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Capitolo 3 L’immigrazione cinese in Europa

3.1 Da Londra a Prato: Scenari d’immigrazione

Come accennato in precedenza, i primi immigrati arrivarono in Europa in un tempo anteriore al secondo dopoguerra. Di questo gruppo di pionieri potremmo ricordare i marinai cantonesi che già nel XIX secolo giungevano in Europa a bordo delle navi inglesi e che, talvolta, si stabilivano presso le maggiori città portuali (come Londra, Liverpool, Rotterdam, Amsterdam, Amburgo, Anversa, Barcellona); quel gruppo di circa 3.000 lavoratori che, dopo essere stati impiegati negli impianti della Francia e delle Fiandre nel corso della Prima guerra mondiale, riuscirono a insediarsi nel continente; i venditori ambulanti, provenienti in particolare dai distretti di Wenzhou e Qingtian nella provincia meridionale dello Zhejiang; un manipolo di studenti tendenzialmente politicizzati che scelse di rimanere in Europa – soprattutto in Francia – al termine di un percorso di studio-lavoro1. Secondo i dati raccolti dall’Overseas Community Affairs Council (OCAC) di Taiwan, nel 1935 l’Europa avrebbe ospitato quasi 40 mila cinesi. Questo piccolo insieme – composto in prevalenza da cantonesi e zhejiangesi – sarebbe cresciuto velocemente negli anni successivi, nel momento in cui i suoi rappresentanti avrebbero avuto la possibilità di mettere in atto il sistema dei reticoli migratori che permise ai loro familiari e ad altri compatrioti di emigrare a loro volta.

Più sistematicamente, gli storici Gregor Benton e Frank N. Pieke, che nel 1998 curarono la pubblicazione di uno degli studi all’epoca più esaustivi e innovativi sulla migrazione cinese in Europa, suddivisero gli immigrati presenti nel continente in cinque maggiori gruppi differenti sia per aree di provenienza, sia per il momento d’arrivo e il volume dei flussi, ma anche per i percorsi migratori lungo i quali essi raggiunsero la destinazione. Innanzitutto, gli studiosi individuarono i piccoli commercianti provenienti dai dintorni della città portuale di Wenzhou e della zona rurale del distretto di Qingtian. Secondo alcune indagini effettuate proprio a Qingtian, i primi ambulanti sarebbero partiti per l’Europa addirittura nella seconda metà del XIX secolo, probabilmente via terra attraversando la

1 LI M., See Transnationally, cit., pp. 133-134.

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Siberia, oppure via mare, imbarcandosi sulle navi che facevano scalo a Marsiglia. Mosca e Parigi, quindi, furono le due grandi città da cui poi i cinesi si spostarono puntualmente in tutti gli altri stati europei. L’emigrazione dallo Zhejiang ha conosciuto un arresto durante il maoismo per poi riprendere in maniera particolarmente intensa dopo il 1978, al punto che la maggior parte dei cinesi attualmente presente in Europa è originaria proprio di tale provincia. Il secondo gruppo è composto dai cantonesi originari dell’area del delta del fiume delle Perle situata nel Guangdong meridionale. Furono soprattutto essi a lavorare come marinai sulle navi europee e a creare i primi insediamenti nelle città portuali dell’Europa settentrionale, benché immigrati della stessa provincia partissero in massa per il Regno Unito anche tra gli anni Cinquanta e Sessanta, usufruendo del canale che univa Hong Kong all’Europa. Come risultato, già nel 1965 almeno 45 mila cinesi si erano stabiliti nel Regno Unito, inserendosi soprattutto nel settore della ristorazione etnica. Da lì, poi, alcuni di essi si spostarono altrove nel continente: dapprima in Olanda, poi in Belgio, Francia, Germania, Scandinavia, Spagna e Portogallo. Il terzo gruppo è rappresentato dai rifugiati di origini cinesi che durante la decolonizzazione dell’Indocina trovarono protezione in Europa, probabilmente quasi 150 mila persone su un totale di 250 mila profughi. L’Olanda accolse circa 10 mila indonesiani di origini cinesi; la Francia almeno 145 mila individui provenienti soprattutto dalla Cambogia dopo il 1975 come effetto delle persecuzioni effettuate dai khmer rossi, ma in misura minore anche dal Laos e dal Vietnam. Nella seconda metà degli anni Ottanta si stabilì in Europa, soprattutto in Germania, un altro gruppo di cinesi originari del Fujian settentrionale. In larga parte, le loro partenze furono organizzate mediante il ricorso ai prestiti ottenuti dai trafficanti. Infine, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, una nuova ondata migratoria, questa volta originaria specialmente della Cina del nord, si diresse verso l’Europa orientale. Da un lato, flussi consistenti mossero in direzione di Russia e Ungheria, approfittando della facilità con cui allora era possibile ottenere un visto per turismo ai confini tra Cina e Russia, così come dell’accordo bilaterale di libera circolazione siglato tra Cina e Ungheria. Dall’altra, flussi minori interessarono anche Repubblica Ceca, Romania, Polonia ed ex Jugoslavia, dove i cinesi avviarono ristoranti o altre attività commerciali, anche se nell’insieme non mancarono le figure di imprenditori e investitori. Questi ultimi, in particolare, seppero intuire il momento in cui negli stati che avevano orbitato nel blocco sovietico nasceva un immediato bisogno di procurarsi tutti quei beni di consumo di cui fino a quel momento non era stato possibile usufruire e che la Cina produceva in gran quantità, talvolta anche per conto di imprese occidentali. Ma l’ondata fu breve sia a causa dell’instabilità della situazione politica,

