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L’ UNIVERSITAS MILITUM E LE LOTTE DI FAZIONE

Abbiamo affermato appena sopra che l’universitas rappresentava, potremmo dire costitutivamente, l’insieme dei milites, a prescindere dalla loro origine e dalla loro appartenenza a questa o quella consorteria, a questa o quella fazione. Se tale affermazione mi sembra pienamente convincente almeno per la fase iniziale di vita della stessa, vale a dire per la fase di trapasso da quella che abbiamo definito per comodità come militia ‘ordinaria’ alla universitas, rimane tuttavia sul tavolo la questione relativa agli sviluppi successivi dell’universitas – e del contesto politico e sociale generale della città. Detto in altre parole, l’appartenenza a una famiglia di milites dava di per sé diritto all’ingresso nell’universitas? Qual era la percezione che i milites avevano di essa, quale il valore politico che le attribuivano?

Un documento ci consente di gettare una luce, seppure parziale, sui meccanismi di accesso alla militia, o comunque sul valore sociale e politico che essa rivestiva per gli stessi membri della cavalleria cittadina. L’atto in questione – datato al marzo 1215, dunque almeno una ventina di anni dopo l’istituzione della universitas219 – è il testamento di «Uguiccio quondam Guicciardi», personaggio di assoluto rilievo all’interno della Pistoia dei decenni a cavallo tra XII e XIII secolo, console per due volte nel 1174 e nel 1202220. Egli, dopo aver istituito come propri eredi universali i due figli maschi Spinello e Toringello221, si preoccupa da buon padre di evitare possibili contrasti tra di loro a motivo delle doti delle rispettive madri, che Uguccione dimostra di aver già ‘assorbito’ all’interno

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Cfr. Patrimonio, 1215 marzo 5.

220 Egli compare inoltre saltuariamente nella documentazione di quegli anni. Lo vediamo testimone a una transazione fondiaria operata dal Capitolo cittadino (Comune, 1191 gennaio 13), di cui risulta anche confinante (Capitolo, 1204 settembre 6). Ma soprattutto (Ivi, 1205 novembre 19), compare in veste di arbitro in una controversia che investe uno dei personaggi di spicco dell’élite del periodo, quel «Rainaldus quondam Guastavillani» che abbiamo già incontrato in precedenza. Purtroppo l’elevato livello di degrado della pergamena non ci consente di definire con precisione tutti gli elementi dell’atto: esso comunque riguardava il diritto di passaggio per una scala esterna di un’abitazione cittadina, di proprietà di «Tedericus Rosonis», membro di punta della consorteria dei «lambardi» di Tizzana (cfr. Liber Censuum, n. 9., 1200, novembre 18) e del patriziato cittadino. Nell’atto Uguccione viene definito come «dominus». Per la cronaca la decisione degli arbitri fu favorevole a Tederico.

221 Spinello compare una prima volta come testimone a una vendita nell’estate del 1189 (RCP, Enti

Ecclesiastici e Spedali, San Michele in Forcole, n. 43, 1189 agosto 8. Dalle confinazioni di alcuni atti lo

vediamo proprietario di due pezzi di terra posti «in Cafagio» nei pressi di Agliana (San Bartolomeo, 1207 dicembre 16 e Ivi, 1209 aprile 10) e di un altro pezzo di terra posto «in loco Sepiora nominato» (Olivetani, 1213 dicembre 13). Tali beni non sono compresi fra quelli menzionati nel testamento. Nell’estate del 1212 è fra i fideiussori degli abitanti della Sambuca, accanto a membri eminenti del patriziato cittadino (Liber

Censuum, n. 24, 1212 luglio 30). Non si hanno invece notizie del fratello Toringello. Nel giuramento del

1219 vi sono due Spinellus: uno «Spinellus de Sarcore» e un semplice «Spinellus» (il secondo è più probabilmente il nostro uomo). Nella lista non è invece presente il nome Toringellus, mentre è attestato il «Toringus» da cui esso deriva. Vi si trova inoltre anche uno «Jacobus Toringelli» (il nipote di Uguccione?); cfr. Liber Censuum, ad indicem.

del proprio patrimonio222. Stabilisce quindi che «Toringello percipiat et antecapiat de bonis meis dotem matris sue» – che ammonta a 30 lire di pisani – «et dotem uxoris sue Soffredinge», dal momento che a suo tempo aveva fatto alcune spese a favore di Spinello «in adiutorium […] in militia sua».

