Molti dei drammi shakespeariani testimoniano vividamente il passaggio dal regno di Elisabetta al regno di Giacomo I. Subito dopo la sua ascesa al trono, Giacomo dette il suo nome e la sua protezione alla compagnia teatrale di Shakespeare che cambiò da Chamberlain’s Men a King’s Men. L’ascesa al trono di Inghilterra di Giacomo I Stuart, figlio della cattolica regina Maria Stuarda decapitata nel 1587, a lei succeduto nel regno di Scozia col titolo di Giacomo VI, significò prima di tutto, almeno nelle intenzioni del nuovo monarca, l’unione delle due corone. Giacomo ci tenne a farsi incoronare nel 1603 come “re della Gran Bretagna”, ma l’unità del regno rimase per gli anni seguenti una pura dichiarazione di intenti.
In parte forse per la sua origine “straniera”, in parte proprio per la pace cercata con le altre nazioni europee, soprattutto con la Spagna, Giacomo non ottenne lo stesso consenso universale di Elisabetta. Difensore accanito del “diritto divino del re” e insofferente delle limitazioni al suo potere, Giacomo fu, secondo uno storico, “uno dei più complicati nevrotici mai saliti al trono inglese”. Iroso e collerico, soffrì anche di mania di persecuzione al punto che si convinse che centinaia di streghe, agenti del demonio cospirassero contro di lui, suscitando tempeste e marosi nel suo viaggio di ritorno dalla Danimarca insieme con la sua sposa, la regina Anna.
Ma come spesso capita a chi si sente perseguitato, Giacomo subì davvero un attentato da parte dei cattolici, noto come la “congiura delle polveri”.
Giacomo rese la sua corte il centro di sfarzose cerimonie volte a celebrarne il potere.
Tra gli intrattenimenti più noti furono i masques. Il masque era un genere noto già alla corte di Elisabetta, ma fu con Giacomo che esso raggiunse il massimo splendore.
Ben Jonson (1572-1637)
Ben Jonson fu il primo autore inglese. Fu il primo che ebbe piena e orgogliosa coscienza di sé come scrittore e che indicò ai suoi contemporanei e ai posteri come dovevano leggere la sua opera e come ricordarsi di lui. Difese la dignità della professione del poeta come nessuno mai prima in Inghilterra aveva avuto il coraggio di fare.
Dotato di una opinione di sé a dir poco elevata, fu una figura onnipresente in ogni disputa letteraria del periodo, spavaldo e presuntuoso, tagliente nei suoi giudizi.
Educato ai classici dal grande antiquario e studioso William Camden, cominciò a lavorare per il teatro pubblico nei primi anni Novanta, uccise in duello l’attore Gabriel Spencer, ma finì in prigione per aver insultato la Scozia in Eastward Ho!
(1604), commedia scritta in collaborazione con Marston e Chapman. Si convertì al cattolicesimo e per questo fu sospettato di aver preso parte alla “congiura delle polveri”. Si riconvertì all’anglicanesimo e divenne poeta laureato ricevendo un cospicuo sussidio da parte del re. Fu amico di Shakespeare – che figura coma attore della sua prima commedia Every Man in His Humour.
Scrittore versatile e prolifico, Jonson scrisse brevi e semplici elegie, epitaffi, epigrammi cattivi e sconci, talvolta divertenti, odi, tributi ad amici. Pubblicò l’intera produzione poetica nel 1616 sotto il titolo di Epigrammes e di The Forrest.
Per il teatro pubblico scrisse commedie e tragedie. Ma siamo lontani dall’irregolare prassi del teatro elisabettiano. Qui le unità di tempo e di luogo sono osservata con puntigliosa pedanteria.
I fatti e le parole che Jonson rappresenta nelle commedie dedicate, come dice il titolo, agli “umori”, appartengono sì agli uomini comuni, ma solo in parte. Secondo la teoria degli umori a cui Jonson fa riferimento, ogni uomo è un compendio dei quattro
“umori”, cioè dei quattro liquidi del corpo – sangue, flemma, bile gialla (collera) e bile nera (malinconia) – che, secondo la fisiologia antica e medievale, determinano il temperamento di ognuno in base alla loro diversa mescolanza.
I personaggi di Jonson sono “determinati” da uno solo di questi “umori” del quale sembrano schiavi. Non solo nelle commedie che portano la parola humour nel titolo – Every Man in His Humour e Every Man out of His Humour (1599), ma anche in quelli che sono considerati i suoi capolavori: The Alchemist (1610), Volpon, or the Fox (1606), Epicoene, or the Silent Woman (1609-10).