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sia perché non passò molto prima che gli ingressi venissero sottoposti a restrizioni, ma anche a causa del fatto che le opportunità di guadagno apparissero in realtà troppo modeste2.

Nella prefazione ad uno studio appena pubblicato, la curatrice e sociologa Loretta Baldassar assimila la vicenda di Prato a quella europea, collocando l’indagine in continuità con quella iniziata da Benton e Pieke quasi vent’anni prima. Alle principali ondate migratorie descritte dai due autori, infatti, la sociologa ne aggiunge una sesta: quella che, in particolare a partire dagli anni Novanta, si è stabilita specialmente in Italia e in altri stati dell’Europa meridionale, e che, nonostante il suo carattere innovativo, ha mantenuto dei legami indissolubili con il primo e il quarto gruppo precedentemente descritti. La maggior parte di questi immigrati, infatti, proverrebbe ancora dalle province costiere dello Zhejiang e del Fujian, sebbene dalla seconda metà degli anni Novanta, dopo la chiusura di diverse imprese statali, si sia verificato anche un flusso minore originario della Cina nord-orientale – il Dongbei – verso Germania, Francia, Italia e Ungheria, ma con numeri relativamente modesti. A differenza dei loro connazionali che vantano una tradizione migratoria più consolidata, gli immigrati del Dongbei preferiscono generalmente cercare un’occupazione presso gli esercizi del paese ospitante piuttosto che inserirsi a loro volta nel sistema dell’economia etnica3.

Infine, un altro degli elementi che dagli anni Ottanta avrebbe contribuito a disegnare l’attuale distribuzione degli immigrati cinesi in Europa meridionale, soprattutto in Italia e in Spagna, sarebbe stato il susseguirsi delle cosiddette sanatorie nei paesi dell’Europa occidentale e, soprattutto, di quella meridionale (Francia, Italia, Spagna, Portogallo). Esse, infatti, avrebbero provocato da una parte lo spostamento degli immigrati da uno stato all’altro dell’Unione europea in cui di volta in volta erano disponibili le regolarizzazioni, ma dall’altra, anche all’espansione della catena migratoria e all’aumento delle partenze dai paesi di origine4. L’ondata delle sanatorie è stata particolarmente importante anche per la comunità cinese, i cui membri hanno saputo, quando possibile, cogliere l’opportunità di regolarizzare il proprio soggiorno anche affrontando il rischio di doversi trasferire in uno stato diverso dell’Europa ricominciando da zero il loro percorso di inserimento. Allo stesso tempo, tuttavia, il fatto che il successo della domanda di regolarizzazione dipendesse anche dall’accertamento di un rapporto di lavoro in essere che impegnasse l’immigrato aggravò la

2 Cfr. GREGOR BENTON,FRANK N.PIEKE (a c. di), The Chinese in Europe, London, Macmillan Press Ltd., 1998, pp. 6-8; FLEMMING CHRISTIANSEN, Chinatown, Europe. An exploration of overseas Chinese identity in the 1990s, London, RoutledgeCurzon, 2003, pp. 40-42; LI M., See Transnationally, cit., pp. 134-137.

3 LORETTA BALDASSAR, GRAEME JOHANSON, NARELLE MCAULIFFE, MASSIMO BRESSAN (a c. di), Chinese

Migration to Europe. Prato, Italy and beyond, Basingstoke-New York, Palgrave Macmillan, 2015, pp. 5-6.

