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L E FAMIGLIE ‘ SIGNORILI ’: PROFILO ECONOMICO E PATRIMONIALE

Nello svolgimento della riflessione che siamo venuti conducendo è già emerso più volte come il fattore economico abbia influenzato in maniera significativa lo svolgimento delle dinamiche familiari del gruppo signorile. È giunto adesso il momento di affrontare in maniera sistematica la questione, che rappresenta nella visione di chi scrive uno dei punti nodali per la comprensione della società comunale, e che costituisce di fatto, come avremo modo di constatare, un altro di quei punti di contatto fra i membri del ‘gruppo signorile’ che stiamo analizzando in queste ultime pagine.

Partiamo quindi proprio da quegli accenni. Tutti o quasi fanno riferimento a transazioni di natura fondiaria, o comunque attengono alla sfera del possesso fondiario. Non è un caso, come vedremo. Abbiamo già affrontato la questione dello stato delle fonti pistoiesi in merito alle possibilità che esse offrono per la ricostruzione della società di età comunale.

150 Cfr. Liber Censuum, nn. 248-249 (rispettivamente 1225 giugno 7, e 1225 giugno 13). Si tratta di «duas partes et dimidiam de duodecim partibus unius turris posite in dicto cassaro».

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Ivi, n. 249, 1225 giugno 13. Quello stesso gruppo familiare possiede anche una quota di quella che viene definita come «turris olim Baruccingorum», vale a dire di quella famiglia dei Baruccinghi (forse imparentata con la famiglia pistoiese degli Ughi?) che vediamo fortemente attestata patrimonialmente nella zona di Montemurlo, cioè in quella zona di pertinenza guidinga – grosso modo a metà strada fra Pistoia e Prato – che rappresenta uno dei principali poli di ‘attrazione’ per il Comune pistoiese (vedi a riguardo infra, Capitolo Quarto, paragrafo 1).

Rimane da sottolineare, a questo punto, come le fonti di tipo economico siano quantitativamente assai scarse, e di come le poche disponibili – se si eccettuano quelle riconducibili alla gestione e al commercio della terra – datino in maniera pressoché univoca al pieno XIII secolo. Pur tenendo presente la dovuta cautela nel maneggiare dati che provengono di fatto da un campione se non parziale certo molto ristretto, credo tuttavia che sia possibile elaborare riflessioni e considerazioni di carattere generale che siano dotate della necessaria consistenza.

Questo perché l’insieme degli elementi a nostra disposizione, di cui in questa ottica quelli di natura più prettamente economica rappresentano un ulteriore tassello, concorrono a definire un quadro caratterizzato da una presenza direi quasi ‘ossessiva’ della terra. Analizzando i vari contratti, l’identità degli attori, il quadro generale della realtà fondiaria pistoiese in essi descritto, emerge a mio avviso in maniera netta come le stirpi signorili della militia pistoiese traggano gran parte delle proprie risorse economiche dallo sfruttamento fondiario, condotto principalmente attraverso la concessione della terra a coloni e fittavoli152. A prescindere dai possibili elementi di distinzione – origine familiare, carriera politica, clientele, luogo di residenza cittadina – è questo un dato che sembra davvero coinvolgere il gruppo nel suo insieme, convintamente e senza eccezioni.

Un documento degli anni trenta del Duecento, relativo a una delle controversie matrimoniali che abbiamo citato poco sopra, ci consente di formulare qualche considerazione più puntuale circa l’organizzazione e la consistenza delle proprietà – e più in generale sulla situazione economica complessiva – delle famiglie signorili. Nel giugno del 1233 Malencalcino del fu messer Ranieri di Malencalcio (membro di un ramo della famiglia dei Panciatichi; figlio di uno dei più importanti cittadini del primo quarto del secolo153), con ogni probabilità allo scopo di reperire il denaro necessario alla conclusione della causa per la dote della matrigna, opera la vendita di alcuni fitti per un totale di 80 omine di grano in cambio di 412 lire di pisani154.

I fitti, indicati uno per uno con i relativi appezzamenti, sono recuperati da uno «inventarium, sicut dicit, ipsius domini Rainerii», purtroppo perduto. Pur in mancanza di sicuri parametri di confronto – in questo caso si sente forse ancora più del solito la pesantezza della perdita delle fonti fiscali – appare evidente che le cifre in ballo sono in

152 Non si deve poi dimenticare, in tale contesto, l’importanza del controllo delle terre di pertinenza dei vari enti ecclesiastici (spedali e monasteri).

