivi, p.115) L‘autore, nello spiegare il perché di tanta attenzione dedicata a Cattaneo nel corso dell‘esposizione, non si risparmia una stoccata contro il positivismo successivo, ribadendo che si è soffermato a «parlare del Cattaneo, sia perchè è il più intelligente dei vecchi positivisti, sia perché l‘esposizione che [si è] fatto della sua dottrina ci risparmia la pena di parlar minutamente di altri scrittori. In fondo si rassomigliano tutti: il Villari, il Gabelli, l‘Angiulli, per citare i maggiori. Sono in genere specialisti che vogliono allontanare lo spauracchio della metafisica, che spesso è il fantoccio della loro immaginazione» (Ibidem). Garin, nel descrivere il metodo che sta alla base dell‘atteggiamento positivistico, scrive: «Il metodo dell‘indagine dev‘essere rigorosamente scientifico, deve conformarsi al processo di tutte le scienze, per sostituire alle vane discussioni dei metafisici e dei teologi quella ―unanimità ch‘è principio delle scienze sperimentali‖ […]. Fatti, dunque, e metodo scientifico; anzi, sintesi dei resultati delle altre scienze per collocare nella trama della realtà l‘uomo verso il quale viene fatto convergere il tutto» (E. Garin, Storia della filosofia italiana, vol. III, cit., p.1187). Ma, a differenza degli altri, ammette l‘immagine di un Cattaneo positivista, potremmo dire, ―con riserva‖; egli afferma, infatti, che «solo impropriamente può parlarsi di un positivismo vero e proprio del Cattaneo, di cui pure sono fondamentali e il metodo d‘indagine e l‘interesse per la ricerca sociologica» (

Ivi, p. 1245). Sulla stessa linea il giudizio di Bobbio che nell‘Introduzione a un testo di Cattaneo afferma: «Se

positivista poté sembrare, lo fu per quel tanto che il positivismo accolse e riprodusse dell‘illuminismo, unendo l‘Ottocento al Settecento al disopra dell‘idealismo trascendentale e dell‘ontologismo spiritualistico» (N. Bobbio, Introduzione in C. Cattaneo, Stati uniti d‟Italia, a cura di N. Bobbio, Chiantore, Torino 1945, p.14). «Per la stessa ragione onde il Cattaneo non fu positivista, ma scienziato positivo, può dirsi ora che più che razionalista fu uomo di ragione» (Ivi, p.15). «La verità è che il Cattaneo, come non fu né positivista né razionalista, non fu nemmeno storicista, ma soprattutto storico, scienziato della storia, tendente a portare la sua mentalità di uomo positivo e di ragione pur nell‘immenso e ancora in gran parte imperscrutato mondo della storia; onde, mosso dal proposito di recare agli studi storici quegli immensi benefici che il metodo positivo aveva recato alle scienze naturali, finiva per lasciarsi dietro le spalle la filosofia della storia per gettare le prime fondamenta di una sociologia positiva» (Ivi, p.17).

35 Per quanto riguarda il tema del positivismo filosofico italiano cfr. le importanti riflessioni di Antonio

Santucci: A. Santucci, Eredi del positivismo: ricerche sulla filosofia italiana fra '800 e '900, Il mulino, Bologna 1996; Id., Positivismo e cultura positivistica: problemi vecchi e nuovi, in AA. VV., L'età del

positivismo, a cura di P. Rossi, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 23-73; AA. VV., Scienza e filosofia nella

cultura positivistica, a cura di A. Santucci, Feltrinelli, Milano 1982.

36 «Di quello più noto La filosofia positiva ed il metodo storico, che fu materia d‘una prolusione letta dal

Villari al principio del suo primo corso di storia (1865-66) nell‘Istituto superiore di Firenze, ricordammo il giudizio recato dall‘Ardigò. Ma realmente, quando venne in luce incontrò tanti contradittori e sollevò così importanti discussioni, che non gli si può negare un‘importanza storica. Se ne occupò subito il Mamiani, difendendo i diritti del suo platonismo contro la nuova filosofia positiva. L‘anno appresso ne scrisse il Fiorentino; e poi lo Spaventa e il De Meis, e più tardi anche il Tocco. Se, per il tempo in cui venne pubblicato, lo scritto del Villari (che ancora non aveva dato in luce nessuna di quelle opere storiche di polso, onde acquistò poi tanto nome e autorità) non avesse avuto un significato, non sarebbe possibile spiegarsi il gran caso che allora ne fecero anche gli scrittori più seri di filosofia. E l‘importanza di esso mal s‘intenderebbe guardando alla tesi che vi si sostiene, e al modo che v‘è sostenuta» (G. Gentile, Le origini

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prendendo in esame l‘individuo nella sua realtà, scacciando definitivamente la concezione di un uomo astratto e fuori dal mondo.