Tale riferimento ci permette di avanzare una serie importante di considerazioni. Innanzitutto va sottolineato come l’opzione di adesione all’universitas militum, diversamente da quanto potremmo essere portati a pensare, non sia affatto un dato scontato per i discendenti dei membri, neppure per i figli di un ex console. Certo mancano per così dire all’appello numerosi elementi di giudizio223, e tuttavia colpisce il fatto che tale tipo di sentiero sia stato percorso da uno soltanto dei figli di Uguccione. In parallelo, occorre rimarcare come l’ingresso nella militia non rappresenti di per sé un ‘investimento’ dal rendimento politico sicuro, neppure essendo figli di un ex console. È importante notare infatti come la ‘carriera politica’ di Spinello sembri interrompersi a seguito della morte del padre, dal momento che lo vediamo di fatto sparire dalla documentazione ufficiale e non solo224.

Il testo ci rivela anche altro. Uguccione elenca infatti in maniera puntuale le spese di varia natura che egli ha contratto per sostenere il figlio nel suo percorso di inserimento fra i

milites cittadini. Si tratta di una serie – non troppo consistente, in verità – di fitti e di

appezzamenti di terra che molto probabilmente dovevano costituire nelle intenzioni del genitore una sorta di ‘dotazione’ di sicurezza sufficiente a permettere al figlio di compiere le necessarie spese per il mantenimento dell’equipaggiamento, o piuttosto a fornirgli più in generale i mezzi per mantenere una propria indipendenza economica225. Anche in questo caso non possiamo purtroppo quantificare il reale valore di questi beni in relazione alle esigenze politico-militari di Spinello; rimane il fatto che la cifra complessiva dei beni donati dal padre ci appare francamente bassa, insufficiente a ovviare alle esigenze di un giovane cavaliere cittadino.

222 I due sono evidentemente figli di due donne diverse, di cui purtroppo non viene riportato il nome.

223 Dall’età dei due figli – Toringello sembra essere il minore –, alle loro scelte politiche, alle loro condizioni di salute, ecc.

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In due documenti di poco antecedenti alla morte del padre (rispettivamente: San Bartolomeo 1212 maggio 28, e Capitolo, 1213 maggio 15) egli compare come testimone di due sentenze pronunciate dai «publici iudices causarum Pistorii». Tali atti testimoniano dell’avvenuto inserimento di Spinello nella ‘stanza dei bottoni’ prima della stesura del testamento paterno.

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Si tratta nell’ordine di «unam vineam positam ad Buram», del fitto annuo di 2 omine di grano e della pensione annua di 5 soldi di lucchesi «quod et quam reddebat mihi Galligarius et frater eius», della pensione annua di 2 soldi «quam reddebat Ubaldus Saraceni», della pensione annua di 18 denari «quam reddebant filii Astancolli» e della pensione annua di 10 denari e 1 cappone «que reddebat Bellus. Item dedi ei in alia parte» 10 lire «de ricompera Riccardini de Gutho». E ancora un paio di buoi del valore di 12 lire, e un asino del valore di 100 soldi e un «corectum» del valore di 5 lire. In tutto meno di 40 lire.

Particolarmente interessante, all’interno della lista dettata da Uguccione, risulta poi essere il riferimento allo «arredum de viridi» del valore di sette lire che egli ricorda di aver comprato a Spinello. Nonostante la genericità del termine utilizzato mi sembra abbastanza chiaro che l’oggetto in questione sia un capo di abbigliamento, forse una tunica o un mantello, che possiamo classificare come una sorta di ‘abito da cerimonia’, o comunque come un vestito da utilizzare in circostanze speciali. Il che ci porta inevitabilmente a interrogarci sull’eventuale presenza di rituali e cerimonie specifiche per l’ingresso all’interno della «universitas militum» pistoiese. Inutile dire, purtroppo, che le fonti (o meglio la pressoché totale assenza delle stesse) non ci consentono di rispondere positivamente a tale quesito. Rimane in ogni caso più che probabile, per il valore politico ed economico (oltre che simbolico e culturale) che l’ingresso nell’universitas rivestiva, che fosse prevista una qualche forma di rito di introduzione, volta a cementare ulteriormente l’identità del gruppo226.

A prescindere dalle considerazioni sulla probabile organizzazione e strutturazione della

universitas, i dati che possediamo circa la composizione del vertice della stessa – anche in

questo caso poco molto pochi, per la verità – ci parlano, come in parte preannunciato, di una preponderanza assoluta della componente signorile. Su dieci nomi di consoli attestati nelle fonti ben otto sono sicuramente espressione delle famiglie di origine signorile227. L’esiguità del campione viene in questo senso compensata dalla percentuale ‘bulgara’ che emerge dall’analisi dello stesso, di modo che il controllo del gruppo signorile sulla ‘università’ appare veramente granitico228.