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Si pensi solo al fatto che Ranieri è il secondo pistoiese a giurare la pace con Bologna del 1219. 154 Cfr. Comune, 1233 giugno.

senso assoluto decisamente rilevanti155. La situazione muta parzialmente qualora proviamo a concentrare la nostra attenzione sul valore dei beni in questione per la nostra famiglia: non sappiamo infatti a quanto ammonti il patrimonio fondiario complessivo di messer Ranieri, né per conseguenza quale sia la percentuale di esso che il nostro Malencalcino va ad intaccare con questa alienazione. Pare comunque più che probabile che le 80 omine di grano rappresentino una fetta non insignificante del patrimonio fondiario del nostro156.

Se la nostra supposizione del legame fra questa vendita e la causa matrimoniale è giusta, tale ipotesi tende ad acquistare ulteriore credito. Ma esce ancor più rafforzata l’ipotesi generale che identifica nel possesso fondiario la risorsa economica principale delle famiglie signorili pistoiesi. Non conta in questo senso che il documento dati agli anni trenta del Duecento, e dunque che fotografi di per sé un contesto sociale ed economico parzialmente diverso da quello del XII secolo. Tutti gli elementi di cui disponiamo convergono nel mostrare una sostanziale continuità delle strutture economiche delle famiglie signorili: la terra rimane il vero centro del loro orizzonte economico. Non conta neppure, a mio avviso, che tale documento costituisca per molti aspetti un unicum, dal momento che le fonti non ci hanno conservato delle liste ad esso equiparabili, o comunque simili per qualità e consistenza; i riferimenti disponibili concorrono ad avvalorare l’enunciato appena esposto, e in generale a confermare il quadro che abbiamo descritto.

L’inventario di messer Ranieri pare inoltre confermare un altro dato che emerge dal confronto sistematico dei contratti notarili: la notevole frammentazione dei patrimoni, a un tempo familiare e per così dire ‘aziendale’. I terreni di cui Malencalcino vende le rendite sono infatti ubicati a Piuvica, San Romano, Serravalle, Candeglia, Lizzanello, Vignole, Cirigiano157, vale a dire in tutte (o quasi) le diverse zone del districtus pistoiese, senza peraltro lasciare intravedere una concentrazione particolare degli stessi presso questa o quella comunità del contado. Essi sono inoltre pressoché tutti di estensione relativamente limitata, visto che (pur in mancanza di riferimenti specifici all’estensione degli appezzamenti) i fitti non superano mai – presi singolarmente – le poche unità158.

155 Si pensi al fatto che nei due matrimoni che abbiamo analizzato le doti corrisposte non superano le 200 lire, quindi meno della metà della cifra in questione. Su questo punto confronta comunque anche infra, Capitolo Terzo, paragrafo 4.

156 Che comunque non pare risentire eccessivamente del ‘salasso’, dal momento che lo troviamo negli anni successivi nelle stesse posizioni di vertice occupate in precedenza.

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Si tenga inoltre presente che il documento è parzialmente rovinato, e che le località indicate non rappresentano la totalità di quelle originariamente contenute. Da documenti precedenti (ad esempio Comune, 1204 novembre 7) sappiamo che Ranieri, e lo stesso Malencalcino, possedeva beni consistenti anche nelle località di Martinana, Vergario, Guillo, Icianum, Fercana.

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Almeno a giudicare dal canone richiesto, che raramente supera le poche omine di grano. È interessante notare come le fonti pistoiesi non riportino praticamente mai l’estensione degli appezzamenti.

Allo stesso modo, ricostruendo pazientemente la mappa dei possedimenti delle famiglie signorili attraverso i riferimenti presenti nel Diplomatico, emerge come tutte o quasi le famiglie del nostro gruppo – al di là della presenza di nuclei fondiari consistenti localizzati presso una o più località che paiono rappresentare il fulcro delle proprietà familiari159 – posseggano una quota non trascurabile (in riferimento al proprio patrimonio complessivo) di beni per così dire ‘dispersi’ presso le diverse aree del distretto. E come tali beni, sia che si tratti di quelli pertinenti al ‘fulcro’ sia che si tratti di quelli ‘dispersi’, siano molto spesso costituiti da appezzamenti di piccole e medie dimensioni160. Tali elementi non fanno altro che confermare ancora una volta, a mio avviso, la forza del legame sociale che unisce il gruppo delle famiglie signorili, dal momento che testimoniano in maniera indiretta ma efficace della frammentazione della struttura familiare – declinata secondo quel modello consortile ‘allargato’ le cui caratteristiche principali abbiamo esposto poco sopra –, e al tempo stesso dell’elevato livello di ‘endogamia’ del gruppo che si ripercuote sulla distribuzione della terra per diretta influenza degli apporti dotali ecc.