L’azione di The Alchemist si svolge in una casa a Londra dove Subtle e il suo assistente Face fingono di saper trasformare il metallo in oro con la loro pietra filosofale. Fece e Subtle vendono ai loro molti clienti la realizzazione effimera delle loro fantasie di onnipotenza.
Dapper vuole uno spirito che lo aiuti a barare a carte, Abel Drugger desidera un talismano capace di attirare i clienti nel suo negozio, Sir Mammon immagina di poter possedere il mondo alla stregua dei conquistatori del Nuovo Mondo, due puritani (oggetto prediletto della satira velenosa di Jonson) vogliono comprare interi eserciti.
L’oro della sapienza alchemica a cui il testo continuamente allude si trasforma nel metallo di bassa lega volta a soddisfare una ingorda ignoranza.
Anche al centro di Volpone c’è l’oro. L’oro che il furbo Volpone accumula e idolatra è il fulcro introno a cui ruota tutta l’azione. Esso è il frutto dell’imbroglio di Volpone che si finge malato per attirare i gioielli e i denari di coloro che sperano di divenire eredi di tanta ricchezza. Per Volpone non ci sarà scampo come c’era stato per Subtle.
Una legge avida tanto quanto coloro che protegge lo condannerà ad ammalarsi sul serio in prigione.
Epicoene mette in scena la storia di un uomo, Morose, che detesta i rumori, soprattutto della città. Morose sposerà Epicene, donna apparentemente silente, ma che si rivelerà un ragazzo travestito.
I personaggi delle commedie di Jonson possono ridursi a due categoria: i furbi e i creduloni. E’ per i “creduloni” che gli impostori mettono in scena la loro commedia.
Jonson chiede l’identificazione dello spettatore con gli imbroglioni: è insieme con loro che lo spettatore ride perfidamente alle spalle dei creduloni. Jonson studia le eccentricità, le assurdità, le manie e le stravaganze della società urbana della Londra contemporanea.
I personaggi di Jonson sono sempre delle parti “impazzite” di un io al tempo stesso imperialista e debole, prepotente e asociale. Incapaci di integrazione e comunicazione, essi rappresentano la parte “incivile” della civiltà urbana.
L’ideale classico e armonioso di Jonson non appare mai nelle commedie, ma si presenta manifestamente nelle poesie. To Penshurst, poesia dedicata alla residenza di campagna della famiglia Sidney nel Kent – la prima poesia dedicata a un luogo nella letteratura inglese – forse racchiude ed esemplifica il primato estetico che Jonson coniuga con un certo tipo di aristocrazia:
Tu non sei, Penshurst, costruita per suscitare invidia Di basalto o di marmo; né vanti una fila
Di smaglianti pilastri, o un tetto d’oro.
La liberalità e l’amore per le lettere per cui la famiglia Sidney era nota vengono qui materializzati nella dimora che accoglie il poeta con ul gusto squisito della più civile ospitalità. Esterno ed interno, natura e cultura concorrono alla creazione di un’atmosfera armoniosa e gradevole come a confermare la naturale a autentica aristocrazia del luogo e dei suoi abitanti. L’autentica aristocrazia dei Sidney non crea mura pretenziose ma luoghi di una abitazione ideale. Jonson propone gli ideali della discrezione e dell’occultamento dell’io incarnati dai Sidney e dalla loro dimora.
E’ ormai quasi universalmente riconosciuto che le tragedie Sejanus (1603) e Catiline (1611) non sono tra le sue opere meglio riuscite. Sembra che Jonson non si senta a suo agio nel trattare la caduta dei potenti.
Non è di fronte alla platea variegata del teatro pubblico che Jonson riesce ad affrontare l’argomento del re e della sua corte, ma nella corte stessa dove fu chiamato da Giacomo I a scrivere i testi dei più bei masques del Seicento. Qui non si trattava di discutere, come fece Shakespeare, il potere del re, ma di celebrarlo. Jonson riuscì a fare di queste convenzioni logorate dall’uso una nuova forma d’arte. Innanzitutto introdusse l’antimasque che apriva lo spettacolo. Questa prima parte rappresentava il disordine e il male: potevano recitare, impersonati da attori professionisti, pigmei, satiri, streghe, irlandesi, alchimisti, comici, grotteschi o macabri antagonisti delle Virtù, che rimanevano sulla scena fino a quando apparivano le forze della Virtù impersonate da nobili, che trionfavano su di loro ristabilendo l’ordine. Il conflitto tra bene e male non è drammatico: basta al bene apparire e dichiararsi perché le figure del male scompaiono come ombre della notte alla luce del sole.
