• Non ci sono risultati.

U N PATRIMONIO MOBILE

Se per quanto concerne la struttura societaria, e i legami diretti di essa con l’organizzazione familiare, la situazione risulta caratterizzata da una sostanziale omogeneità, dal punto di vista patrimoniale emerge un quadro senza dubbio più articolato, in cui sembrano avere un ruolo significativo quelli che potremmo definire come i singoli retaggi familiari, legati alla tradizione e all’evoluzione sociale specifica dei vari lignaggi. Come abbiamo avuto modo di sottolineare più volte le fonti in nostro possesso non ci consentono di definire con precisione né la quantità né la qualità del patrimonio delle famiglie dei mercanti e banchieri pistoiesi. Si possono tuttavia cogliere elementi e tendenze con cui abbozzare un quadro complessivo sufficientemente apprezzabile nelle sue linee generali.

Cominciamo dalla ricchezza mobile, da quel patrimonio di merci e denari che nella sua disponibilità e consistenza pare contraddistinguere, pur con i distinguo del caso, l’intero gruppo sociale in rapporto al blocco dei lignaggi ‘signorili’ che abbiamo visto nel Capitolo precedente.

Seppure in forma incompleta e cronologicamente difforme, i riferimenti che abbiamo visto documentano per le nostre famiglie l’esistenza di un giro d’affari consistente, con movimenti di denaro rilevanti in termini assoluti. L’immagine che si concretizza, tenendo conto anche dei dati presenti nella documentazione non pistoiese, è quella di un gruppo relativamente omogeneo di imprenditori-prestatori, capaci di disporre di somme consistenti di denaro liquido. Se sul lungo periodo le compagnie dei Chiarenti e degli Ammannati riusciranno come sappiamo a emergere in maniera netta quali titolari di compagnie fra le più grandi della Toscana e dell’intera Europa, il quadro di metà secolo sembra caratterizzato da una certa omogeneità nella disponibilità di capitali e più in generale nelle dimensioni delle aziende pistoiesi.

Nessuna della decina di compagnie che prestano denaro a Schiatta e Baldinello di Bonaiuto per l’acquisto dei panni lombardi dimostra in questo senso di possedere una

liquidità superiore alle altre120. È vero che la particolare origine dei riferimenti in questione non ci permette di giudicare in termini assoluti della capacità finanziaria di tali compagnie, visto che essi derivano dall’attività di un’unica società121. È però ugualmente vero che l’insieme delle testimonianze è concorde nel delineare per il caso pistoiese una realtà fatta di aziende della medesima caratura, che potremmo definire di media (e in qualche caso medio-alta) grandezza quanto a consistenza e disponibilità di capitali122.

Quanta parte di tale disponibilità si traducesse poi effettivamente in guadagno, e andasse a consolidare il patrimonio personale dei vari soci della compagnia, è cosa difficile da dire. Il citato documento relativo alla compagnia dei Boni è l’unico strumento che possediamo per poter indagare più in specifico sul rapporto fra capitale impiegato e guadagno. Come già accennato esso documenta una situazione che, a fronte di un conferimento di capitale da parte dei soci principali che possiamo considerare come consistente in termini assoluti, risulta non eccessivamente redditizia123. Si ha insomma l’impressione che, almeno in questo caso, il giro d’affari della compagnia non brilli per per margine di profitto. Il citato riferimento alla partecipazione alla compagnia di orfani e vedove, con quote di capitale non irrisorie, sembra delineare un modello di funzionamento societario in cui a una maggiore percentuale di diffusione della ricchezza corrisponde una minore capacità di produzione della stessa. Nella misura in cui, per di più, esso risulta relativamente diffuso nell’intero ambito cittadino124.

Se quindi possiamo almeno non sopravvalutare l’incidenza dell’investimento commerciale nella formazione dei patrimoni, rimane il problema di definire anche solo l’ordine di grandezza che tali patrimoni mediamente assumevano. Per ovviare a tale stato di cose cercheremo di utilizzare, così come abbiamo fatto nel Capitolo precedente in relazione ai lignaggi signorili, in particolare una tipologia di atti: gli strumenti dotali, la cui analisi ci permetterà di formarci un’idea meno vaga della situazione125. Tali atti sono comunque pochi, e tutti relativi alla seconda metà del Duecento, per cui le cifre in essi contenute dovranno essere contestualizzate con attenzione. Vediamoli in dettaglio.