Se poi cerchiamo di allargare il nostro campo d’azione a comprendere l’insieme di quei personaggi per i quali possiamo ragionevolmente ipotizzare una qualche forma di vicinanza alla universitas – ovviamente ferme restando le necessarie cautele di indole

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Per cui vedi MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini, pp. 374-387.

227 Si tratta rispettivamente di: «Lanfrancus Nazarii» (Lazzari), «Agolante» (Tedici), «Tepertus de Arcipreite» (Tebertelli) per il 1212 (Liber Censuum, n. 25, 1212 settembre 7); «Tomaxinus» (Tedici), «Ugolino Ughonis» (Ughi), per il 1221 (Ivi, n. 132, 1221 maggio 19); «dominus Curradus» (Muli) per il 1223 (Ivi, n. 190, 1223 novembre 2); «Orlandettus» (Vergiolesi) per il 1225 (Ivi, n. 227, 1225 gennaio 10); «dominus Guittoncinus quondam Sighibuldi» (Siniboldi) per il 1226 (Ivi, n. 267, 1226 novembre 15). 228 Dei due nomi rimanenti il primo, «Tancredus» (Ivi, n. 132, 1221 maggio 19), è probabilmente da identificarsi in «Tancredus de Bargi», membro della famiglia signorile dei Bargesi e ufficiale del Comune nel 1225 – cfr. P. VIGNOLI, Il Liber Censuum del Comune di Pistoia. Studio preparatorio all’edizione critica

integrale, Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria, 2004, nota 66, p. 32 – o nel «Tancredus Buldronis»,

figlio del ‘nostro’ giudice Buldrone; meno probabile è che si tratti del giudice Tancredi di Strinato (già citato anch’egli), console nel 1200. L’identità del secondo, «dominus Bonifatius» (Liber Censuum, n. 190, 1223 novembre 2) rimane invece del tutto oscura. Il nome Bonifatius rientra nello stock onomastico dei Della Torre, ma non abbiamo alcun elemento che ci consenta di operare con sicurezza l’identificazione.

documentaria229 – il quadro muta ma solo leggermente. L’«universitas militum» pistoiese vive una netta egemonia delle famiglie signorili, a cui si aggiungono via via altri lignaggi e singoli personaggi che nei decenni a cavallo dei due secoli hanno saputo accrescere il proprio prestigio politico fino ad assimilarsi di fatto ad esse. Ancora per tutto il primo quarto del Duecento le porte della militia pistoiese non paiono serrate all’ingresso di nuovi membri.

In questo senso la testimonianza relativa al figlio di Uguccione di Guicciardo acquista ulteriore significato. In essa infatti non si cita mai, neppure in maniera indiretta, quello che viene tradizionalmente considerato come uno degli attributi specifici dei milites: il cavalierato di rito230. Il generico riferimento alla militia sua con cui Uguccione qualifica l’inserimento del figlio all’interno della universitas non può infatti essere inteso richiamare la cerimonia dell’addobbamento cavalleresco, visto tra l’altro che Spinello non viene mai qualificato col termine di dominus231.

Più in generale, se diamo uno sguardo alla documentazione del primo quarto del Duecento possiamo notare come l’utilizzo di tale titolo sia estremamente raro. Le prime attestazioni risalgono infatti agli anni iniziali del XIII secolo, ed è comunque solo con gli anni dieci che cominciano ad apparire numericamente significative232.

La qualifica di dominus non sembra comunque costituire ancora un elemento di distinzione e di caratterizzazione significativa, neppure per i membri più eminenti della

militia, se è vero che essa non viene mai attribuita neppure ai «consules militum» indicati

come tali nelle fonti; e che, nel complesso, viene impiegata con una certa intermittenza in riferimento anche agli stessi individui, quasi che – per assurdo – non vi fosse la dovuta sicurezza nella determinazione della condizione specifica del singolo, o che – in maniera più probabile – non vi fosse ancora un consenso sociale generalizzato sul valore da attribuirle233.

229 Le nostri fonti documentano in maniera positiva soltanto la presenza di consoli. Non sappiamo dunque se

l’universitas pistoiese avesse un proprio consiglio, o anche altri ufficiali oltre ai consoli. Il solo confronto con

le societates di altre città non è sufficiente di per sé ad avvalorare tale ipotesi. 230

Vedi ancora MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini, pp. 375-380. 231 Neppure nello stesso testamento del padre.

