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D AI POPULARES AL P OPULUS

Sappiamo come il primo riferimento esplicito all’esistenza di una Pars Populi pistoiese dati al 1237, al più volte citato lodo arbitrale dei fiorentini. Tale documento rappresenta, per l’elenco di nominativi di membri della Parte che contiene, ancor più che per gli accenni alla struttura istituzionale della Parte stessa, un punto di riferimento fondamentale per la definizione dell’intera realtà, sufficiente a permetterci di orientare, pur nella generale penuria di testimonianze, il timone della riflessione. Esso tuttavia testimonia, come vedremo, di una realtà relativamente circoscritta nel tempo, le cui caratteristiche non possono essere utilizzate sic et simpliciter in funzione retroattiva per descrivere ad esempio il contesto del primo quarto del secolo. Occorre dunque partire ‘dall’inizio’, vale a dire dai primi riferimenti più o meno generici presenti nella documentazione, che ci consentiranno anzi di qualificare nella giusta maniera l’esperienza degli anni trenta.

A tale proposito abbiamo già affrontato nel corso del Capitolo precedente l’analisi della rubrica del Breve dei Consoli che assegnava ai populares la supremazia all’interno del collegio consolare, sottolineando come tale norma rappresentasse un tentativo di ampliamento della classe dirigente, e fosse il frutto più o meno diretto dell’azione politica di quella parte della militia cittadina – o anche di quelle famiglie impegnate in attività commerciali che attorno ad essa gravitavano – fino ad allora esclusa dal vertice istituzionale del Comune5. Possiamo adesso sottolineare come nessuno o quasi di quei consoli che ci appaiono estranei ai lignaggi signorili sia in qualche modo accostabile a quelle famiglie che vediamo con sicurezza inserite fra i ranghi del Populus nel corso del Duecento6.

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Vedi supra, Capitolo Secondo paragrafo 1. Ricordiamo come la norma in questione è in Breve dei Consoli, rubrica 71.

6 Gli unici dubbi riguardano, come anticipato, «Quactrus quondam Rangie», console nel 1201 da cui avrebbe avuto origine la famiglia dei Ranghiatici (cfr. G. ZACCAGNINI, I rimatori pistoiesi dei secoli XIII e XIV, Tipografia Sinibuldiana, Pistoia, 1907), e «Reialis» in carica nel 1204. Da quest’ultimo avrebbe tratto origine la famiglia dei Reali. Posto che, come vedremo in seguito, lo status della famiglia rimane per certi versi in

Mi sembra dunque da scartare l’identificazione esplicita proposta dal Rauty tra i

populares citati nella norma e «i membri della borghesia attiva nelle Arti e nei commerci»,

che avrebbero prefigurato in qualche modo il conflitto pieno duecentesco fra magnati e popolani7. Il fatto è che in questa fase, grosso modo gli ultimi decenni del XII secolo, è a mio avviso prematuro e dunque fuori luogo attribuire a termini come «Populus» e come «popularis» significati di tipo sociale e istituzionale che essi non acquisteranno se non in pieno Duecento8. Non è fra questi populares, intesi come espressione di un blocco sociale preciso e riconoscibile, contrapposto a livello politico e ideologico alla militia (che le fonti non ci mostrano), che troveremo i membri di quelle famiglie che nel corso del Duecento incarneranno l’élite mercantile-bancaria della città, e che alla metà del secolo guideranno come vedremo il movimento di Popolo.

Anche per questo la nostra analisi non può dunque che procedere dall’approfondimento di quelle realtà associative – corporazioni e societates rionali – che vedremo impegnate in prima persona, seppure con modalità e intensità differenti, nello sviluppo del Popolo pistoiese.

Rimaniamo alla documentazione ufficiale, rappresentata sostanzialmente dalla codificazione statutaria. La normativa pistoiese più antica contiene importanti riferimenti alla presenza di artes già istituzionalmente strutturate, dotate di proprie magistrature di vertice capaci di intervenire in maniera attiva nei processi di gestione del potere in ambito cittadino9. In particolare una delle rubriche dello Statutum Potestatis imponeva come sappiamo, in caso di guerra, la consultazione preventiva dei rettori delle arti cittadine10.

Non molto è possibile ricavare da tali riferimenti circa la consistenza e l’organizzazione delle corporazioni pistoiesi della fine del XII secolo. In particolare la rubrica contenuta nel Breve dei Consoli sembra suggerire la presenza di un gruppo non poi troppo sparuto di associazioni, connotate per lo più come diremmo oggi in senso

dubbio, rimane la difficoltà di attribuzione nel legare con sicurezza il nostro console a quello specifico nucleo familiare. Il nome Reale è infatti estremamente diffuso nella Pistoia di inizio Duecento. Cfr. FOSCHI,

L’onomastica pistoiese; e EAD., Note di onomastica. 7 RAUTY, Il primo secolo dell’autonomia, p. 85.

