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Dall'utopia del villaggio globale alla disgregazione della società

Bauman distingue nettamente la globalizzazione dall'universalizzazione. La globalizzazione è il nuovo disordine del mondo. Il concetto di universalizzazione trasmette la speranza, l’intenzione, la determinazione di creare ordine. Questi concetti venivano coniati sull’onda crescente dei poteri moderni e delle ambizioni dell’intelletto moderno. Essi dichiaravano la volontà di rendere il mondo differente da quello che era e di estendere il cambiamento ed il miglioramento a dimensioni globali che comprendano tutte le specie”588. Lo stesso Kant, già molti anni

addietro riteneva che la storia avesse una risultante, uno scopo finale che era il progresso storico. L'interrogativo al quale rispondere per una “storia universale” era dunque il chiedersi se, tenendo conto di tutte le società e in ogni tempo, ci fosse una ragione valida per aspettarsi un generale progresso umano nella direzione del governo repubblicano che spingesse l'umanità ad abbandonare principi di una competizione bellum omnium contra omnes per unirsi in una società civile589.

587 Ibidem.

588 Z. Bauman, Sulla glocalizzazione: o globalizzazione per alcuni, localizzazione per altri, in Z.

Bauman, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando, Roma 2005, p. 337.

Il cosiddetto villaggio globale590, in quanto spazio-tempo contratto, ha portato

nell'immaginario collettivo di molti a credere alla realizzazione del sogno di un mondo unico che, per mano dei mercati globali, delle interrelazioni, dei costumi, delle mode e della diffusione delle informazioni, cancelli le peculiarità culturali che si sono intessute nel corso dei secoli591. Distanze che erano brevi o

brevissime in epoche pretecnologiche e premoderne (in genere non superavano il raggio della comunità del villaggio), in cui si consumavano praticamente tutti gli eventi di un qualche rilievo per i loro abitanti, con il diffondersi delle tecnologie e in particolare con le tecnologie della velocità quali la ferrovia, il telegrafo, l'automobile, il telefono, la radio, la televisione, ed Internet, sono cresciute nell'ultimo secolo fino ad abbracciare l'intero pianeta negli ultimi decenni592.

Tuttavia, come segnala acutamente Armand Mattelart, il passaggio da una città/Stato, ad una società globale, completamente transterittoriale è, in realtà, praticabile solo per una ristretta classe di persone. Dopo il crollo del socialismo e la fine di un esperimento storico che l'aveva assunta come fine ultimo, con l'arrivo della globalizzazione liberista sembra inevitabile dover rinunciare a una promessa di riscatto di una società alternativa e rassegnarsi all'idea “della fine della storia” di Fukuyama. Eppure, almeno all'inizio, la globalizzazione conteneva ideali di speranza, integrazione e convivenza universale e prometteva uguaglianza e giustizia sociale. Attualmente, invece, assistiamo ad una forte accelerazione in chiave neoliberista, egemonizzata da quella che Jacques Attali ha chiamato “iperclasse”593. È oramai evidente che l'utopia del villaggio globale

non si è realizzata nei modi sperati; al contrario, l'ultimo ventennio si è

590 Il villaggio globale” è una metafora adottata da Mc Luhan per indicare come l'evoluzione dei

mezzi di comunicazione abbia permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza. In questo modo il mondo si è “rimpicciolito”; le distanze “siderali” che in passato separavano le varie parti del mondo si sono ridotte e il mondo stesso ha smarrito il suo carattere di infinita grandezza per assumere quello di un villaggio.

591 M. Santos. Por uma outra globalizaçao, Do pensamento unico à conciencia universal. Editora

Record, Rio de Janeiro 2002, p. 19.

592 N. Klein, No Logo. Economia globale e nuova contestazione (No Logo 2000), trad. it. di E.

Trading, S. Borgo, Baldini & Castoldi, Milano 2001, p. 226. Per un'analisi più approfondita si veda anche E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993.

contraddistinto per un aumento costante delle diseguaglianze a tutte le latitudini. Oggigiorno pare che la sfida della globalizzazione venga raccolta dai nuovi movimenti sociali, composti per lo più da una nuova generazione — impegnata sui temi “no global” — che, sempre più spesso, utilizza contro l'egemonia del pensiero unico la bandiera dell'alternativa utopistica. Ma non basta, il destino delle Nazioni dipenderà dalla capacità della politica di raccogliere le sfide della globalizzazione. Proprio partendo da questa osservazione, l'economista e premio Nobel Amartya Sen, segnala che, nell'accezione di libera circolazione di merci, di influenze culturali e di conoscenze tecnico-scientifiche, la globalizzazione sia presente da almeno un millennio e che in passato abbia spesso favorito il progresso economico e umano594.