120 Nessuna delle compagnie attestate nelle fonti sembra mostrare una capacità finanziaria o un volume d’affari più elevati.

121

Si noti in ogni caso come i figli e i nipoti di Bonaiuto che contraggono via via i prestiti in moneta locale ruotino pressoché costantemente le società con cui contrarre i prestiti.

122 Cfr. DINI, I successi dei mercanti. Per un confronto fuori dall’ambito toscano vedi BAUTIER, Les

marchands et banquiers.

123

CASTELLANI, Prosa italiana. Per le considerazioni sulla distribuzione del capitale e sugli utili relativi vedi DINI, I successi dei mercanti, pp. 176-177.

124 Vedi supra, nota 82 e testo relativo.

125 Non utili ai fini dell’analisi che stiamo conducendo si rivelano invece i testamenti, dal momento che quei pochi che si sono conservati in relazione a membri delle famiglie in questione non presentano di fatto menzione di lasciti o legati che ci illustrano consistenza o qualità dei rispettivi patrimoni.

Dal testamento di Simigliante del fu Guido, membro di spicco del ceto mercantile- bancario della città, si ricava come egli avesse ricevuto 76 lire dalla prima moglie,

Bellantedescha, e ben 160 dalla seconda, «domina Meliore»126. Nel 1259 Visconte di Ricoveraschiatta riceve a nome del figlio Schiatta 200 lire di dote dalla nuora, domina

Dibene127. Drudo figlio di Jacopo di Caparozzo ottiene per due volte, tra il 1253 e il 1262, la medesima cifra di 130 lire128. Pochi anni più tardi, nel 1267, donna Agnese della famiglia dei Cremonesi, porta in dote a Diodato, rampollo della famiglia Partini, ben 225 lire129.

Se confrontiamo queste cifre con quelle che vediamo essere corrisposte in media intorno alla metà del Duecento130, e poi con il ben noto termine di 200 lire relativo alla dote di donna Torrigiana sposa di un Visconti e poi di un Panciatichi che abbiamo visto nel corso del Capitolo precedente131, quella che viene fuori è l’immagine di un gruppo di famiglie che dal punto di vista patrimoniale si colloca – anche se nel complesso un poco più in basso rispetto ai lignaggi signorili – ai vertici della società cittadina.

Rimane tuttavia l’incertezza circa la composizione e la reale consistenza quantitativa del patrimonio di queste famiglie. L’unica evenienza ‘positiva’ che la documentazione ci trasmette in questo senso è rappresentata dall’atto relativo alla divisione dei beni fra Schiatta e Baldinello di Bonaiuto132. Nel gennaio del 1260, nella casa dei cugini Ricoveraschiatti posta nelle vicinanze del mercato cittadino, i due fratelli procedono «in concordia» alla divisione dei «bona eorum et res comunia et comunes»133. Schiatta riceve due pezzi di terra – al solito purtroppo non ne viene specificata l’estensione – ubicati nel territorio di Piuvica; poco meno di dieci omine annue di frumento come rendita da alcuni fittavoli; e ancora 37 soldi e mezzo di denari pisani. Al fratello vanno invece altri due pezzi di terra posti sempre presso Piuvica e poco più di 29 soldi di pisani. Schiatta si dichiara

126 Cfr. Comune, 1252 gennaio 23. Nel testamento lascia del denaro in espiazione delle «omnas usuras olim ab ipso extortas […] et male ablatas». Alla stesura dell’atto partecipa come testimone anche Astalone di Ricoveraschiatta. Non a caso, visto che il figlio, Ranieri risulta socio della compagnia dei Ricoveraschiatti per almeno un decennio: Patrimonio, 1261 giugno 3; e Ivi, 1271 marzo 28.

127 Comune, 1259 settembre 3. Sappiamo come in questo caso la neo sposa sia la figlia di quel Braccio (o Braccino) di Giunta per due volte camerlengo del Comune, e provenga da una famiglia dell’élite commerciale.

128

Cfr. rispettivamente Comune, 1255 dicembre 15; e Ivi, 1262 maggio 13.

129 Comune, 1267 gennaio 27. La sposa è la nipote di Cremonese, essendo figlia del fratello questi, Benvenuto di Rustichello.

130 Cfr., a puro titolo d’esempio, San Bartolomeo, 1244 settembre 28; Comune, 1250, giugno 15; Ivi, 1250 luglio 2. I personaggi in questione sono sconosciuti; le doti sono rispettivamente di 22, 53, e 26 lire.

