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Dal religioso al secolare: le Moralità politiche

DIECI SECOLI DI TEATRO INGLESE

DALLE ORIGINI AL 1576

3. Dal religioso al secolare: le Moralità politiche

Durante il Cinquecento la moralità era sopravvissuta come genere, ma modernizzandosi, in primo luogo riducendo il suo farraginoso impianto spettacolare.

Le moralità Tudor sono eseguibili da compagnie ridotte, e in spazi coperti. Inoltre, per la prima volta, si presentano munite di nome e cognome dell’autore.

Magnyfyence di John Skelton (c. 1460- 1529), che si suole datare intorno al 1516, vanta parecchi primati. E’ il più antico dramma inglese dovuto alla penna di un letterato famoso, addirittura del poeta di corte, passato alla storia come funambolo verbale, primo virtuoso di una tradizione che sarebbe approdata a Joyce; ed è la prima

moralità scritta con intento secolare, non religioso; per esser precisi, con fini di propaganda politica. Ancora. Il Castle of Perseverance aveva bisogno di un minimo di trentacinque attori; Magnyfience è eseguibile da una compagnia di quattro elementi. Infine, il testo si rivolge a un pubblico particolare, cioè al re e ai cortigiani, soli in grado di afferrare tutti i riferimenti; mentre la moralità tradizionale si indirizza a tutti e a nessuno in particolare. La trama è lunga e complessa; il dramma ha ben 2567 versi.

Due cortigiani, Felicità e Libertà, discettano se un sovrano farebbe meglio a voler conservare i beni terreni o a esaudire la sua volontà, il vecchio ministro Misura propende per la prima ipotesi, e il sovrano, Magnificenza, concorda. Libertà perde favore, e viene sottomessa a Misura. Sopraggiunge Capriccio, che entra nelle grazie del sovrano esibendo credenziali posticce. Seguono quattro altri Vizi; arriva infine il furfante più scatenato di tutti, Follia, fratello di Capriccio. I Vizi si stabiliscono a palazzo, Misura viene allontanato, Abuso Cortigiano e Follia sono assunti in veste di cerimoniere e maggiordomo.

Connivenza Ammantata assume il potere sul principe; avvengono nuove sciagure, Magnificenza è spogliato di beni e paramenti. Torna Libertà; tornano tre dei cospiratori che si erano allontanati; Disperazione consiglia al principe il suicidio;

Misfatto gli porta pugnale e capestro. Senonché, con un colpo di scena, entra Buona Speranza, che all’ultimo momento lo disarma; tornano le Virtù a consolarlo;

Riparazione, cui egli si confessa, lo riveste degli abiti regali. Circospezione gli fa vedere come il suo errore fosse nato dalla fretta. Tutti i personaggi, rivolti al pubblico, ripetono la morale.

A prima vista questo schema può sembrare analogo a quello innocenza-corruzione-redenzione tipico delle moralità del secolo precedente. In realtà ci troviamo davanti a una serie di innovazioni. In primo luogo, il contrasto fra vizi e virtù non ha come posta la salvezza di un’anima, ma piuttosto la felicità terrena, dipendente dalla condotta di un sovrano. In secondo luogo, dietro i nomi allegorici ammicca una realtà riconoscibile.

Il principe in questione è inequivocabilmente inglese. I riferimenti diretti all’Inghilterra e a Londra abbondano. Non solo: anche il luogo della finzione è un luogo preciso, nel senso che per tutta la durata del dramma lo spezio scenico ha un nome definito, siamo cioè in un locale (forse un cortile), sempre lo stesso, a poca distanza dal palazzo reale, dove continuamente i personaggi si recano, con artificio che serve a farli uscire di scena quando necessario e tornare con notizie fresche.

Innumerevoli le allusioni alla contemporanea corte di Enrico VIII. Lo spettatore dell’epoca non poteva fare a meno di pensare a Enrico e agli sperperi dei suoi anni giovanili, al pericoloso partito dei favoriti condotto da Wolsey e a quello, appena sconfitto, della vecchia nobiltà, facente capo al duca di Norfolk, cui andavano le simpatie di Skelton. Nei quattro farabutti si mettono alla berlina affettazioni dell’ambiente di corte, Abuso Cortigiano, per esempio, è vestito all’ultima moda. Si noti, ancora, la presenza del Vizio come tentatore.

Dal serpente dei Miracles ai cattivi consiglieri delle Moralities, questo sarà uno dei personaggi più caratteristici tramandati al teatro elisabettiano.