Un'altra promessa non mantenuta dagli apologeti della globalizzazione attuale è quella che ha lasciato intravedere la possibilità di una crescita generalizzata del reddito e dell'accesso a consumi opulenti da parte di quote crescenti di popolazione mondiale. Fallito quindi la realizzazione di un ideale di una società cosmopolita di consumatori senza frontiere, capace di realizzare, su scala mondiale, quanto è avvenuto su scala nazionale tra la fine del XIX e la fine del XX secolo595. Radicalmente diversa la situazione contemporanea: Nella prima

rilevazione sullo sviluppo umano dell'Onu nel 1990, risultava che il 20% più ricco della popolazione mondiale continuasse ad appropriarsi dell'82,7% della ricchezza del pianeta. Il rapporto del 1999 ci dice che la percentuale dei primi è salita all'86% e quella degli ultimi è scesa all'1% e la forbice si sta allargando sempre più rapidamente596.

I “mitici” clienti del mercato mondiale celebrati dalla retorica ottimistica neoliberista della “scuola di Chicago”, i titolari di un potere d'acquisto adeguato al prezzo dei prodotti strategici della nuova civiltà dei consumi globale

594 A. Sen, Globalizzazione e libertà, Mondadori, Milano 2003, p. 21.

595 In quel frangente la “questione sociale” fu affrontata e, in parte risolta, nei Paesi ad alto tasso di

industrializzazione, grazie a una crescita senza precedenti che permise di migliorare le condizioni degli “ultimi” senza peggiorare quelle dei “primi”.

rappresentano un'isola di privilegio in un oceano di indigenza. In un mondo di lavoratori poveri ai quali resta precluso – contrariamente a quanto avvenuto, nelle aree dello sviluppo in epoca fordista – di possibilità di aspirare ad un status che sia, al tempo stesso, di cittadino e di consumatore 597.

La situazione attuale viene anticipata e spiegata magistralmente da Richard Sennett. Il punto focale della riflessione del sociologo americano è dato dal “nuovo capitalismo”. La cultura neo-capitalistica, ovviamente, procede consequenzialmente dal vetero-capitalismo, che ha avuto in Max Weber uno dei suoi più importanti teorici. Ma il fulcro di quel capitalismo era soprattutto una ben precisa e determinata concezione del tempo, vale a dire a lungo termine, prevedibile e razionalizzato, in cui il singolo individuo poteva pensare alla propria vita come a una narrazione avente una scansione regolare e probabile. Nel volgere di un breve periodo l’individuo è stato liberato dalla “gabbia d’acciaio”, ma si è ritrovato da solo a gestire la flessibilità e la frammentarietà della propria esperienza di vita, in particolare nella sfera lavorativa. I valori dominanti delle grandi imprese sono radicalmente mutati: alla stabilità e alla staticità delle burocrazie e dei processi industriali sono subentrati flessibilità e leggerezza. L’esaltazione del cambiamento come fine a se stesso è divenuta la parole chiave del nuovo capitalismo. Il singolo non ne ha ricavato maggiore libertà, bensì maggiore insicurezza. Forze diverse hanno contribuito allo sgretolarsi della “gabbia d’acciaio” e all’instaurarsi del neo-capitalismo. Anzitutto lo sviluppo del capitalismo azionistico, che ha implicato nuove forme di governo delle imprese, le quali, non avendo più il controllo finanziario su se stesse, sono divenute preda di investitori esterni da cui dipendono. Il potere effettivo è passato nelle mani dei manager interni alla stessa azienda e agli stessi azionisti, in cerca dei maggiori profitti nel minor tempo possibile. Si è dunque innescato un capitalismo dominato dalla frenesia dei mercati azionari per i quali le imprese devono apparire nelle