8 Servirà ricordare in questo senso come nel linguaggio delle fonti del XII secolo il riferimento al Populus servisse a identificare la collettività cittadina nel suo complesso: ARTIFONI, Tensioni sociali, p. 472. Per un esempio in tal senso tratto dalle fonti pistoiesi si pensi anche solo al citato giuramento di sottomissione del

dominus della valle del Vincio: RCP, Canonica, secolo XII, 1148 luglio, n. 457.

9 Cfr. Breve dei Consoli, rubriche 53 e 70. I rectores artium erano tenuti a far rispettare ai propri associati le normative della corporazione. Essi dovevano inoltre essere consultati dai consoli del Comune, come sappiamo, prima di stipulare qualunque trattato di pace.

10 Cfr. Statuto del Podestà, rubrica 67. La formulazione della norma pare testimoniare l’esistenza di una vera e propria forma di diritto di veto da parte delle corporazioni cittadine. In Breve dei Consoli, rubrica 70, si stabiliva che la decisione venisse presa dal Consiglio cittadino e dai «rectorum cappellarum et rectorum artium civitatis».

‘artigiano’11. Il primo elenco di cui disponiamo, relativo oltretutto al cerimoniale per la festa del patrono San Jacopo e dunque di per sé ad un contesto di tipo religioso, data al 132912, in pieno XIV secolo, quando si è ormai fatta abbondantemente sentire l’influenza fiorentina. Gli elementi ricavabili da tale elenco devono quindi essere utilizzati con estrema cautela, e non possono in ogni caso fornirci indicazioni significative sulla realtà di fine XII secolo.

L’unica corporazione di cui abbiamo sicura menzione per il Duecento è quella dei

mercatores, i cui consoli appaiono varie volte nella documentazione ufficiale del Comune

a fianco dei consoli dei milites13. Affatto particolare risulta invece la situazione dei

campsores, che come abbiamo visto nel 1214 risultano riuniti in una specifica comunitas14. Dotata di propri consules, tale associazione non pare tuttavia possedere il medesimo status attribuito alla corporazione dei mercanti, se è vero che, al di là dei due riferimenti appena citati, le fonti non ci hanno restituito altre testimonianze circa la sua esistenza. La stessa qualifica di comunitas attribuita all’associazione, il fatto che gli accenni diretti siano circoscritti nel brevissimo periodo, e che sul lungo mercatores e campsores tendano ad essere equiparati, sembrano delineare per la comunitas campsorum pistoiese la realtà di una semplice ‘sezione’, pur ricca e importante, dell’arte dei mercanti cittadina15.

Rimane in ogni caso da chiarire quale fosse il rapporto di queste associazioni con le altre corporazioni della città, e con gli altri organismi che costituivano il panorama delle

societates pistoiesi. Sul ruolo del mondo corporativo nella nascita e poi nello sviluppo del

movimento popolare delle città comunali italiane abbiamo già osservato come la storiografia abbia generalmente privilegiato una precisa linea interpretativa: il Populus della prima metà del Duecento sarebbe filiazione diretta di quelle società a base rionale a un tempo prodotto ed espressione dei pedites dell’esercito comunale16.

Il caso di Pistoia parrebbe a prima vista andare contro tale interpretazione. È ancora una volta il lodo del 1237 a fornirci a riguardo dei preziosi elementi di discussione. In esso

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Cfr. Breve dei Consoli, rubrica 53. Il fatto che si imponga ai rettori delle arti di «vendere et emere res de sua arte sine pretio statuto et ordinato vel aliquatenus sibi imposito» mi pare che spinga in questa direzione. 12 Si tratta di un elenco redatto negli anni dieci del Trecento a vantaggio dell’Opera di San Jacopo, e relativo alle associazioni che erano tenute a fornire un palio in occasione della festa del Santo (citato in NERI, Attività

manifatturiere, p. 152, nota 189). I mercatores venivano subito dopo giudici e notai, e prima di tutti gli altri.

Sul valore di tali documenti per la definizione del peso politico delle Arti cittadine vedi A.I. PINI, Le arti in

processione. Professioni, prestigio e potere nelle città-stato dell’Italia padana-medievale, in ID., Città,

comuni e corporazioni nel Medioevo italiano, Clueb, Bologna, 1986.