4 KEVIN LATHAM, WU BIN, Chinese Immigration into the EU: New Trends, Dynamics and Implications, London, Europe China Research and Advice Network (ECRAN), 2013, pp. 24-25.

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situazione di dipendenza già esistente all’interno delle nicchie economiche etniche, arrecando talvolta un peggioramento dei rapporti e delle condizioni di lavoro dei dipendenti.

Per elaborare una visuale del fenomeno migratorio durante gli anni più recenti, in un rapporto del 2013 pubblicato dallo Europe China Research and Advice Network (ECRAN), gli autori Kevin Latham e Bin Wu hanno isolato le cause principali che a loro avviso avrebbero sollecitato il continuo aumento dei flussi d’emigrazione dalla Cina verso l’Europa nel primo decennio del XXI secolo. Secondo uno schema macro-sociologico, si tratterebbe infatti di un complesso di motivi di attrazione e di repulsione (push and pull factors), quali: la riforma delle imprese statali avvenuta in Cina negli anni Novanta; la rapida crescita degli scambi commerciali tra Europa e RPC; la crescita dei redditi e dei consumi dei cinesi; la distribuzione diseguale della ricchezza e dei benefici derivati dal processo di sviluppo economico cinese (indagata nei capitoli precedenti); l’affermazione di alcuni settori di nicchia nel mercato; l’incremento della migrazione illegale; la riduzione delle limitazioni nelle politiche migratorie in alcuni dei maggiori paesi europei; la rete capillare dei networks e l’importanza della catena migratoria; l’internazionalizzazione dell’istruzione e la tendenza ad effettuare gli studi in un paese straniero in cui, di norma, si cercano maggiori opportunità5.

Sebbene il complesso di immigrati cinesi in Europa non sia numeroso come quello presente nel sud-est asiatico o in America settentrionale, il suo tasso di crescita è quello che è aumentato più velocemente negli ultimi tre decenni. Non disponiamo di un censimento ufficiale che accerti il numero assoluto dei cinesi che vivono attualmente negli stati europei, ciò non solo a causa della difficoltà di individuare ogni immigrato presente in un dato paese, ma anche in ragione dei criteri che ogni stato adotta nelle proprie classificazioni. Al fine di elaborare delle stime sul numero dei soggetti di origine cinese residenti in Europa, Li Minghuan ha provato a realizzare una serie statistica utilizzando un aggregato di dati ricavati dall’OCAC di Taiwan fino al 1995, e dalla European Federation of Chinese Organizations (EFCO) per il 1997 e il 20086. I valori nella colonna del 2011 sono stati elaborati invece da Latham e Wu, in continuità con il lavoro iniziato da Li (tab. 3.1). Come sottolineano ripetutamente gli autori, i dati proposti sono puramente indicativi e non hanno l’ambizione di fornire un quadro rigoroso della presenza cinese. Le difficoltà incontrate dai ricercatori sono simili a quelle già evidenziate in più punti nel testo, vale a dire: le divergenze tra i criteri dei quali si sono avvalsi gli enti statistici, la mancanza di dati omogenei e aggiornati con assiduità e, per giunta, la difficoltà di determinare con precisione quali categorie di immigrati siano state inserite nel complesso dei dati.

5 K.LATHAM,WU B., Chinese Immigration into the EU, cit., pp. 19-20. 6 LI M., See Transnationally, cit., pp. 140-141.

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Tabella 3.1. Distribuzione degli immigrati cinesi in Europa, 1935-2011

(unità) 1935 1955 1965 1975 1985 1995 1997 2008 2011 Regno Unito 8.000 3.000 45.000 120.000 230.000 250.000 250.000 600.000 630.000 Francia 17.000 2.000 6.000 90.000 210.000 200.000 300.000 500.000 540.000 Olanda 8.000 2.000 2.353 30.000 60.000 120.000 100.000 150.000 160.000 Germania 1.800 500 1.200 8.000 30.000 100.000 110.000 160.000 170.000 Belgio 500 99 565 2.000 11.400 20.000 30.000 40.000 45.000 Italia 274 330 700 1.000 5.000 60.000 100.000 300.000 330.000 Spagna 273 132 336 2.000 5.000 21.000 30.000 168.000 170.000 Austria … 30 … 1.000 6.000 12.000 100.000 40.000 40.000 Portogallo 1.200 120 176 300 6.800 4.700 30.000 30.000 30.000 Danimarca 900 900 … 1.000 3.753 6.500 20.000 18.000 18.000 Lussemburgo … 1 10 20 200 100 5.000 1.500 … Svizzera 148 30 120 1.500 6.000 7.500 6.000 10.000 … Grecia … 2 16 10 130 300 … 12.000 20.000 Irlanda … … … 10.000 … 60.000 70.000 Svezia … 2. 34 7 in tota le … 1.000 9.000 12.000 … 30.000 28.000 Norvegia … … 500 1.000 2.000 … 7.450 … Finlandia … … … … 1.000 … 2.000 … Polonia 139 … … … 1.500 … 2.000 2000 Cecoslovacchia 250 … … … 10.000 … 4.000 … Ungheria … … … … 20.000 … 16.000 18000 Romania … … … 10.000 9000 Totale 38.484 11.491 56.476 258.330 584.283 858.600 966.000 2.146.950 2.307.200