Jonson scrisse quasi trenta masques, la maggior parte di quali con Inigo Jones (1573-1625).
Prima della rottura definitiva nel 1620, essi crearono i più sontuosi esempi del genere. Tra questi The Masque of Queens (1609), dove compaiono delle streghe nell’antimasque, in omaggio all’ossessivo interesse di Giacomo per l’argomento;
Oberon , the Faery Prince (1611) in onore del figlio di Giacomo, il principe Enrico;
mercury Vindicated from the Alchemist at Court (1616), dove Jonson rappresenta una versione dotta dell’alchimia come simbolo della forza creatrice della natura e
dell’arte in alternativa alla versione volgare, presentata nella commedia omonima, come pseudo- scienza per i creduloni.
In Pleasure Reconciled to Virtue, presentato nel 1618, protagonista dell’antimasque è Comus, tradizionale figura classica e rinascimentale di una sensualità indulgente, circondato da pigmei. A lui è contrapposto Ercole che, secondo il mito, deve scegliere tra una vita di piacere e una vita virtuosa. Alla fine un gruppo di masquers impersonati dai nobili, tra i quali il principe Carlo, futuro re, riccamente vestito, irrompono sulla scena e, dopo avere rappresentato una serie di elaborate figurazioni allegoriche, discendono tra il pubblico che invitano a danzare. Quest’ultima danza è condotta da Dedalo che si mostra capace di riconciliare piacere e virtù. L’allegoria è chiara: arte e natura, vita e artificio, la corte e il suo fantastico specchio rappresentato dal masque si riconciliano sotto la guida dell’erculeo artista Jonson. Il vero eroe del masque è dunque Jonson, che produce per questa corte l’immagine di come essa dovrebbe essere: magnifica, opulente, classica.
Beaumont e Fletcher: la tragicommedia
L’inizio del secolo vide un graduale ma deciso mutamento nel teatro. Cambiava lentamente la struttura fisica della scena teatrale: nascevano i cosiddetti “teatri privati”, chiusi e relativamente piccoli. Essi contenevano un numero molto più basso di spettatori (circa 700), i quali erano tutti seduti e paganti.
Il Blackfriars, un vecchio monastero domenicano convertito in teatro nel 1596 e usato dal 1608 dai Lord Chamberlain’s Men è insieme al Phoenix, il più famoso di questi teatri. Esso era illuminato da candele e veniva usata la musica per accompagnare la rappresentazione, creando così effetti illusionistici più sofisticati.
Al Blackfriars furono rappresentate le prime tragicommedie, genere nuovo del teatro europeo, nelle quali, la morte non viene rappresentata. La teoria non era nuova: la inventò il drammaturgo e critico italiano Giambattista Guarini, autore della prima tragicommedia europea, Il pastor fido (1590), tradotta in inglese nel 1602 e di Il compendio della poesia tragicomica (1601) nel quale propagandava la nuova forma teatrale come la più adatta a soddisfare il desiderio di evasione del sofisticato ed edonistico pubblico delle corti italiane.
Fu probabilmente per analoghe ragioni che Fletcher scrisse The Faithful Shepherdess (versione femminile del Pastor fido) ma non fu questa tragicommedia ad avere
successo. Lo ebbero invece le successive scritte in collaborazione con Francis Beaumont (1584-1616), Philaster (1609), King and No King (1611). In Philaster le ingiustizie e gli equivoci vengono riconosciuti solo alla fine. In King and No King il re Arbace si salverà dal suicidio, l’omicidio e lo stupro a causa della sua passione incestuosa per la sorella solo alla fine del dramma, quando verrà a sapere di non essere né re né fratello. Insieme con Beaumont, Fletcher scrisse anche una tragedia, The Maid’s Tragedy (1610-11), con un’intricatissima doppia trama dove nessun personaggio riesce a occupare il ruolo centrale. Amintor sposa Evadne per scoprire troppo tardi che ella è amante del re. Dietro incitazione del fratello Melanthius, Evdane uccide il re, ma si uccide a sua volta quando scopre che Amintor è innamorato di Aspatia. A sua volta Amintor si uccide quando scopre di aver ucciso in duello la sua amata Aspatia travestita da uomo. Solo per garantire un relativo lieto fine Melanthius non segue la sorte della sorella e dell’amico. Ricca di pathos e di inverosimili colpi di scena, The Maid’s Tragedy è famosa soprattutto per il suo ingegnoso intreccio.