Centrate economicamente sulla terra e sul possesso fondiario le famiglie signorili condividono comunque in larga parte gli usi e le consuetudini relative del distretto pistoiese. Da questo punto di vista le fonti non mostrano ad esempio la prevalenza di un particolare tipo di contratto che possa essere riferita a uno specifico gruppo sociale, almeno per quanto riguarda il XII secolo e la prima parte del XIII secolo161. In generale, sembra di avvertire in corrispondenza del cambio di secolo una certa tendenza ad abbandonare forme di conduzione della terra che derivano da consuetudini più antiche e da un meccanismo di possesso che privilegia i legami di tipo personale a vantaggio di contratti più ‘moderni’ ed economicamente più remunerativi. È il caso principalmente dei rapporti di colonato, che abbiamo già in parte affrontato in relazione alla loro dimensione più prettamente politico- sociale. In questo contesto rimane da sottolineare la valenza economica degli stessi, che viene per certi versi ‘rinegoziata’, e tradotta quindi in una forma contrattuale più adatta a rendere ‘monetizzabile’ il possesso della terra (il ‘tenimento’, per lo più, per quanto riguarda i terreni in origine lavorati dal colono e adesso a lui riconcessi), a cui si aggiunge l’introito secco ricavato dalla ‘vendita’ dei diritti stessi di colonato162.

159 Ad esempio: i Tedici con Piuvica, i da Montemagno e i Vergiolesi con i castelli omonimi, in parte i Visconti con Agliana.

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Almeno secondo quanto è possibile dedurre, come detto, dalle cifre relativamente basse di affitto.

161 Con la fine del Duecento anche a Pistoia sembra diffondersi progressivamente la mezzadria, che comunque non pare attecchire con forza (almeno in quella fase) presso le nostre famiglie. Sulla questione vedi IACOMELLI, La proprietà fondiaria, pp. 202-212.

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L’affrancamento non avviene infatti mai in forma per così dire ‘graziosa’. Esso prevede sempre un esborso monetario da parte del colono, che acquista in moneta sonante la propria libertà. Al tempo stesso il

Particolarmente radicata, anche solo in rapporto alla contigua area pratese, appare invece la consuetudine dell’utilizzo ancora in pieno Duecento dei canoni in natura, che come abbiamo visto nel Capitolo precedente vengono versati per la maggior parte in grano. Si noti per inciso, in riferimento al pagamento dei canoni, come la netta maggioranza dei contratti preveda che il conferimento dei prodotti e dei censi debba essere fatto in città presso l’abitazione (domus) del concessionario, fatto che ancora una volta ribadisce la compenetrazione – nelle nostre famiglie – dell’elemento cittadino e di quello rurale.

Nel complesso le fonti tendono a rappresentarci l’immagine di un gruppo di famiglie ‘a vocazione fondiaria’, che presso le proprie dimore cittadine raccolgono i beni e riuniscono le fila delle numerose proprietà sparse a macchia di leopardo all’interno del districtus.

Se il possesso fondiario rappresenta senza dubbio una delle voci più importanti (forse la più importante) del bilancio delle famiglie di origine signorile della militia, anche a Pistoia le fonti evidenziano comunque l’importanza delle dinamiche di natura militare quali risorse economiche primarie per i milites cittadini (e quindi anche per le nostre famiglie). Cioè a dire, per usare l’espressione di Jean Claude Maire Vigueur, esse traggono una quota niente affatto trascurabile delle proprie ricchezze dalle «due mammelle della guerra» – il bottino e il riscatto – e dalla pratica dell’«emendatio o restaur»163.