131 Cfr. Comune, 1246 agosto 11.

132 Si noti, per inciso, come a tale divisione patrimoniale non abbia corrisposto una divisione societaria. Come sappiamo negli anni successivi i fratelli – e i nipoti – sono regolarmente uniti nella conduzione della compagnia. Cfr. a titolo d’esempio Patrimonio, 1269 novembre 21.

infine soddisfatto, su richiesta del fratello, delle doti ricevute dalla prima e poi dalla seconda moglie134.

L’elenco è in verità abbastanza scarno. Anche in mancanza dell’estensione dei vari appezzamenti di terra non si può non evidenziare come l’entità complessiva dei beni in oggetto sia poca cosa, sia in termini relativi che assoluti. Da alcuni passaggi del documento pare comunque di capire che l’accordo in questione giungesse a chiudere situazioni pregresse, e dunque riguardasse soltanto una parte dei beni dei due fratelli, quella che – forse perché derivante dall’eredità paterna? – ancora non era stata divisa135. In ogni caso le fonti non fanno emergere alcun elemento che testimoni dell’esistenza di un patrimonio fondiario di qualche rilievo136.

Non è questo l’unico esempio in tal senso. Nel complesso, se guardiamo agli investimenti fondiari operati dalle famiglie del ceto mercantile-bancario, alla quota di ricchezza impegnata e investita nel possesso della terra, emergono con decisione quelle differenze cui abbiamo fatto cenno in principio di paragrafo.

La relativa penuria di riferimenti che accomuna in tal senso la famiglia di Schiatta e Baldinello a numerosi altri lignaggi di mercanti-banchieri non pare del tutto casuale. Tanto più se si considera che tale penuria non risulta generalizzata (o meglio non egualmente grave per tutti), ma pare in qualche modo privilegiare alcune famiglie, alcune precise realtà sociali e politiche, rispetto ad altre. Pur nella difficoltà di delineare lo status del singolo lignaggio nel corso dei primi decenni del Duecento, si fa sentire infatti la loro differente tradizione sociale. In altre parole, quelle famiglie che le fonti ci fanno intravedere al vertice del mondo finanziario cittadino fino dal primo quarto del Duecento mostrano tendenzialmente, nel corso dei decenni successivi, una maggiore propensione all’investimento terriero e alla formazione di complessi fondiari di rilievo.

È il caso, ad esempio, per riprendere alcuni dei personaggi già intravisti in precedenza, di Gualandesco di Saracino, padre del Giovanni socio della compagnia Ricoveraschiatti. Impegnato in attività creditizie già dal 1225, nel corso dei decenni successivi egli procede a operare una nutrita serie di acquisti fondiari, comprendenti appezzamenti terrieri, affitti

134 Si tratta rispettivamente di «domina Margarita olim sua uxore», e di «domina Belladonna nunc sua uxore».

135

Due dei fitti citati risultano infatti ancora indivisi.

136 Non mi è stato possibile rintracciare alcun documento che testimoni del possesso di terre da parte dei nostri. I loro nomi non compaiono neppure fra i confinanti contenuti nei numerosi atti dei fondi pistoiesi. Al di là dell’ovvio margine di fallibilità dello spoglio da me condotto, e della non esaustività della documentazione conservatasi, mi pare che tale assenza sia significativa, e tale in ogni caso da rinforzare l’impressione segnalata.

di grano e finanche una casa posta in Pistoia nella cappella di San Giovanni Evangelista137. Al di là degli accidenti documentari Gualandesco ci appare perseguire un preciso e convinto disegno di espansione fondiaria, che tocca fra l’altro tutte le principali zone del distretto138.

Così, la famiglia di Insegna di Battinemico, che abbiamo visto al vertice delle istituzioni e del mondo commerciale cittadini intorno agli anni venti del Duecento, alla metà del secolo risulta in possesso di un patrimonio terriero consistente139. Proprio il figlio Lambertino nel 1255 vende al rettore dello spedale di Prato del Vescovo un appezzamento fondiario del valore di 98 lire e 10 soldi, cifra di tutto rispetto se rapportata tanto ai movimenti di denaro che vediamo compiere ai vari mercatores al di fuori dell’ambito strettamente commerciale, quanto alle cifre mediamente attestate per le compravendite fondiarie140.