In quello stesso anno Tommasi, con Le dottrine mediche e la clinica, «abbandona ogni presupposto filosofico spiritualista, rivendicando per le scienze ―obbiettive e naturali‖ una piena indipendenza da qualunque speculazione metafisica, da qualunque presupposto che non sia integralmente spiegabile con l‘esperienza».37

E, sempre nel 1865, con il suo discorso accademico, Il naturalismo moderno, Tommasi dà il via alla riscossa contro quell‘hegelismo che aveva animato le aule dell‘università napoletana; e «fu, di certo, un fiero colpo portato agli studi speculativi di quell‘università, dove da pochi anni Hegel era successo a Gioberti, suscitando tuttavia nei giovani pari appassionamento e lo stesso vivo entusiasmo idealistico»38. L‘università di Napoli, che, come si è visto, era animata per larga parte dal pensiero dell‘hegelismo meridionale, aveva visto sorgere nel proprio seno il positivismo e si può affermare che «quel discorso sul Naturalismo moderno segna una data veramente importante nella storia della cultura napoletana: fu come una bandiera nuova, che sventolasse nell‘Università».39

Questo fatto non desterebbe meraviglia se non si considerasse la formazione di Salvatore Tommasi. Come racconta Gentile, la

sua cultura s‘era formata a Napoli tra il ‗34 e il ‗49 (quando convenne anche a lui riparare in Piemonte, donde passò nel ‗59 a insegnare a Pavia e nel ‗65, quando ci fu una clinica a Napoli, in questa città): ossia in quegli anni appunto in cui tutta la cultura napoletana fu orientata verso la filosofia, e propriamente verso l‘idealismo hegeliano: e tutti i giovani, letterati, medici o avvocati, cercavano nei libri e negli studi privati, allora assai fiorenti, di approfondire e disciplinare o riformare la materia da loro particolarmente professata col rigore del pensiero speculativo40.

E, testimonianza di questa iniziale formazione, è il fatto che nelle sue ricerche mediche egli muoveva a partire da temi affini a quelli della filosofia hegeliana, cercando di rintracciare un finalismo spirituale alla base dello sviluppo causalistico degli organismi.

Tommasi non rappresenta un caso isolato. Molti degli studiosi che abbracceranno questo movimento vengono dalle fila dell‘hegelismo – o, comunque, l‘hegelismo ha avuto una importanza decisiva nel corso della loro formazione. Come afferma Garin, sottolineando la diffusione di questo fenomeno, «il primo positivismo italiano si afferma largamente fra gli intellettuali della diaspora napoletana, da Villari a Marselli, a Angiulli, tutti ex-hegeliani»41 L‘apparente contraddizione che sta alla base di questo fenomeno risulta meno ingiustificata se si considera quello che si è affermato in precedenza a proposito della natura

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E. Garin, Storia della filosofia italiana, vol. III, cit., p. 1245.

38 G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, vol. II, cit., p. 37. 39 Ibidem

40 Ivi, p.30 41

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dell‘hegelismo precedente il ‘48. Come si è visto, esso, più che diffondersi attraverso lo studio approfondito del sistema, ha incarnato, in un primo momento, le istanze libertarie e la passione politica di quel gruppo di intellettuali che, soltanto con la diaspora, sono arrivati a sviluppare l‘esigenza di passare a una riflessione più approfondita dei temi hegeliani, e, di conseguenza, ad un rapporto serrato con i testi del filosofo di Stoccarda. Non meraviglia, allora, che molti di questi studiosi, lontani da Napoli e da quel fervore di idee, abbiano subito influenze diverse e abbiano continuato il loro percorso intellettuale lungo altre, e ben diverse, strade.

È il caso, ad esempio, di Villari. Scrive Gentile, a proposito del soggiorno toscano dello studioso, in seguito ai fatti di Napoli: «Ma non v‘ha dubbio che la lontananza dagli amici napoletani della prima giovinezza, gli studi storici ai quali si applicò in Toscana, l‘influsso esercitato sul suo spirito da Gino Capponi, che vi godeva allora grandissima autorità e impersonava degnamente le tendenze positive, storiche, antispeculative dello spirito toscano, dovettero ben presto spegnere in lui ogni ardore per la filosofia hegeliana».42 Ma, se, per il Villari, questo cambiamento appare motivato dalla natura strettamente entusiastica del suo iniziale idealismo, secondo Garin, le ragioni di fondo che stanno alla base di questo fenomeno – quello per il quale molti dei positivisti hanno aderito in un momento iniziale all‘hegelismo – sono più profonde. Esse vanno ricercate nell‘assonanza, spesso sottolineata dai critici, fra alcuni dei temi fondamentali delle due correnti. Afferma Garin:

Il positivista non deve fare un grande scarto rispetto all‘hegeliano. La Scienza – lo ripeterà qualche anno dopo Jaja a Mantegazza – è la ragione, e di fronte ha le illusioni e l‘oscurità, la religione e i miti. Neppure mutano i santi e i confessori: Bruno, Galileo e Vico. Il Bruno, al quale il Trezza scioglieva un inno nel ‗76 chiudendo il suo Epicuro, non era diverso da quello di Spaventa e

42 G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, vol. II, cit., p. 57. È interessante notare il

duro giudizio di Gentile nei confronti di Villari: «Non ci fu bisogno di critica: perché non erano propriamente convinzioni che si dovevano spiantare dal suo cervello, ma era un sentimento d‘entusiasmo, nato da comunanza di studi con giovani amici entusiasti di Hegel, destinato naturalmente a essere smorzato da nuovi interessi, da nuove preoccupazioni, che il nuovo ambiente e i nuovi studi venivano a promuovere in lui. Hegel realmente egli non l‘aveva mai studiato. Quindi non dovette durar fatica a dimenticarlo» ( Ivi, p. 57). E, dopo aver approfondito la natura entusiastica della filosofia di Villari, continuava prendendo di mira l‘«ingenuo idealismo del Villari, che potrebbe definirsi: l‘idealismo degli entusiasmi; il cui appagamento, per