Non sappiamo quali reazioni Magnyfycence abbia prodotto sul pubblico dell’epoca, ma sappiamo che quello stesso Wolsey che si suppone oggetto della satira si adirò assai assistendo a un play oggi perduto, di tale “Master John Roo”, nel 1527. In questo play c’era un “Lord Governo” dominato da “Dissipazione” e “Negligenza”, e quindi liberato da “Rumor Populi” e altri alleati. Insomma, il teatro era diventato anche mezzo di propaganda politica, come lo era stato di propaganda religiosa.

E niente si presta a illustrare questo sviluppo come la figura di John Bale (1495-1563), carmelitano che nel 1534 aderì allo scisma di Enrico VIII e che quindi si lanciò in una appassionata carriera di polemista in favore della Riforma, in gran parte attraverso il teatro. Bale fu un seguace di Thomas Cromwell, e dovette fuggire all’estero quando Cromwell stesso fu decapitato. Rientrato in patria, divenne vescovo di Ossory in Irlanda.

Ci dice parecchio sulla crescente diffusione del teatro il fatto che più di un drammaturgo offrisse a Cromwell i suoi servigi. Bale fu tra i prescelti, e organizzò una compagnia di attori allo scopo di portare in giro i suoi testi pro-Riforma. Di lui sopravvivono cinque drammi e, nella sua autobiografia in latino, i titoli di altri sedici.

Tre dei cinque sopravvissuti, composti per Cromwell, formavano con altri perduti un ciclo completo di argomento biblico, accentrato intorno alla vita del Redentore.

Fra i rimasti i più interessanti sono Three Laws e King John. Il primo è una moralità divisa in atti (primo caso nel teatro inglese), in cui Deus Pater istituisce le leggi di Natura, di Mosè e di Cristo. Queste leggi sono insidiate da Infidelitas con vari alleati, fino al loro consolidamento finale ad opera di Vindicta Dei.

King John, che precede i chronicle plays in cui avrebbero eccelso, alcuni decenni dopo, Marlowe e Shakespeare, è il più antico testo teatrale inglese rievocante un episodio di storia patria, e cioè il conflitto del 1213 fra il sovrano e Stephen Langton, arcivescovo di Canterbury, risolto secondo Bale con l’assassinio del re e l’inizio di un

regno della Chiesa. L’impianto è ancora quello allegorico delle moralità, Langton è solo il nome assunto da Sedizione, così come Dissimulazione e Ricchezza Privata assumono i nomi di Pandulphus e Raymundus.

Chambers elenca i titoli di diverse altre moralità pro e contro la Riforma. La più famosa di tutte, e l’unica ad essersi dimostrata tuttora in grado di reggere alla prova dell’esecuzione, è anche l’unico testo teatrale in assoluto pervenutoci dalla Scozia prima della Riforma.

Si tratta della monumentale (4630 versi, e parti per almeno 49 attori) Satyre of the Thrie Estaitis del poeta e alto dignitario di Giacomo IV Sir David Lyndsay of the Mount. Abbiamo notizia di almeno tre rappresentazioni di questo dramma, in rimaneggiamenti diversi, fra il 1540 e il 1554. La versione più lunga doveva occupare un giorno intero, e come per il Castle c’era bisogno di un ampio spazio, di un fossato colmo d’acqua e di varie “case”. Lo spettacolo era diviso in due parti, la prima costituente una moralità a sé, del classico tipo innocenza- corruzione-redenzione.

Dopo un intermezzo comico, contenente un attacco contro l’avidità del clero nell’episodio buffonesco di un povero truffato da un venditore di indulgenze, inizia la seconda parte, quella di maggiore originalità. E’ l’assemblea dei tre Stati, che arrivano camminando a ritroso, condotti dai Vizi. La parte dell’accusatore è sostenuta da un popolano. Prima i Vizi, quindi il clero vengono incarcerati; per la seconda operazione il re ha bisogno della solidarietà degli altri due Stati (nobili e popolo). Tre prelati corrotti vengono esaminati e trovati insufficienti (una Badessa, si scopre, indossa sotto la tonaca una veste di seta). Vengono quindi sostituiti da tre giovani laureati, preparati e disposti a predicare. I Vizi sono impiccati, e prima pronunciano comici discorsi di addio. Un buffone, Follia, dopo vari lazzi pronuncia dal pulpito un sermone sul tema Stultorum numerus infinitus: dopo il quale l’araldo Diligenza manda tutti a casa.

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