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Cfr. Liber Censuum, ad indicem. Riferimenti più puntuali saranno forniti nel prosieguo della trattazione. 14 Cfr. Comune, 1214 settembre 7. «Deodatus Anddalicti et Bonacurso quondam Andree consules campsorum Pistorii» acquistano alcuni terreni adibiti a oliveto «ad […] luminariam faciendam pro remedio et salutem animarum omnium campsorum Pistorii». Vedi anche Comune, 1215 marzo 11.

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Su questo punto vedi anche infra, paragrafo 3.

viene infatti sciolta dai fiorentini quella colligatio artium che a una prima lettura del documento ci appare come uno dei perni – se non addirittura il principale – su cui ruotava l’intera struttura della Pars17. Non abbiamo tuttavia alcun riferimento, al di fuori degli elementi che è possibile dedurre dal testo del lodo, che ci aiuti a delineare i meccanismi di formazione e di organizzazione di tale colligativo, la cui cifra ultima rimane forzatamente nell’ombra.

Alcuni documenti, a quanto mi consta finora non utilizzati dalla critica, ci permettono tuttavia di approfondire la situazione, seppure in maniera non esaustiva. Il 30 aprile del 1236 i rettori della «Societas cappellanorum civitatis Pistorii» nominano un procuratore – nella persona di tale «Calasinus quondam Rainaldi»18 – per appellarsi presso la curia romana contro il «gravamen» che il vescovo di Firenze «intulit vel infert seu vellet inferre» al clero della città e della diocesi di Pistoia «suo victu, occasione cuiusdam executionis in qua dictus dominus Episcopus dicitur executor pro facto pacis reformande inter quosdam pistorienses ex parte una, et milites et judices Pistorii ex alia»19.

Rimandando al Capitolo successivo l’analisi puntuale del documento e del contesto in cui esso vide la luce, possiamo per adesso sottolineare alcuni elementi che emergono dalla sua lettura, e che assumono un rilievo speciale proprio in relazione alla definizione dei gruppi sociali in conflitto. Ciò che in particolare mi preme sottolineare è come nella primavera del 1236 gli attori sulla scena siano differenti da quelli che ritroveremo nell’agosto dell’anno successivo al momento del pronunciamento del lodo.

Niente Partes. Niente Populus. Soltanto «alcuni pistoiesi da una parte e i cavalieri e i giudici di Pistoia dall’altra». Poco più di un anno prima dell’emissione del lodo l’identità delle parti in conflitto risulta ancora per certi aspetti in divenire, o meglio aperta a ulteriori – e direi quanto mai importanti – definizioni. È anzi più che probabile che proprio il fallimento dell’intervento di pacificazione del vescovo fiorentino, di cui purtroppo ignoriamo le modalità concrete, abbia favorito l’acuirsi di un conflitto ampliatosi nella sua portata fino a comprendere anche alcune delle societates cittadine20.

Le fonti tacciono sull’identità di quei «quosdam pistorienses» in conflitto con i milites e gli judices. Possediamo tuttavia, come già accennato, una lista di «homines de parte populi» che il lodo del 1237 stabilisce siano trattenuti «sub fida custodia in civitate

17 Cfr. Liber Censuum, n. 303, 1237 agosto 3, paragrafo 4. Si noti per inciso come la pena per i contravventori – 50 lire – sia di per sé relativamente bassa.

18 Personaggio altrimenti sconosciuto. Si noti come appena cinque giorni dopo (forse per la rinuncia di Calasino?) si proceda all’elezione di un nuovo procuratore, «Vita quondam Vitalis». Anch’egli, peraltro, a noi sconosciuto. Patrimonio, 1236 maggio 5.

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In ragione di 4 soldi al giorno. Cfr. Patrimonio, 1236 aprile 30.

Florentie» a garanzia della pace. È ragionevole pensare, in questo senso, che all’interno di tale lista siano compresi alcuni dei personaggi citati implicitamente nel documento del 1236. Sappiamo però che i prigionieri detenuti a Firenze furono ben centocinquanta, di modo che non è pensabile che i soli nomi della lista possano costituire un campione pienamente esaustivo21. Il fatto stesso che i fiorentini abbiano richiesto per così dire ‘al massimo livello’, inserendone i nominativi nel dispositivo stesso del lodo, è in ogni caso sufficiente a qualificare i membri del gruppo fra i personaggi più rilevanti – e probabilmente politicamente più intransigenti – dell’intera Pars.