In parallelo con l’interesse dimostrato per le acquisizioni di beni terrieri si osserva anche la presenza di un legame diretto, di non facile lettura nelle sue implicazioni di carattere politico, con le famiglie di origine signorile141. Anche la relazione con gli enti ecclesiastici pare in questo senso maggiormente intensa, sial sul piano personale che sul piano economico. Fra gli esempi principali Simigliante di Guido, che abbiamo conosciuto come membro di spicco del ceto mercantile, e che risulta legato allo spedale di Prato del Vescovo, acquista intorno agli anni venti alcuni appezzamenti fondiari dalla famiglia dei Lazzari142. Lo stesso Chiarente di Anselmo, membro principale della famiglia e della

137 Cfr. Comune, 1225 gennaio 24: «Genarius quondam Scotti et Lucius eius filius» ricevono in prestito da Gualandesco 57 lire di pisani. Gli acquisti fondiari sono rispettivamente in Ivi, 1231 dicembre 18 (a Piuvica);

Ivi, 1240 gennaio 27 (a Masiano); Ivi, 1258 agosto 13; Ivi, 1259 settembre 6 (a Lamporecchio). I fitti in Ivi,

1240 luglio 23 («in Vigna Regi»; nota come tra i confinanti compare un Buforcinus, forse il padre di Pepo e Andrea?). In Ivi, 1233 agosto 31 egli infine procede all’acquisto di parte «unius domus posite Pistor in cappella Sancti Johannis Evangeliste», che riaffitta quindi al venditore.

138

Il che non gli impedisce comunque di mantenere i propri interessi commerciali, di ricoprire per tre volte come sappiamo l’incarico di camerlengo del Comune e di essere operario di San Jacopo per il 1257. Cfr.

Comune, 1257 agosto 26; e Ivi, 1257 ottobre 12.

139 Delle qualifiche di Insegna abbiamo già detto. Egli risulta deceduto già nel 1227 (San Bartolomeo, 1227 novembre 11). Il padre, Battinemico di Ildibrandino, compare in alcuni atti di fine XII secolo. Assieme a tale «Guido Bietus» è procuratore del crociato Carpinello (Olivetani, 1189 settembre 10: egli è «Ultramare contra Saladinum pessimum Saracenum»; e Patrimonio, 1190 giugno 20; vedi a riguardo RAUTY, Il testamento, p. 21). Ma soprattutto risulta in stretti rapporti con l’Opera di San Bartolomeo, di cui è rettore nel 1196. Cfr.

San Bartolomeo, 1196 marzo 2; e anche Ivi, 1208 febbraio 24. Ancora vivo nel 1212 (Olivetani, 1212 maggio

30), è già deceduto nel 1219 (Liber Censuum, n. 82, 1219 settembre 16). 140 Cfr. Comune, 1256 settembre 13.

141 Non vi sono ad esempio attestazioni relative a matrimoni che coinvolgano membri dei due gruppi, che a giudicare anche dai riferimenti cronachistici non sembra comunque siano stati troppo frequenti.

142 Cfr. Comune, 1229 novembre 4. Nell’atto si stabilisce che «Martinus quondam Signorecti» è tenuto a versare ogni anno a Simigliante un fitto di 4 omine di grano per i beni che da lui tiene in affitto. Tali beni sono giunti nella disponibilità di Simigliante dopo averli acquistati da «Lanfranco Naççari», vale a dire da uno dei più importanti esponenti della militia cittadina. Simigliante compare come testimone in moltissimi atti relativi allo spedale di Prato del Vescovo – Capitolo, 1215 gennaio 7 (c’e anche Insegna di Battinemico);

compagnia dei Chiarenti, risulta fittavolo di un membro della famiglia Visconti143. Eclatante è poi in questo senso il caso della famiglia dei Reali, con Picchioso e Inghilberto di Reale che nel corso della prima metà del secolo procedono all’acquisto di una torre e delle case ad essa adiacenti144.

Almeno in questa fase – la prima metà del Duecento – l’investimento fondiario pare dunque essere una via percorsa principalmente da quelle famiglie che da più tempo calcano il palcoscenico cittadino, e che anche per questo sembrano in possesso di legami più solidi con le istituzioni ecclesiastiche e con le famiglie signorili145.

Queste ultime, tuttavia, mostrano una propensione al possesso terriero nettamente maggiore sia in termini qualitativi che quantitativi, con tutto ciò che ne consegue.