Nota: Dal 1935 al 1995, Li utilizza i dati raccolti negli anni dall'Overseas Community Affairs Council (OCAC) di Taiwan. I dati del 1997 sono stati elaborati direttamente dall'autrice durante un progetto di ricerca sulla comunità cinese in Olanda che la vide impegnata in Europa negli ultimi anni Novanta. I valori per il 2008, invece, sono il frutto di un’indagine effettuata dalla European Federation of Chinese Organizations (EFCO) nell'ambito di un rilevamento svolto durante quello stesso anno. Per quanto riguarda il 2011, le stime sono state compilate da Latham e Wu per lo Europe China Research and Advice Network (ECRAN).

Fonte: LI MINGHUAN, Seeing Transnationally, cit., pp. 140-141; K. LATHAM, WU B., Chinese Immigrations into the EU, cit., p. 27.

A dimostrazione delle difficoltà riscontrabili nell’interpretazione dei dati, invece, la tabella 3.2 ha il solo intento di mettere in risalto le discrepanze, a volte significative, che possono sussistere tra quattro autorevoli fonti statistiche diverse. In particolare, si è scelto di confrontare le serie disponibili presso la banca dati della Banca Mondiale (in conformità al capitolo precedente), con quelle dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e altre compilate dall’Ufficio di statistica dell’Unione europea (Eurostat). Inoltre, ad esse sono state affiancate ancora una volta le stime di Latham e Wu citate nel

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paragrafo precedente. Mentre queste ultime cercano di rilevare il complesso della presenza cinese – vale a dire, tutte le persone originarie della Cina, indipendentemente dal momento della loro partenza e dallo stato della loro cittadinanza – le altre tre si riferiscono unicamente a coloro che hanno mantenuto la cittadinanza della RPC. Come si potrà notare, gli unici paesi che presentano dei valori abbastanza coerenti per gli anni 2010-2011 sono Francia e Germania, mentre gli scarti sono più significativi in tutti gli altri casi (Fig. 3.1). Per questo motivo, si è preferito evitare di proporre una comparazione, preferendo utilizzare le stime di Li, Latham e Wu anche nelle ultime sezioni del capitolo dedicate più specificatamente ad alcuni paesi europei.

Tabella 3.2. Immigrati cinesi nell’Unione europea, statistiche a confronto, 2010-2011

(Unità)

Banca

Mondiale Ocse Eurostat Ecran

Regno Unito 117.000 107.000 284.000 630.000 Francia 90.227 90.100 96.301 540.000 Italia 92.384 209.934 151.981 330.000 Spagna 145.486 167.132 90.255 170.000 Germania 73.412 81.331 77.620 170.000 Olanda 56.282 21.317 n.d. 160.000 Svezia 25.107 14.134 25.714 28.000

Altri paesi UE28 91.187 77.643 90.565 274.200

Totale 692.065 768.591 816.006 2.307.200

Nota: I valori riportati nelle prime due colonne - ricavati rispettivamente dalla banca dati della Banca Mondiale e dal centro statistico dell'OCSE - si riferiscono all'anno 2010. Quelli compilati dall'Eurostat e da Latham e Wu stimano invece la situazione del 2011.

Fonte: The World Bank, Global Bilateral Migration Database, cit. [24 - 10 - 2015]; Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), OECD.Stat, presso http://stats.oecd.org/ [16-11-2015];

Eurostat, Censimento della popolazione al 2011, presso https://ec.europa.eu/CensusHub2/query.do?step=selectHyperCube&qhc=false [19-11-2015]; K. LATHAM, WU B., Chinese Immigrations into the EU, cit., p. 27.

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Fonte: Tabella 3.2.