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D.Lgs n 460/1997: “una spinta all’emergere del Terzo

Settore”

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2.1. Presupposti e motivazioni

Nel momento in cui lo Stato non è più capace di garantire ai propri cittadini il c.d.

“Welfare State”, che si sostanzia nel dar loro “assistenza e benessere” 76, e il mercato

non soddisfa più l’allocazione efficiente di risorse creando divari economici e reddituali, diventa fondamentale il ruolo del Terzo Settore77. In esso sono ricomprese una

pluralità di fattispecie giuridiche che fino al 1997 non godevano di una propria disciplina tributaria che tenesse in particolare considerazione la finalità dell’attività svolta. La crescita esponenziale degli enti non profit rese necessaria una nuova normativa fiscale basata su “criteri di unitarietà e coordinamento”78 allontanandosi,

almeno parzialmente, da un criterio di territorialità del diritto ad un criterio di personalità che privilegia la fattispecie a cui si appartiene79. Inoltre, la crescita numerica venne

affiancata da una crescita qualitativa tale che “le organizzazioni non profit non

costituivano più soltanto realtà non economiche marginali, ma al contrario cominciavano ad agire “come” vere e proprie aziende” 80 e questo aumentava

l’esigenza di una nuova legislazione.

75 SALINAS F., La nuova disciplina tributaria degli enti non profit: il D.Lgs. 460/1997, Obiter Dictum

Electronic Law Journal, Unitn, 1998.

76 Da Enciclopedia Treccani “Welfare state”: “Complesso di politiche pubbliche messe in atto da uno

Stato che interviene, in un’economia di mercato, per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini, modificando in modo deliberato e regolamentato la distribuzione dei redditi generata dalle forze del mercato stesso. Il Welfare comprende pertanto il complesso di politiche pubbliche dirette a migliorare le condizioni di vita dei cittadini”.

77 Sottolinea questo ruolo l’espressione di Francesco Salinas: “un'economia "civile" come terza

modalità di produzione di beni e servizi, paritaria ad economia pubblica e privata.” (SALINAS F., La nuova disciplina tributaria degli enti non profit: il D.Lgs. 460/1997, Obiter Dictum Electronic Law Journal,

Unitn, 1998).

78 www.noprofit.org

79 TABET G., Verso una nuova fiscalità del terzo settore, in Non Profit, Meridiana, 1997 n. 28 p. 69.

Richiama il criterio di “personalità” CASTALDI L., Gli enti non commerciali nelle imposte sui redditi, Torino, 1996.

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La Commissione per la riforma del terzo settore venne creata sotto il Governo Dini, presieduta da Stefano Zamagni mentre Augusto Fantozzi era stato nominato Ministro delle Finanze. Purtroppo lo scioglimento delle camere interruppe i lavori che ripresero con il Governo Prodi giungendo alla Legge Delega n. 662/1996 contenente le linee guida per la nuova disciplina tributaria degli enti non commerciali e l’istituzione delle c.d. ONLUS (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale).

2.2. Gli enti non commerciali

Qualifica di ente non commerciale

L’art 3, co. 187, della Legge Delega, alla lettera a) segnala la necessità di una migliore

“definizione della nozione di ente non commerciale, conferendo rilevanza ad elementi di natura obiettiva connessi all’attività effettivamente esercitata”.

Prima che entrasse in vigore il D.Lgs. n. 460/1997 la definizione di ente non commerciale poteva essere ricavata dall’art. 87 TUIR81 che la riconduceva all’oggetto

esclusivo o principale in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto che non doveva ricomprendere l’esercizio di attività commerciale. L’art. 1 del D.Lgs. n.

460/1997, recependo la direttiva della Legge Delega, ha voluto dare una definizione

più precisa di “oggetto esclusivo o principale” intendendosi come “l’attività essenziale

per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto”82.

81 Oggi Art. 73 TUIR “Soggetti Passivi” dopo la riforma del Testo Unico del 2004.

82 L’art.1 del D.Lgs. n. 460/1997 ha così sostituito il c. 4 dell’art 87 del Testo Unico, introducendo anche

un nuovo comma (4-bis ora c.5): “In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme,

l’oggetto principale dell’ente residente è determinato in base all’attività prevalentemente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti”.

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Rimane però non chiaro come identificare un oggetto “principale” e, di conseguenza, un’attività come “essenziale” al raggiungimento degli scopi oltre ai requisiti per essere

“commerciale”.

Sul primo punto, è necessaria una “valutazione di tipo qualitativo mettendo a confronto

scopi e oggetto dell’ente”83, verificando il “collegamento funzionale tra l’attività

esercitata e gli scopi statutari”84.

Ciò nonostante, è possibile che l’attività indicata nello statuto venga di fatto modificata durante il suo reale svolgimento o, in alcuni casi, sia un’attività simulata finalizzata a dissimulare un’altra attività non coerente con le finalità dell’ente. In tal caso, “si

sostituisce al criterio statutario il criterio fattuale”85, in linea con l’art .3 c. 187 lett. a)

della Legge Delega 662/1996.