232 I primi riferimenti in assoluto sono in Comune, 1205 novembre 19; Capitolo, 1206 novembre 17; e Ivi, 1207 gennaio 20. Questi sono gli unici per il primo decennio del Duecento.

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Gli esempi sono in questo senso estremamente numerosi. Un caso su tutti, relativo alla famiglia Panciatichi: in Comune, 1214 marzo 18 Lanfranco di Infrangilasta non viene qualificato come dominus. Egli lo è diventato in Comune, 1217 gennaio 26; non lo è più in Ivi, 1218 settembre 15, anche se nello stesso documento, in una parte del negozio che si volge il 9 ottobre viene di nuovo indicato come dominus. Lo stesso Agolante Tedici è indicato come dominus in Capitolo, 1206 novembre 17; ma non così in Comune, 1219, o Capitolo, 1227 febbraio 16.

Mi sembra dunque, molto semplicemente, che all’interno dello specifico contesto pistoiese, le cui caratteristiche principali siamo venuti evidenziando nel corso di queste pagine, l’attributo del cavalierato di rito fosse un elemento ritenuto non significativo per la definizione dell’identità del miles. Vi erano in questo senso altri fattori, più semplici, più chiari, in ogni caso di più facile comprensione per la specifica società pistoiese – magari quella stessa cerimonia di ingresso nella universitas adombrata dal caso di Spinello di Uguccione – che svolgevano il compito di qualificare l’immagine dei milites. Altri erano insomma gli attributi che venivano considerati come portatori di una valenza identitaria in una realtà che come abbiamo visto si caratterizzava per una tradizione di forte riconoscibilità politica234.

Tale stato di cose, come vedremo anche nel Capitolo Quarto, viene comunque a mutare dopo il primo quarto del nuovo secolo. Con la trasformazione del contesto generale in atto in quegli anni cambiano in qualche modo i presupposti sociali e politici che hanno fino ad allora regolato le dinamiche interne alla militia (e non solo). È infatti grosso modo dalla fine degli anni venti, in corrispondenza dello sviluppo delle tensioni fra milites e

populares, che le attestazioni del titolo di dominus salgono in maniera netta dal punto di

vista quantitativo. E che, soprattutto, esso viene utilizzato con maggiore coerenza e continuità per definire i milites cittadini.

È da questo momento, insomma, che l’addobbamento cavalleresco, che il cavalierato di rito, acquista una valenza identitaria fino ad allora sconosciuta. È da questo momento, di conseguenza, che l’«universitas militum» pistoiese viene a definire la propria fisionomia in forme maggiormente stabili e controllate235.

La mancanza a questo proposito di riferimenti quantitativi apprezzabili per il periodo precedente non ci consente tuttavia di cogliere con sicurezza il significato che tale operazione assunse in relazione all’accesso alla militia. Risulta difficile, in altre parole, giudicare se dietro all’adozione del cavalierato di rito come elemento qualificante dal punto di vista socio-politico sia da intravedere la volontà dei milites di chiudere in qualche modo l’ingresso alle nuove famiglie che ancora premevano per inserirsi stabilmente all’interno del gruppo.

Si tratta di un punto delicato, e di per sé di non facile scioglimento236. L’impressione complessiva che si ricava dalla lettura delle testimonianze è tuttavia quella di una scelta

234 Si ripensi, in questa ottica, al riferimento ai maiores per l’elezione dei consoli in Breve dei Consoli, rubrica 71.

235

Anche se non mancheranno anche in futuro, come vedremo, altri esempi controversi. 236 Cfr. le considerazioni di MAIRE-VIGUER, Cavalieri e cittadini, p. 472 e segg.

operata non tanto con il preciso intento di scoraggiare ulteriori ingressi all’interno dell’universitas (risultato che sul lungo periodo sembra peraltro indirettamente raggiunto), quanto piuttosto con la volontà di evidenziare la valenza di determinati comportamenti. Da un lato infatti vediamo da allora indicati col titolo di dominus personaggi appartenenti a famiglie altrimenti sconosciute, per cui sembra molto probabile che l’affiliazione alla

militia sia un fatto relativamente recente237. Dall’altro rimangono come appena visto dei margini di incertezza nell’utilizzo della qualifica che non possono non attenuarne il valore di discriminante sociale, almeno in questa prima fase.