Proviamo dunque a scorrere tale lista: possiamo notare come non vi compaiano personalità di rilievo assoluto, e anzi buona parte di essi ci risultino del tutto sconosciuti22. La presenza di un personaggio – tale Ugolinus – qualificato come faber, e dunque come appartenente a quella categoria di artefici che costituiva una delle professionalità più importanti all’interno del mondo economico pistoiese23, potrebbe in questo senso costituire un’importante testimonianza del ruolo giocato dalle corporazioni artigiane nell’affermazione della Pars Populi, aiutandoci a definire la qualità di quella colligatio

artium citata nel documento.

Particolarmente interessante appare in tal senso anche la presenza di un notaio –

Jacopinus24 – la cui frequentazione delle ‘stanze del potere’ cittadino appare nel complesso non sporadica. A tale proposito, dobbiamo tuttavia evidenziare come il notariato pistoiese del tempo non sembri in possesso di un ruolo politico particolarmente marcato. Diversamente da quanto avviene per gli iudices, il cui peso all’interno delle istituzioni

21 Cfr. Liber Censuum, n. 319, 1239 ottobre 26. La lista contenuta nel lodo è composta da 18 nomi. 22

Su Agolante Tedici, membro di una delle principali e più antiche famiglie del gruppo signorile, che abbiamo visto nel corso del Capitolo precedente nell’atto di dividere i propri beni col cugino Fortebraccio di Ormanno, vedi RAUTY, Società, istituzioni, p. 3. Rodolfino di Corso è uno dei «camerlenghi comunis Pistorii» in carica durante il regime di Agolante (cfr. il paragrafo 17 del lodo). Su «Mellio Pulliesi» non abbiamo informazioni dirette. Nel 1212 (Liber Censuum, n. 23 e 25) tuttavia un «Cognoscente Puliesi» risulta fra i consoli dei mercanti. Pugliese è un nome relativamente diffuso, per cui la parentela fra i due, che sembra probabile, non può essere data per sicura. «Raxonevole Oseppi» – o più comunemente «Useppi» – sembra invece legato al Tedici da un rapporto di natura personale. Egli infatti assiste alla concessione della procura che il fratello Tommasino e il cugino Fortebraccio fanno ad Agolante per una causa relativa a una onoranza non corrisposta da un colono (Capitolo, 1227 febbraio 16). Egli appare inoltre in rapporti col clero cittadino, visto che in casa sua («in Porta Sancti Petri in domo Rasionevilis quondam Useppi») viene stilato il testamento di un sacerdote; Ivi, 1221 luglio 8. Su «Ventura Rizardi» non abbiamo riferimenti diretti. Un «Ventura Bricardi» compare come testimone in Comune, 1246 giugno 25; ma soprattutto in un documento alla stessa data egli presta al Comune 71 lire e 10 soldi di pisani. L’identificazione fra i due personaggi appare non sicura ma probabile.

23 Sull’importanza dei fabbri all’interno del mondo corporativo cittadino, e più in generale sull’importanza della lavorazione del ferro per l’economia pistoiese vedi M.E. CORTESE, Il ferro a Pistoia nel contesto della

siderurgia medievale in Toscana: una prospettiva di lungo periodo, in La Pistoia comunale, pp. 321-348.

24 Di «Jacopinus (quondam Janni) notarius sacri palatii», si sono conservati numerosi atti. Cfr. a titolo d’esempio Comune, 1214 dicembre 27; e Ivi, 1246 settembre 7. Si noti come nell’agosto del 1239 egli sia già tornato a rogare normalmente (Patrimonio, 1239 agosto 12). Risulterà inoltre fra i consiglieri cittadini del 1258 e 1267 (Liber Censuum, nn. 348 e 367).

cittadine appare rilevante fino dal pieno XII secolo, i notai sembrano infatti ‘confondersi’ all’interno della massa dei cives. Non mancano ovviamente gli esempi di notai capaci di condurre carriere politiche significative, così come di svolgere incarichi prestigiosi per il Comune25.

Mancano invece, e completamente, i riferimenti a un’attività politica significativa condotta dai notai quali soggetto unitario, così come manca per tutta la prima metà del secolo qualsiasi riferimento all’esistenza di un’arte dei notai, o anche di una più generica forma di aggregazione politico-sociale. Nella citata lista del 1329 notai e giudici cosituiscono un’unica arte, come del resto avveniva anche a Firenze. Non pare tuttavia che tale comunanza possa essere estesa anche a questa particolare fase della storia cittadina, dal momento che nelle fonti duecentesche i giudici vengono sempre identificati in modo autonomo.

