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Capitolo 1 La crescita economica della Cina dopo il 1978

1.5 Le imprese di stato

Furono proprio le imprese pubbliche, dunque, ad accusare maggiormente l’aumento della competitività, e ad esse i riformatori rivolsero i maggiori sforzi di ammodernamento volti a migliorarne l’efficienza e le prestazioni. La concorrenza proveniva da più fronti: da una parte vi erano le imprese di distretto e di villaggio, dall’altra le Zone Economiche Speciali e le dinamiche città costiere. L’urgenza degli interventi è comprensibile quando si nota che il peso della produzione delle imprese statali sul PIL crollò dal 77 per cento del 1978 al 33 per cento nel 1996, mentre quello delle imprese collettive crebbe dal 9 al 36 per cento33 nel medesimo periodo.

Sulla scia degli incentivi dati alle TVEs, negli anni Ottanta anche le imprese di stato furono sottoposte a cambiamenti istituzionali. Innanzitutto, fu accordato loro una maggior margine di autonomia nelle decisioni che riguardavano la produzione, il marketing e gli investimenti dell’azienda. Un tentativo di questo tipo fu avviato in maniera sperimentale nel

32 B.NAUGHTON, The Chinese Economy, cit., p. 283. 33 Ivi, p. 300.

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1978 nella provincia del Sichuan. I risultati furono sorprendenti: alla fine di giugno del 1980 le 6.600 industrie a cui fu permesso di agire in maniera più autonoma producevano oltre il 45 per cento della produzione totale di tutte le industrie statali. In secondo luogo, si cercò di rendere le imprese più indipendenti dal punto di vista finanziario, permettendo loro di conservare la parte del guadagno che non dovevano corrispondere allo stato sotto forma di imposte. Infine, si decise di introdurre un sistema di responsabilità simile a quello che era stato adottato nell'agricoltura. In questo modo, anche le filiali delle imprese maggiori potevano versare una parte fissa dei loro profitti alla casa madre e conservare il surplus34.

Tuttavia, la maggior parte delle imprese restava di proprietà statale, e la loro amministrazione era spesso condizionata dalle logiche del partito. Le pressioni che provenivano dal mercato costringevano però ad intervenire in maniera più decisa nella riforma del settore. Lo stato, infatti, non aveva né l’intenzione di perdere il controllo delle industrie strategiche, né quella di farsi sottrarre il ruolo di amministratore dell’economia. All’inizio degli anni Novanta, i risultati delle imprese pubbliche subirono un netto peggioramento. Nel novembre del 1993 il partito stabilì che il paese si sarebbe dotato di un «sistema di impresa moderno» e che le imprese pubbliche si sarebbero trasformate in società di capitali, al fine di migliorarne la gestione e di avviare un processo di privatizzazione.

L’approvazione della legge sulle società nel 1994 diede avvio ad un profondo cambiamento istituzionale e fornì la cornice legale entro la quale si poteva compiere la trasformazione giuridica delle aziende. Negli intenti, la legge dava il via ad un vero e proprio processo di privatizzazione tanto che, secondo Naughton, essa corrispose alla volontà di istituire un contesto legale comune in cui si potesse adottare qualsiasi forma di proprietà, creando un ambiente ugualmente competitivo per tutti gli attori economici35. La norma prevedeva la trasformazione graduale delle imprese di stato in società a responsabilità limitata e in società per azioni, le cui quote potessero essere acquistate da diversi attori, pubblici e privati. Questo meccanismo permise allo stato di detenere comunque la quota maggioritaria nei settori industriali strategici, continuando a condizionarne l’esercizio.

All’interno di ogni impresa fu prevista l’introduzione di un Consiglio di amministrazione, i cui membri erano nominati direttamente dallo stato in quanto azionista di maggioranza. Il Consiglio avrebbe dovuto rielaborare gli obiettivi preposti dal governo ed

34 Nel 1987 il sistema dei contratti di responsabilità fu implementato da ulteriori riforme, estendendo alla maggior parte delle imprese la possibilità di versare una quota fissa e conservare il profitto rimanente all'interno dell'azienda, distribuendolo tra i manager, i lavoratori oppure destinandolo agli investimenti. Tuttavia, la quota da versare non era davvero fissa, ma variava in base ai profitti dell'impresa. Inoltre, i guadagni addizionali non erano utilizzati sempre in maniera produttiva, sia per incapacità dei manager, sia per fenomeni di corruzione. G. C.CHOW, Economic Reform and Growth in China, cit., p.130.