Le fonti in nostro possesso ci restituiscono con sufficiente chiarezza il clima di conflitto pressoché costante che caratterizza le vicende del Comune di Pistoia – così come di quelli limitrofi – nel corso del XII secolo164. La questione è diversa, tuttavia, se cerchiamo di addentrarci nei meccanismi specifici di quei conflitti, secondo le coordinate proposte dallo storico francese. Una testimonianza indiretta circa la diffusione di tali pratiche, e quindi circa l’importanza che esse potevano assumere per le fortune economiche di una famiglia, ci viene in questo senso da alcuni documenti di area pratese, dunque da una delle zone che risentì maggiormente proprio di questo tipo di attività militare condotta dai milites pistoiesi. Nel 1191, al momento di fissare il canone di pagamento per il fitto di alcuni pezzi di terra posti nel territorio di Agliana – e poi ancora nel 1200, per l’affitto di un altro pezzo di terra situato nella zona della Dogaia, al confine col territorio controllato dal Comune di Pistoia165 – si ha infatti premura di specificare che

vecchio signore riconcede in affitto al vecchio colono le terre che questi lavorava, che vengono quindi a rappresentare per il dominus un cespite d’entrata relativamente consistente. Per alcune considerazioni a riguardo vedi COLLAVINI, Il servaggio in Toscana.

163 Cfr. ID., Cavalieri e cittadini, pp. 93-108; e 175-206.

164 Per una sintetica rassegna dei conflitti condotti dal Comune di Pistoia nel corso della seconda metà del XII secolo confronta RAUTY, Società, istituzioni, pp. 36-40.

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Per cui confronta Le carte della Propositura di S. Stefano di Prato, I, 1006-1200, a cura di R. Fantappié, Firenze, Olschki, 1977, n. 259, p. 489.

«si quando per guerram que inter Pratum et Pistorium evenisset devastaretur, […] de illo anno non debeant inde affictum dare quo anno esset devastata»166. Tali riferimenti, proprio per il loro carattere inusuale, esemplificano a mio avviso in maniera quanto mai la diffusione di certe pratiche, e quindi la loro significativa potenziale ricaduta economica per i milites.

Molto noto è altresì l’episodio, datato 1223, relativo ai prigionieri lucchesi richiesti in custodia agli alleati pisani, e condotti a Pistoia da Pisa in modo da poter disporre di alcune pedine di scambio per il riscatto dei propri concittadini tenuti in ostaggio nella città del Serchio167. Pur trattandosi a rigore di una situazione di carattere debitorio, l’episodio – in cui sono coinvolti fra l’altro, come carcerieri di alcuni «cives pistorienses», anche i fiorentini – dimostra chiaramente come la cattura dei prigionieri rappresentasse anche per la militia (e la cittadinanza pistoiese) un’azione dalle ricadute economiche (e sociali) fortissime. In mancanza di elementi più precisi, rimane tuttavia impossibile quantificare nello specifico l’incidenza di questi fattori sul quadro economico generale dei nostri

milites.

Per quanto concerne invece il secondo aspetto citato dallo storico francese sono i documenti di natura ufficiale a fornire i riscontri più interessanti. Gli statuti del XII secolo regolano infatti in maniera estremamente puntuale la pratica dell’emendatio – cioè della rifusione del danno eventualmente occorso al miles, o al suo cavallo o equipaggiamento, nello svolgimento delle azioni di guerra da lui condotte per conto del Comune – fissando in maniera precisa (per utilizzare un espressione più vicina alla nostra pratica quotidiana) i ‘massimali’ per ciascun elemento dell’equipaggiamento, secondo cifre che appaiono nel complesso di tutto rispetto168.

Nel definire i nuovi parametri di riferimento, il dettato della rubrica lascia presagire come vi sia stato a monte un conflitto relativamente aspro fra le ragioni di chi aveva diritto al rimborso (i milites) e le ragioni di chi di fatto era tenuto a pagare detto rimborso (i

pedites), e dunque per converso come tale pratica dovesse rappresentare anche per la militia pistoiese un fattore identificativo importante e un fondamentale cespite di entrata169. Ci manca tuttavia anche in questo caso qualsiasi elemento per poter anche solo azzardare

166 Cfr. San Bartolomeo, 1191 (ma 1192) febbraio 24. L’atto è rogato in Prato, dal giudice e notaio Bovacciano. I due affittuari, che ancora nel 1187 (Ivi, 1187 marzo 20) avevano preso in affitto un altro pezzo di terra posto sempre nel territorio di Agliana («in loco nominato Gora»), sono due abitanti del distretto pistoiese, ma è un pratese, tale «Mezzo filius quondam Bordi» il proprietario del terreno.

167 Cfr. Liber Censuum, n. 188, 1223 agosto 14. Su questo punto vedi infra, Capitolo Quarto, paragrafo 1. 168 Cfr. in particolare Breve dei Consoli, rubrica 61. Alcuni riferimenti anche nella rubrica 71. Sulla pratica della emendatio vedi MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini, p. 179 e segg.