Middleton,Massinger,Dekker
La scena di Londra e dei suoi abitanti viene rappresentata in maniera aspra e problematica da Thomas Middleton (1580-1627).
Nel clima di frenetica mobilità sociale che caratterizzò la vita urbana del secolo, il matrimonio tra mercanti e proprietari terrieri, ovvero tra denaro e prestigio, sembrò a Middleton un tema capace di generare intrecci con molteplici varianti. Il tema diverrà dominante nel romanzo del Settecento. Ma per Middleton esso è un pretesto per attaccare i vizi dell’uno e dell’altro gruppo sociale. Questo sembra il contenuto, ad esempio, di A chastle Maid in Cheapside (1613) dove lo scontro tra terra e denaro ha esiti amari e cinici.
In A Trick to Catch the Old One (1601) Theodorus Witgood riesce a ingannare il suo vecchio zio usuraio dal nome eloquente di Pecunius Lucre e il vecchio Walkadine Hoard. Dal primo ottiene le sue terre perdute e con esse il titolo di gentiluomo, dal secondo la sposa. L’intrigo è assai complicato, ma capace di mescolare in modo originale gli ingredienti tipici della city comedy: la battaglia tra giovani spendaccioni e vecchi avari su questioni cruciali come donne e denaro. Il solo personaggio che Middleton presenta con una certa simpatia è una cortigiana che incarna la combinazione di sesso e denaro che domina la commedia.
Scritta in collaborazione con Thomas Dekker, The Roaring Girl (1611) riprende i motivi della commedia cittadina, fa un uso particolarmente esteso di travestimenti e di recite ed è ricchissimo di dettagli topografici di Londra e di riferimenti agli eventi del momento. Queste due caratteristiche si concentrano nel personaggio principale, Moll, che fa riferimento indubitabile a una persona che il pubblico del tempo doveva sicuramente conoscere. Si tratta di Mary Frith, la più famosa delle donne londinesi che avevano l’abitudine di travestirsi da uomo allo scopo di girare indisturbate per la città e di esprimere la propria opinione. Un’abitudine che suscitò la condanna delle autorità e la disapprovazione morale dei cittadini. Mary Frith era in un certo senso l’emblema vivente della fluidità delle identità sessuali con cui il teatro stesso sfidava l’etica e il senso comuni.
Il tema della recita dei ruoli ritorna prepotente nelle sconcertanti tragedie di Middleton. In The Changeling (1622), scritto in collaborazione con William Rowley, la protagonista, Beatrice-Joanna, figlia di un nobile spagnolo, fa uccidere l’uomo a cui è promessa dal padre. Il sicario De Flores provoca in Beatrice repulsione fisica, ma è un rapporto fisico che De Flores reclama come compenso per l’assassinio.
Quando Beatrice-Joanna tenta di dissuaderlo adducendo la differenza sociale tra di loro, De Flores non esita a rimandarle la verità delle sue azioni: “Dovete dimenticare la vostra origine sociale di fronte a me: voi siete creatura delle vostre azioni”. A rafforzare la storia morbosa e inquietante di Beatrice e De Flores una trama secondaria ha come attori dei veri e propri folli e si svolge in un manicomio. Nelle scene finali i due mondi, quello del castello dove è ambientata l’insana passione tra i due assassini e quello del manicomio, vengono fatti convergere come a indicare lo sbiadirsi del confine tra ragione e follia.
I due mondi in tensione in Women Beware Women (1621), sono invece la corte e la città. Si tratta di una Firenze simile a Londra, e la trama tortuosissima vede protagoniste due donne, Bianca e Isabella, intrappolate in matrimoni indesiderati e fatte oggetto del desiderio di altri uomini. Bianca, stuprata dal duce di Firenze, finisce per diventarne la concubina. Isabella decide di sposare un idiota per coprire una relazione adultera con Hippolito che crede suo zio. Da parte sua Leanzio, marito di Bianca, viene sedotto da Livia, ricca borghese fiorentina, e ne diviene il mantenuto.
Qui è la lussuria che comanda e la sua contropartita è il denaro, i vestiti, gli oggetti, il lusso materiale.