Del tutto in ombra rimane invece il ruolo eventuale della corporazione mercantile. Nessuno dei nomi contenuti nella lista risulta collegabile in maniera diretta a sicura ad alcuna delle principali compagnie mercantili e bancarie della città26. In un documento del 1239, conseguenza del dispositivo del lodo, compare tuttavia fra i procuratori dei 150 uomini Simigliante del fu Guido, membro di rilevo, come vedremo anche più avanti, dell’élite commerciale cittadina27.

D’altra parte vediamo appena pochi anni più tardi i membri di importanti compagnie bancarie – che in questa ottica potremmo lecitamente supporre legate in maniera più o meno diretta alla compagine popolare – non solo ricoprire senza apparente frattura il ruolo di camerlenghi del Comune, ma addirittura essere impegnati in prima persona a prestare denaro al Comune per la conduzione di attività militari a sostegno dell’Imperatore. Non sembra dunque in questo senso che la sconfitta subita dalla Pars Populi – ché di sconfitta

25 Si pensi in questo senso a Vezoso, estensore, fra le altre cose, del giuramento del 1219 per la parte bolognese, spesso impegnato con esponenti di primissimo piano del ceto dirigente cittadino (cfr. a puro titolo d’esempio Comune, 1204 novembre 7; e Ivi, 1214 settembre 7). Il notaio (cfr. Capitolo, 1219 ottobre 8) che sembra mantenere sul medio-lungo periodo un ruolo politico più attivo è tuttavia «Rainaldus Clariti», che compare anch’egli fra i consiglieri del 1258 e 1267 (Liber Censuum, nn. 348 e 367). Cfr. Comune, 1236 ottobre 29; Patrimonio, 1241 febbraio 18; Ivi, 1244 marzo 8; Ivi, 1252 aprile 23; Ivi, 1254 febbraio 20;

Comune, 1253 aprile 25.

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Sulla base dei semplici nomi di battesimo è ipotizzabile in via teorica che alcuni di essi fossero impegnati in attività commerciali, tuttavia nessuno di tali casi dubbi risulta collegabile alle principali compagnie di metà secolo.

27 L’atto in questione è in Liber Censuum, n. 319, 1239 ottobre 26. È relativo al pagamento di una parte della somma che il Comune di Pistoia era tenuto a versare come risarcimento alla parte popolare. Fra i procuratori vi è anche Ragionevole del fu Useppo.

si tratta, come vedremo anche nel prossimo Capitolo – abbia rappresentato una battuta di arresto per le fortune economiche o più ancora politiche del ceto mercantile pistoiese28.

Occorre dunque tornare, a mio avviso, al citato documento del 1236. La semplice menzione dei quosdam pistorienses, il mancato richiamo al coinvolgimento diretto delle arti, se confrontate con i dati appena evidenziati, contribuiscono a delineare una realtà in cui i vincoli di natura corporativa non rappresentano necessariamente un elemento discriminante. Non sarà mancato il sostegno di membri anche rilevanti dell’élite commerciale all’organismo popolare, ma l’ars mercatorum in quanto tale non pare aver compiuto una scelta di campo netta e intransigente.

L’atto relativo al pagamento del 1239, due anni dopo la stesura del lodo, nel citare la parte del popolo vi aggiunge del resto la specificazione que fuit peditum Pistorii, sottolineando quella che alla fine ci appare come la dimensione realmente caratterizzante l’esperienza politica di quegli anni. Nella definizione della connotazione politica dei membri della Pars Populi andrà dunque valorizzato il ruolo di quei priores compagniarum – da identificarsi con i rettori delle compagnie militari di pedites che costituivano la ‘massa’ dell’esercito comunale – i quali a partire almeno dalla fine del secondo decennio del Duecento compaiono a più riprese in posizione di assoluto rilievo all’interno della struttura istituzionale del Comune29. Senza approfondire per il momento la questione nelle sue implicazioni di carattere politico-istituzionale30, possiamo evidenziare come anche a Pistoia l’elemento primario di aggregazione per le forze di matrice popolare sia quello territoriale31.

L’assenza di qualsiasi riferimento all’identità di questi rettori non ci permette di definirne il profilo sociale ed economico, né ci consente di per sé di riconoscere eventuali interazioni e sovrapposizioni con il gruppo dei mercanti-banchieri. In ogni caso la citata mancata corrispondenza fra i sicuri appartenenti alla Pars e coloro che a vario titolo paiono impegnati in attività di tipo commerciale, ci autorizza a ipotizzare un livello di coinvolgimento tutto sommato basso delle famiglie di mercatores e campsores

28 La stessa citata scelta, da parte della Pars Populi, di due camerlenghi di ‘basso profilo’, in ogni caso non