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Mi pare interessante, in questo senso, l’utilizzo del termine deinceps, d’ora in avanti, in riferimento al testo della norma, quasi che si fosse sentito il bisogno di rimarcare una sorta di cambiamento di rotta.

una stima quantitativa in tal senso. Certo la situazione di estrema conflittualità che vediamo caratterizzare tutta la Tuscia nei decenni che segnano il passaggio fra XII e XIII secolo, e nello specifico i conflitti che coinvolgono via via Pistoia con le potenti vicine Firenze, Bologna, Lucca, nonché con Prato, devono senza dubbio aver rappresentato un fattore economico importante170.

Nel corso del Capitolo Primo abbiamo già svolto alcune considerazioni generali circa l’andamento complessivo del ciclo economico pistoiese di età comunale, e abbiamo al contempo analizzato – per sommi capi – l’articolazione produttiva della città e del territorio. Il gruppo delle famiglie signorili – e non della militia tout court, come vedremo – appare sostanzialmente estraneo ai circuiti del credito e del commercio, e solo incidentalmente legato al mondo delle realtà artigianali. Nessuna di esse compare infatti mai quale protagonista (ma nemmeno come comprimaria) in alcuna transazione commerciale di rilievo, né ci appare mai coinvolta in forma attiva nei meccanismi del credito – almeno fino alla metà del Duecento.

Si tratta anche in questo caso di un aspetto centrale della nostra ricostruzione. Ed è innegabile, anche in questo caso, che i guasti e le lacune della tradizione documentaria rappresentino un elemento di complicazione e di disturbo dal valore potente. I documenti, in assoluto, che testimoniano di queste realtà specifiche sono pochissimi, a fronte di una vitalità delle attività bancarie e commerciali di Pistoia e dei pistoiesi che sappiamo con certezza essere stata di notevole livello171. Ciò non toglie tuttavia che gli elementi in nostro possesso, che mostrano una significativa convergenza verso settori della società cittadina diversi da quello signorile, abbiano a mio avviso forza sufficiente per consentirci di delineare un quadro della partecipazione a tali attività sufficientemente saldo e convincente.

Se è vero, del resto, che l’assenza di certi riferimenti documentari non costituisce di per sé un elemento di prova, è altrettanto vero che essa rappresenta pur sempre un importante elemento di giudizio di cui tenere conto. Tutti i dati di cui disponiamo, e che abbiamo in parte già illustrato nelle pagine precedenti, ci mostrano un gruppo sociale pienamente e convintamente radicato – dal punto di vista economico, prima ancora che politico e sociale – nel territorio, per di più lontano anche mentalmente da logiche commerciali troppo esasperate. I rapporti con i vari enti ecclesiastici, sotto tanti aspetti cruciali per l’affermazione della nostre famiglie, vengono sempre declinati dal punto di vista economico in relazione al possesso e allo sfruttamento dei beni fondiari di quegli stessi

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Su questi punti vedi infra, Capitolo Quarto, paragrafo 1. 171 Cfr. MELIS, Pistoia nei secoli d’oro.

enti. Le stesse scelte politiche compiute da tale gruppo – come vedremo nel Capitolo successivo – nel corso dei decenni, e condotte in questo senso sempre in maniera coerente, ci parlano di un contrasto aperto e costante con l’insieme delle forze popolari, e segnatamente contro le famiglie espressione del mondo bancario e commerciale.

Altri indizi, che è possibile ‘spigolare’ attraverso un’attenta lettura delle fonti diplomatistiche, contribuiscono a rafforzare la nostra convinzione di un gruppo signorile lontano dal mondo del commercio. Occorre ad esempio notare come le famiglie signorili risultino in molti casi proprietarie di abitazioni e fondi all’interno della città, i cui affitti sembrano rappresentare un’importante cespite di entrata. Niente di paragonabile, tuttavia, a quanto, secondo il racconto del Villani, sarebbe avvenuto nelle vicina e rivale Firenze, dove una consorteria come quella dei Cavalcanti avrebbe tratto gran parte della propria ricchezza attraverso l’affitto dei propri fondi all’Arte di Calimala172. Così, il possesso di mulini a un tempo nel suburbio e nel territorio lascia intravedere una connessione con una parte del mondo artigiano che pare tuttavia risolversi anche in questo caso in un semplice rapporto di locazione, senza particolari implicazioni o connessioni con l’attività più propriamente artigianale degli stessi.