Per il concetto di “commercialità” bisogna invece far riferimento all’art. 55 del Testo

Unico che definisce il reddito d’impresa e dispone che per “esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 C.C.”86. Il secondo comma qualifica come attività

d’impresa anche “le attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di

83 TASSANI T., Studio n. 80-2009/T, Il regime fiscale degli enti non commerciali e delle Onlus: questioni

attuali, approvato dalla Commissione studi tributari il 1° ottobre 2009. Nello stesso testo l’autore

sottolinea la necessità di un’“opera di interpretazione delle clausole contenute negli atti costitutivi e negli

statuti”, consigliando la “predisposizione di clausole che facciano emergere in modo chiaro quale sia l’attività che si considera essenziale”.

84 MENOTTI G., La nuova disciplina degli enti non profit: cambia il terzo settore, in Il Fisco, 1998 n. 13

P. 4048. Sul punto FEDELE A., Il regime fiscale delle associazioni, in Riv. Dir. Trib., 1995 afferma che l’attività “essenziale” consiste in quella che “direttamente determina, in via esclusiva o concorrente con

altre, la soddisfazione dell’interesse sociale, il conseguimento del risultato per cui l’ente è istituito, distinguendosi da quelle “accessorie” o “strumentali”.”

85 SANTUARI A., Le Onlus, Profili civili, amministrativi e fiscali, 2007, Padova, P. 200

86 Si ricorda che l’art 2195 C.C. prevede le attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi, le

attività di intermediazione nella circolazione dei beni, le attività di trasporto oltre a quelle bancarie e assicurative o ausiliarie.

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servizi”, fattispecie molto importante per le organizzazioni no profit che erogano servizi

di assistenza a persone anziane, disabili o svantaggiate. A tal fine, numerose sono state le risoluzioni ministeriali e le sentenze delle Commissioni tributarie e della Cassazione che hanno identificato le singole attività, statutarie o effettivamente esercitate, come commerciali o non, attribuendo conseguentemente la qualifica di ente commerciale o non87. Rilevante attenzione deve essere data all’economicità88,

presupposto della commercialità, nel caso specifico in cui vi siano corrispettivi legati all’attività svolta o ai servizi erogati o sovvenzioni esterne. Sul tema il Ministero si è espresso dichiarando che “lo svolgimento di un’attività non costituisce esercizio di

attività commerciale se la stessa è resa senza una specifica organizzazione e gratuitamente o senza che i corrispettivi eccedano i costi di diretta imputazione”89. A

tal fine diventa necessario valutare se l’assenza di economicità, e quindi la non commercialità, sussista qualora le sovvenzioni esterne siano superiori al ricavato delle prestazioni corrispettive o solamente qualora quest’ultime siano nulle90.

Tuttavia un altro problema di valutazione dei requisiti di commercialità può nascere nel caso in cui nell’atto costitutivo o nello statuto siano indicate, come attività svolte dall’ente, due o più attività di cui solo alcune non commerciali. L’Amministrazione Finanziaria ha chiarificato che in casi simili bisogna far “riferimento all’attività che

87 Si evidenziano le risoluzioni ministeriali n. 12/0166 del 15.10.1994 e n. 210/E del 22.10.1997 in tema

di somministrazione di cibi e bevande nei circoli ricreativi; n. 141/E del 4.6.2009 per la messa a disposizione di immobili agli associati. In aggiunta le sentenze della Cassazione n. 7740/1987, n.

3845/1988, n. 4050/1990 e n. 9395/1995 relative ai servizi delle case di cura e di ricovero pe anziani.

88 L’Enciclopedia TRECCANI definisce l’”economicità” come “criterio che vuole portare a unitarietà” -la

visione sistemica dell’azienda, l’autonomia decisionale del soggetto economico e l’equilibrio economico – “caratteristiche delle dinamiche dell’impresa nella prospettiva del raggiungimento dei fini aziendali.”

89 Risoluzione ministeriale n. 6/231 del 30.09.1993

90 Sul tema PROTO A.M., La fiscalità degli enti non societari, Torino, 2003, P.108; CASTALDI L., FICARI

V., PURI P., ROSSI P., Il regime fiscale delle associazioni, Padova, 1998, P. 5.; DE VITO G., Gli enti

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risulta essere essenziale, vale a dire quella che gli consente il raggiungimento degli scopi primari e che tipicizza l’ente medesimo”91.

Ad ogni modo, confermata la natura non commerciale dell’ente, per poter usufruire delle relative agevolazioni, bisogna considerare le “concrete modalità di gestione

dell’ente”92 e l’attività effettivamente svolta. Infatti, ai sensi dell’art. 149 TUIR, vige una

presunzione legale per la quale la qualifica di ente non commerciale viene persa nel caso in cui venga esercitata prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta93.