597 Gli insegnamenti della “scuola di Chicago” vengono anche definiti neoliberisti. Questi hanno

influenzato e caratterizzato le politiche economiche dei governi statunitensi del presidente Ronald Reagan e del governo inglese del primo ministro inglese Margaret Tatcher. Il maggior esponente della suddetta scuola è il premio Nobel Milton Friedman.

migliori condizioni possibile: i licenziamenti per fini borsistici sono la conseguenza immediata di questo processo. Il criterio del successo economico dell’azienda non sono più i dividendi delle azioni a lungo termine, ma il loro andamento quotidiano598. Altro elemento da considerare è l’effetto combinato di automazione

e globalizzazione che rende vane le strategie di avanzamento basate sulla formazione e sulle specifiche competenze: il progresso tecnologico e informatico sono indifferenti alle qualifiche e all’esperienza e rendono superflua una gran parte dei lavoratori non specializzati599. Inutile dire che, in questo stato di cose,

l’individuo non può più fare della sua vita un qualcosa di stabile, ma deve praticamente vivere alla giornata, in un mondo fatto di relazioni e situazioni non stabili. Ne deriva che il nuovo valore su cui si punta è la potenzialità dell’individuo (fondamentalmente basata sull’adattarsi a i repentini cambiamenti): se non hai potenzialità, sei perduto600.

Resta quindi irrisolto il problema delle “conseguenze umane”, in termini di precarietà lavorativa e di reddito individuale, di debole professionalità, di incapacità di progettare la propria vita e di disgregazione sociale. La crescente flessibilità del lavoro sta portando, anche nei Paesi europei ad un indebolimento dell'intero apparato delle tutele sociali garantite sinora ai lavoratori e alle loro famiglie quali: pensione, liquidazione, malattia, gravidanza e così via. La classe media vede minacciato il proprio benessere e la maggior parte della popolazione, anche a seguito della riduzione delle entrate fiscali, causata dal perdurare della crisi globale di questi ultimi anni, si è vista ridurre le risorse finanziarie destinate ai servizi sociali e alle pensioni, generando in tal modo instabilità economica e conflitto sociale601. Oltretutto, l'apertura dei mercati è massima nei settori dove la

concorrenza globale va a vantaggio dei più forti. Dei ventiquattro Paesi

598 Cfr. R. Sennet, Il declino dell'uomo pubblico (The Fall of Public Man,1977), Bompiani, Milano

1982, pp. 294-309.

599 Ivi, pp. 364-374.

600 Altra proposta del sociologo americano molto dibattuta in questi ultimi tempi — soprattutto in

Italia — è quella del reddito minimo di cittadinanza: in tal modo, come afferma anche Sennet, lo Stato, con le tasse, potrebbe garantire una certa dignità all’esistenza delle persone (cfr. Ivi, pp. 294-308 e 364-411).

dell'OCSE, almeno venti sono oggi più protezionisti di quanto lo fossero dieci anni prima602. Di particolare rilievo l'apporto “neokenynesiano” del premio Nobel

E. Stiglitz, secondo il quale oggi la globalizzazione penalizza milioni di persone povere, produce un aumento della disoccupazione su scala mondiale, danni ecologici al pianeta e non garantisce la stabilità dell'economia internazionale, costantemente minacciata da crisi locali o dalla prospettiva di un crollo generale603. Accanto al crescente divario che si è venuto a creare tra i Paesi

ricchi e i Paesi sottosviluppati, la deregulation e la libera circolazione dei capitali finanziari a livello globale sono state, secondo una lettura eterodossa in crescente espansione, tra le cause delle crisi finanziarie che hanno caratterizzato la fine del secolo scorso. Questa è la tesi, per esempio, di George Soros (noto guru della finanza e speculatore ante litteram) diventato recentemente – forse nel tentativo di “redimersi” – uno dei critici più attenti dello scenario economico internazionale fondato sul Washington Consensus604.

Come si evince chiaramente dal susseguirsi delle turbolenze finanziarie e dalla gravissima crisi che il mondo intero sta vivendo in questi ultimi anni, la libera circolazione dei capitali, invece di favorire la crescita economica, per esempio andando a finanziare i progetti di investimento a medio-lungo termine, ha avuto finalità meramente speculative – cioè sempre più a breve termine – finendo così per sprigionare forze destabilizzanti605.

