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DIECI SECOLI DI TEATRO INGLESE

IL TEATRO LAICO MEDIEVALE

5. Il teatro di imitazione classica

Dopo il 1576, anno della costruzione della prima playhouse, il termine di “interludio”

scompare. Durante circa un secolo invece la parola aveva preso piede, fino a diventare quasi sinonimo di “drama”, ovvero di spettacolo teatrale basato su di un testo scritto.

Per importante che l’interludio sia nella formazione del dramma dell’epoca successiva, non si trattò comunque dell’unico tipo di modulo teatrale diffuso ai suoi tempi.

Un buon criterio di divisione preliminare è anche questa volta quello fondato sul luogo degli spettacoli. Teatro si fece, oltre che nei ricordati saloni gentilizi, nelle scuole, nelle università, negli Inns of Court esclusive, ossia in giro, all’aperto, ma sempre più spesso nei cortili delle locande.

Nella maggior parte si devono presumere installazioni di fortuna; i testi previsti per il teatro più popolare prevedono l’uso di un certo materiale mobile, ma come base

hanno bisogno solo di un palco e di una parete di fondo. Ancora più esigue, spesso, le necessità di quelli concepiti per il teatro delle dimore signorili. Richard Southern non trova l’esigenza neppure di un palcoscenico per quanto riguarda molti interludi, che si svolgevano almeno nella fase iniziale sul pavimento, in mezzo alla gente. Uno stage, palcoscenico, non è nominato in un interludio prima del 1551.

Possiamo poi distinguere un teatro più “colto” da uno più corrivo: i testi scritti per quest’ultimo sono sopravvissuti con minore frequenza. Ma forse dovremmo dire, un teatro di servile imitazione dei classici, destinato a non trovar fortuna che presso élite ristrette; e un teatro pure influenzato dai classici, ma innestante sulle forti tradizioni locali, caratterizzate dall’allegoria, dalla comicità grassoccia, eccetera. A questo secondo teatro doveva appartenere il futuro.

Da un lato, dunque, il teatro di imitazione classica: teatro che si svolse in un ambito ristretto, per un pubblico particolare. Professori e maestri di scuola avevano composto testi da recitare per i loro alunni a partire almeno dagli anni 1520, Nicholas Udall, maestro a Eton e a Winchester compose e fece recitare dai suoi discepoli nel 1553 Ralph Roister Doister, allegra storia di un miles gloriosus ricalcato su quello plautino, anche se i personaggi di contorno sono inglesi e discendono direttamente dalle moralità, coi loro nomi allusivi (l’astuto servo Matthew Merygreke ha molti tratti del tradizionale Vizio, furfante specializzato in lazzi).

Gummer Gurton’s Needle, di “Mr S.”, per i ragazzi del Christ’s College di Cambridge, compost una decina di anni dopo, porta Avanti l’anglicizzazione di Plauto. Questa “seconda commedia inglese”, in versi di filastrocca rimati, segue le peripezie connesse alla perdita dell’ago di nonna Gurton.

Terza commedia di derivazione classica, The Supposes di George Gascoigne, eseguita dagli allievi della Gray’s Inn nel 1566. Questa volta veramente il modello diretto è l’Ariosto, i cui Suppositi (1509), di derivazione plautina, sono stati poco più che tradotti. La situazione del giovane studente che si scambia di ruolo col servo sarebbe stata tenuta presente, in seguito, anche da Shakespeare, nella Bisbetica domata.

La principale innovazione dei Supposes consiste nell’uso della prosa, quasi una novità assoluta per il teatro. La storia dell’evoluzione metrica all’interno del teatro medievale britannico è complessa. Basterà dire che miracoli e moralità presentano schemi metrici variabili, e conformi alla poesia contemporanea; a volte si incontrano stanze dall’organizzazione abbastanza complessa. Skelton si esibisce in versi brevissimi, dal ritmo trascinante, rimasti legati al suo nome (skeltonics). Con i primi

interludi Tudor si assiste a un inizio di ricerca di maggior realismo: più dialogo e meno tirate lunghe. Talvolta si cerca di caratterizzare i personaggi mediante il metro.