Più che operare in funzione del nuovo, il diverso rilievo assegnato all’addobbamento sembra piuttosto sancire il riconoscimento di una fusione e di una coesione fra famiglie di diversa origine che si sono venute creando nel corso dei decenni di passaggio fra XII e XIII secolo. All’inizio degli anni trenta, quando il contrasto con i populares tende a farsi sempre più aspro e in parallelo tendono a crescere le attestazioni della qualifica di dominus, i giochi nella composizione dei due schieramenti sono già fatti.

Da questo punto di vista, anche la ‘alleanza’ che i milites stringono con il gruppo degli

judices, non rappresenta altro che l’esplicitazione politica di una sostanziale identità

sociale. Come abbiamo in parte già accennato gli judices vengono infatti reclutati a larga maggioranza (e costantemente; almeno a partire dalla fine del XII secolo, da quando cioè i documenti ci permettono di sviluppare in tal senso un’indagine prosopografica maggiormente significativa) all’interno delle famiglie di origine signorile238. Più in generale, a prescindere dall’originale connotazione sociale del gruppo familiare di appartenenza, gli judices pistoiesi mostrano una piena adesione – come abbiamo visto ad esempio nel caso del giudice Deotifeci, o più ancora in quello di Buldrone di Soldo – alla cultura politica della militia, così come avviene generalmente in tutto il mondo comunale239.

In buona parte a causa del conflitto che la oppone al Popolo, l’immagine che la militia pistoiese ci trasmette nel corso degli anni trenta del Duecento è di sostanziale compattezza politica. Non mancano – come vedremo in dettaglio nel corso del Capitolo Quarto – testimonianze esplicite circa la presenza di contrasti anche aspri fra i lignaggi, e più in

237

È il caso ad esempio dei Ricciardi. Il padre del messer Ricciardo eponimo della famiglia, «Castellanus» o «Castellus» (come indicato nel giuramento del 1219) è personaggio a noi sconosciuto.

238 Alcune famiglie anzi sembrano qualificarsi proprio per una specifica tradizione in tal senso. I casi più eclatanti, dal momento che rappresentano due dei lignaggi più importanti nella storia cittadina di XIII e XIV secolo (e non solo) sono quelli dei Rossi e dei Taviani.

generale di defezioni eclatanti alla ‘causa’ comune240; tuttavia non si verificano in quegli anni fratture significative all’interno della universitas.

Quel che è certo è che i riflessi della lotta fra Impero e Papato che sta contribuendo a polarizzare le rivalità interne ai Comuni italiani giungono a Pistoia dopo il 1237. La creazione in città delle fazioni guelfa e ghibellina è sicuramente posteriore a questa data. Nel Capitolo Quarto affronteremo più in dettaglio la questione241. Per il momento è necessario sottolineare come la documentazione relativa agli anni quaranta del secolo ci dipinga una situazione di sostanziale stabilità.

Al di là della pressoché totale assenza di testimonianze circa l’eventuale presenza di conflitti espressi in forma cruenta, la realtà descritta dagli atti prodotti dal Comune è quella di una militia che riesce a sfruttare la vittoria conseguita sul Popolo sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico. In forme diverse, i milites riescono infatti ad accrescere il proprio peso all’interno della struttura istituzionale del Comune e a drenare dalle casse dello stesso una quantità rilevante di denaro.

In questa fase le fonti, lo ribadiamo, non lasciano intravedere l’esistenza di particolari divisioni all’interno del gruppo, che ci appare a tale proposito relativamente compatto. Risulta così estremamente difficile riuscire a collocare dal punto di vista partitico le diverse famiglie del ceto dirigente cittadino, siano esse di milites o di populares242. Non è comunque nostra intenzione in questa sede quella di procedere a una descrizione analitica dei due schieramenti.

Ci limiteremo semplicemente ad evidenziare come numerosi esponenti di primissimo piano della militia e del gruppo degli judices sembrino per così dire attraversare senza danno o problema apparente le diverse fasi di predominio dei due schieramenti. E quindi a sottolineare, più in generale, come la declinazione pistoiese del conflitto guelfo-ghibellino presenti in questo senso uno sviluppo peculiare, fortemente distante tanto dal modello fiorentino quanto da quello senese o pisano.

Particolarmente eclatanti appaiono a tale proposito i casi di due giudici, messer Taviano di messer Giovanni dei Taviani e messer Sozzofante di Uguccione dei Tebertelli. Essi sono personaggi di assoluto rilievo all’interno della società cittadina dei decenni centrali del Duecento, e appartengono a due famiglie eminenti che verranno incluse nelle liste magnatizie e che segneranno, più in generale, la vita di Pistoia nei secoli successivi.