Philip Massinger (1583-1640), a lungo collaboratore di John Fletcher, non è meno aspro di Middleton nelle sue commedie cittadine, ma dietro il tema del conflitto tra vecchi usurai e giovani spendaccioni s’intravede l’ideologia più conservatrice e le simpatie cattoliche dell’autore. In A New Way to Pay Old Debts (1625), il rapace
usuraio Sir Giles Overreach viene ingannato e portato alla follia, mentre il giovane Wellbotn recupera infine la sua reputazione e la sua fortuna ripristinando l’ordine sociale che il perfido Overreach aveva sconvolto.
The City Madam (1623) riprende alcuni temi di A Trick to Catch the Old One di Midlleton. Anche qui i nuovi ricchi vengono ridicolizzati e le loro pretese ridimensionate dentro una tradizionale gerarchia sociale. Luke Frugal prende il posto del fratello (ufficialmente ritirato in convento) nella conduzione della sua stravagante famiglia e instaura un nuovo ordine morale. Quando il buon Sir John Frugal ritorna avrà facile gioco a mostrare l’ipocrisia del fratello, che coglierà come pretesto per restaurare il vecchio ordine e per assegnare il posto che ogni membro della famiglia deve occupare nella gerarchia sociale, sessuale ed economica.
The Roman Actor (1626), tragedia in linea con la moda della tragedia latina, è per alcuni il migliore dramma di Massinger. Ambientata nella Roma imperiale e decadente, la tragedia racconta la storia di Domita strappata al marito dal perfido Domiziano e in seguito incoronata imperatrice. Domita però s’innamora di Paris, un attore romano, il cui assassinio da parte di Domiziano ella non manca di vendicare.
Se Massinger trova i nuovi ricchi ipocriti e volgari, Thomas Dekker (1570?-1632) esalta invece le virtù della onesta laboriosità dei ceti artigiani e mercantili.
The Shoemaker’s Holiday (1599) riprende la struttura della commedia urbana latina.
Il protagonista Simon Eyre assurge alla dignità del Lord Mayor di Londra attraverso il suo lavoro, mentre la figlia Rose sposa un parente del conte di Lincoln. La mobilità sociale viene qui salutata come una problematica ma salutare alleanza tra mercato e corte.
La tragedia
La tragedia prende varie direzioni: può essere la tragedia di comuni uomini borghesi, a patto che essa compaia nelle cronache del tempo (andando così a sostituire le cronache dei re) nella forma dei più strani o più noti omicidi del tempo. E’ il cosiddetto murder play o “tragedia domestica”. Oppure, come abbiamo visto nel caso di Middleton, essa avviene sì nelle corti, ma in una corte labirintica e confusa dove i moltissimi intrecci si sovrappongono sostituendo la vicenda lineare dell’unico personaggio tragico emblema della catastrofe collettiva. Questa è la tragedia di Stato.
Una terza via è quella della “tragedia di vendetta” dove, seguendo la moda inaugurata da The Spanish Tragedy di Thomas Kyd, tutta la vicenda ruota intorno alla vendetta di un crimine rimasto ingiustamente impunito. In ogni caso, così come si sviluppa nei primi vent’anni del Seicento, la tragedia sembra voler compiacere quel gusto del pubblico per il sensazionale e per il macabro che Jonson aveva condannato con tanta virulenza.
La “tragedia domestica” mette in scena il conflitto tragico che scoppia nel momento in cui dal seno della famiglia patriarcale nasce quella nucleare. Entrambe anonime, The Tragedy of Mr Arden of Feversham e A Yorkshire Tragedy (1608) hanno già nel tiolo l’indicazione che si tratta di tragedie locali e che i crimini sono sommessi da gente comune nel corso della loro comune vita quotidiana.
L’omicidio di Thomas Arden da parte della moglie Alice, il malriuscito tentativo di nascondere il crimine e l’esecuzione dell’assassina si trovano nelle cronache di Holinshed. Ma The Tragedy of Mr Arden of Feversham mette a fuoco il conflitto che si genere tra marito e moglie nel confronto tra una vecchia idea del matrimonio e quella di Alice che si ribella non senza conflitti e pentimenti a un matrimonio forzato con l’adulterio e l’omicidio.
La stessa indipendenza di sentimenti di Alice caratterizza Anne Frankford,
La stessa indipendenza di sentimenti di Alice caratterizza Anne Frankford,