Il successivo, importante dramma di ispirazione classica fu innovatore anche nel metro, in quanto adottò il blank verse, ossia la pentapodia giambica non rimata inventata solo cinque anni prima da Surrey per la sua traduzione di due libri dell’Eneide, e destinata a diventare, dopo la sua adozione da parte di Marlowe e Shakespeare, il verso drammatico per eccellenza.

Ma Gordobuc di Thomas Norton e Thomas Sackville, presentato all’Inner Temple nel 1562, costituisce una pietra miliare nel teatro inglese anche per molte altre ragioni. Si tratta, innanzitutto, della prima tragedia “regolare”, termine che esige un chiarimento. Fino alla diffusione degli studi umanistici che in Inghilterra avviene solo nel corso del ‘500, i termini “tragedy” e “comedy” sono adoperati piuttosto nelle loro accezioni medievali. Chaucer definisce la tragedia come la caduta di un grande: una storia cioè che facendoci assistere all’imprevedibile rovescio di qualcuno che sembrava al di sopra delle ingiurie della Fortuna, ci impartisce una lezione morale.

Commedia è, invece, una storia a lieto fine: ossia in cui il protagonista finisce in Paradiso, grazie all’aiuto divino.

I classicisti insistettero per tenere il comico ben distinto dal tragico, mentre i teatranti continuarono ad affiancare comico e tragico, con estrema disinvoltura. In particolare, molti “cattivi” continueranno ad avere spunti comici, o brillanti: discendendo dal diavolo o dai Vizi, cui nei miracoli e nelle moralità erano affidato anche il compito di far ridere.

Gordobuc costituisce, in opposizione a tali connotati, il primo tentativo di comporre una tragedia in inglese alla maniera degli antichi. Il modello è Seneca. Un altro Heywood, Jasper, figlio dell’autore di interludi, ne aveva tradotto tre drammi, di cui il più ammirato fu Tieste, fra il 1558 e il 1561; le dodici tragedie del cànone, tradotte da vari, apparvero raccolte in un volume nel 1581, a cura di Thomas Newton.

I letterati Norton e Sackville articolarono la loro “Tragedie” in cinque atti, prevedendo anche dei cori; rispettarono, entro certi limiti, le unità di luogo e di azione, ed evitarono di presentare azioni violente sulla scena. Tutti attributi, questi, destinati a non trovare che scarso seguito nel teatro successivo. Mentre dal punto di vista degli sviluppi posteriori appaiono anticipatori oltre che nell’uso del blank verse, in quel gusto per la truculenza delle situazioni, per gli orrori, che sarebbe rimasto il legato più consistente di Seneca al teatro inglese. Assai significativa anche la scelta del soggetto, tratto dalla storia patria, Gordobuc essendo stato il sedicesimo re d’Inghilterra, discendente, tanto per intenderci, di Lear. Le disavventure del quale

evidentemente non gli avevano insegnato nulla, poiché anch’egli divise il re fra i figli, due maschi, Ferrex e Porrex. Costoro si combatterono, l’uno uccidendo l’altro, e il superstite venne ucciso a sua volta dalla madre. La conseguenza fu una sollevazione popolare con l’estinzione violenta della dinastia e la guerra civile.

Questo dramma oltre che all’Inner Temple fu rappresentato a Whitehall, davanti alla regina, evidentemente onde esortare Elisabetta a prendere in considerazione il problema della sua mancanza di eredi. Di solito il monarca faceva finta di niente; più di rado, si offendeva, e allora faceva incarcerare i responsabili. Elisabetta aveva comunque vietato di trattare “questioni di religione o di governo dello stato” in

“comuni interludi nella lingua inglese”.

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