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assegnare una linea operativa ai manager delle varie imprese. Tuttavia, dato che il processo fu lento e poco efficiente, nel 2003 fu istituita una Commissione statale per la supervisione e l’amministrazione delle attività di stato (State-owned Asset Supervision and Administration Commission, SASAC), un organismo che, di fatto, tutelava i diritti di proprietà che il governo continuava ad esercitare sulle imprese. Ciò nonostante, la Commissione non riusciva a svolgere completamente il compito che le era stato assegnato: le imprese poste sotto la sua giurisdizione erano talmente numerose e articolate da rendere problematico un controllo capillare del loro operato. Si trattava di un gruppo di circa 200 aziende attive nei settori economicamente e politicamente strategici dell’economia (energetico, gestione delle risorse naturali, militare, petrolifero, elettrico ed elettronico, telecomunicazioni). Inoltre, al fine di trasferire il controllo proprietario delle imprese ai governi locali, a livello provinciale e municipale furono istituite ulteriori commissioni sul modello di quella nazionale. Questo meccanismo di decentramento avrebbe dato luogo a un processo di privatizzazione interna36 che, pur avendo aumentato il valore di mercato delle imprese, ha anche prodotto le condizioni ideali per il dilagare della corruzione. Tale fenomeno avrebbe coinvolto per lo più le piccole e medie imprese, soprattutto quelle di distretto e di villaggio. Non tutte, però, furono in grado di affrontare l’ingresso nel mercato, tanto che verso la fine del XX secolo la loro quota sulla produzione nazionale iniziò a calare37.

Le iniziative avviate al fine di rilanciare la produttività delle imprese statali ebbero effetti decisivi anche dal punto di vista dell’occupazione. Difatti, il processo di ristrutturazione da una parte implicò una riduzione del numero degli occupati, dall’altra comportò la chiusura di diversi impianti ormai obsoleti e improduttivi. Come conseguenza, «il 40% degli occupati nelle imprese di stato, oltre 30 milioni di lavoratori, venne licenziato tra il 1995 e il 2000»38. I licenziamenti furono gestiti dai Centri di rioccupazione, coordinati dai governi locali. Questi ultimi elargivano sussidi, fornivano offerta formativa di riqualificazione e assistenza nella ricerca di un nuovo impiego. Il pagamento del sussidio di disoccupazione spettava sia all’impresa pubblica che aveva licenziato il lavoratore, sia al Centro di rioccupazione che poteva adempiere alle sue funzioni utilizzando fondi stanziati dal governo locale. Dato che le risorse disponibili erano diverse da zona in zona, coloro che

36 Le insider privatizations sono state regolamentata dalla Sasac. La Commissione ha infatti «fissato il valore netto dell’impresa come limite minimo del prezzo per l’acquisto; ha messo dei limiti alla concessione di credito da parte delle banche ai manager per l’acquisto di quote delle imprese; ha richiesto che questi acquisti avvenissero a seguito di aste competitive». I. MUSU, La Cina contemporanea, cit., p. 59. Cfr. B. NAUGHTON, The Chinese

Economy, cit., pp. 301-304.

37 I.MUSU, La Cina contemporanea, cit., p. 60.

38 Ivi, p. 51. Dei 113 milioni di lavoratori occupati nelle imprese statali urbane solamente 76 milioni avevano mantenuto il posto di lavoro nel 2001. Cfr. NBS, China Statistical Yearbook, cit., annate varie.

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rimasero disoccupati nelle città più ricche, come Shanghai, furono anche quelli che usufruirono dei maggiori benefici e che furono reinseriti più velocemente nel mercato del lavoro. Le zone più povere, invece, come la provincia settentrionale di Heilongjiang, non riuscirono a intervenire prontamente nel contenimento della disoccupazione e a garantire i servizi di sicurezza sociale.

Secondo le statistiche ufficiali, mentre nel 2001 si contavano oltre 47 mila tra imprese pubbliche e imprese a partecipazione statale, nel 2013 la categoria ne includeva solamente 18 mila. Tra il 2003 e il 2013, invece, il numero di occupati in questa categoria di imprese si è assestato attorno ai 65 milioni39. In realtà, la transizione verso l’economia di mercato è ancora incompleta. Il governo, infatti, pur consentendo che le forze di mercato intervengano nei settori strategici a sostegno della crescita economica, continua ad avere un ruolo predominante nello sviluppo del paese. Per di più, le imprese pubbliche sono avvantaggiate rispetto alle loro concorrenti. Infatti, il governo ha fatto in modo che esse potessero agire in un ambiente maggiormente protetto dalla competizione e che potessero usufruire di maggiori vantaggi dal punto di vista degli investimenti. Nel 2009 uno studio rilevava che circa la metà delle 500 maggiori industrie manifatturiere erano di proprietà statale, così come il 61 per cento delle migliori fornitrici di servizi40.