Oggi la società planetaria vive in preda a nuove incertezze, senza poter contare nemmeno più sulle sull'appartenenza simbolica ad un mondo e ad un modello culturale che le veniva offerta dalla Guerra Fredda. Per di più, quando il valore economico rappresenta lo spartiacque tra ciò che è corretto e ciò che non lo è, quando ciò che non ha senso da un punto di vista economico, deve essere

602 Ivi, pp. 36-37.

603 Per un approfondimento si veda anche J. Stiglitz, I ruggenti anni Novanta. Lo scandalo della

finanza e il futuro dell'economia (The Roaring Nineties: A New History of the World's Most Prosperous Decade, 2003), trad. it. di D. Cavallini, Einaudi, Torino 2004.

604 G. Soros, La crisi del capitalismo globale (The Crisis of Global Capitalism. Open Society

Endangered, 1998), trad. it. di M. Astrologo e M. Carbone, Ponte alle Grazie, Milano 1999.

605 Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la possibilità del capitale di andare ovunque mina la

eliminato, per gli individui ed i gruppi soggetti a queste leggi di mercato, l'esistenza diventa più precaria, insicura ed incerta606.

La crisi attuale. non può essere considerata un fenomeno passeggero, bensì dev'essere concepita come strutturale al sistema. La visione sistemica è indispensabile per capire quello che sta accadendo. Un'epoca sta tramontando, i processi di globalizzazione economica in atto hanno mostrato la loro inadeguatezza. Da tempo sono visibili fenomeni indicativi del fatto che non è possibile continuare lo sfruttamento del nostro Pianeta e delle sue risorse in modo così indiscriminato607. Per di più, l'ineguaglianza a livello globale,

l'esclusione sociale e l'emarginazione, stanno alimentano in maniera crescente odio e conflitti globali608. Le istituzioni sovranazionali, come l’Unione Europea,

non dispongono di quel monopolio dei mezzi per l'impiego legittimo della forza del diritto di tipo amministrativo e fiscale e, cionondimeno, rivendicano la preminenza del diritto sovranazionale sugli ordinamenti giuridici nazionali. In tal modo, nelle popolazioni che si trovano a dover accettare provvedimenti esterni e a sopportare sovente sacrifici odiosi e iniqui, si viene a creare un malessere diffuso che finisce per provocare una sgradevole sensazione di “impotenza pubblica”609.

A partire dal 1989 un sistema internazionale di potere ha cessato di esistere per la prima volta nella storia europea dal diciottesimo secolo. I tentativi unilaterali di stabilire un nuovo ordine globale non hanno finora avuto successo610. Dopo il fallimento dell'esperimento sovietico la parola democrazia si

è progressivamente svuotata di significato declinandosi nell'attuale versione neoliberale. La democrazia odierna si sta dimostrando incapace di rappresentare

606 Z. Bauman, La società sotto assedio, op. cit., pp. 204-207. 607 L. Taddio, Global revolution, op. cit., p. 13.

608 Assegnare una parte più equa di alcuni benefici dati dalla globalizzazione potrebbe essere una

valida misura preventiva per evitare, ad esempio, il reclutamento della carne suicida ai fini terroristici la creazione di un clima generale di accondiscendenza (cfr. Amartya Sen, La povertà

genera violenza? Luiss University press, Milano 2007, pp. 35-40).

609 Z. Bauman, La società sotto assedio (Society Under Siege, 2002), trad. it. di S. Minucci,

Laterza, Roma-Bari 2006, p. 36.

la pluralità sociale mistificando in modo ideologico la volontà dei rappresentanti e dei loro leader con la volontà popolare. In questo contesto gli abitanti delle società post democratiche non riescono ad intessere rapporti sociali tali da permettere loro di trasformarsi in una classe sociale e politicamente attiva.

La sola possibilità per combattere l'idea dell'inevitabilità e dell'irreversibilità dell'attuale globalizzazione di stampo neoliberistico, in definitiva, sarebbe quella di pensare (criticamente) al fatto che il mondo non è costituito solo da ciò che è, qui e ora, ma da quello che effettivamente potrebbe esistere, come un insieme di possibilità reali e concrete, realizzabile a determinate condizioni. Solamente a partire da questa constatazione si può cominciare veramente a dar vita a un nuovo progetto, utopico e concreto allo stesso tempo.