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Il termine globalizzazione (globalization, mondialization, Globalisierung) è entrato prepotentemente nella letteratura economica, politica e sociologica dell'Occidente nell'ultimo decennio del secolo scorso. In senso più specifico con il termine globalizzazione s'intende il processo sociale, fortemente influenzato dallo sviluppo tecnologico, dalla crescente rapidità dei trasporti e dalla rivoluzione informatica, che ha dato vita a una vera e propria rete mondiale di connessioni spaziali e di interdipendenze funzionali. Questa “rete” mette in contatto tra loro un numero crescente di attori sociali e di eventi economici, politici, culturali, un tempo sconnessi a causa delle distanze, delle barriere geografiche e sociali e dei limiti tecnologici nel campo delle telecomunicazioni577. Clamorosamente vincente

sul piano quantitativo, ingrediente ormai irrinunciabile di ogni riflessione, esso rimane, tuttavia, un concetto ancora preoccupantemente generico e impreciso, un mot fétiche578. Il processo di globalizzazione, considerato in una prospettiva

storica, non è certo un fenomeno inedito. Già nel Settecento Adam Smith definiva gli uomini d'affari del suo tempo “uomini senza patria”; inoltre ci sono stati almeno altri due periodi precedenti a quello attuale, segnati da fenomeni di intensa

577 A. Sen, Globalizzazione e libertà (Freedom and Globalization, 2002), trad. it di G. Bono,

Mondadori, Milano 2003, pp. 14-42.

integrazione economica mondiale. Il primo periodo si colloca dalla seconda metà del XIX secolo fino allo scoppio della I Guerra Mondiale. Esso segue alla prima Rivoluzione Industriale e all'affermazione del sistema capitalista in Europa, attraverso una fase d'intensa espansione extra-continentale delle attività economiche, sia industriali che finanziarie, e della sfera d'influenza politica dei Paesi europei. Il secondo periodo si colloca tra le due guerre mondiali, con la ripresa delle attività economiche su scala internazionale, che fu molto rapida ed intensa dopo i conflitti e le distruzioni legati al conflitto del 1914-18579. Dopo il

1945 cominciano a crearsi vaste aree di libero scambi su scala macro-regionale (il Mercato comune europeo, il MERCOSUR per l'America Latina, L'ASEAN per l'Asia estremo-orientale, ecc.). Dopo di allora l'abbattimento delle barriere formali, di fatto continuerà ad avanzare, estendendosi, con il cosiddetto Uruguay Round (1994), anche ai prodotti agricoli e ad alcuni tipi di servizi. Per alcuni prodotti chiave, come i computer e in generale l'elettronica, tale percentuale è già superiore al 50%: il che significa che la metà della produzione mondiale di beni elettronici è oggetto di uno scambio internazionale580. Tuttavia, se questo

processo è antico e tendenzialmente irreversibile, la sua crescente velocità e asimmetria con cui si sta oggi imponendo va ascritta soprattutto al diffondersi delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, legate alla cosiddetta

new economy, che caratterizza l'ultimo quarto del XX secolo e l'inizio del XXI. La

globalizzazione è il fenomeno egemonico della società capitalista neoliberista. Alcuni le attribuiscono magnifiche caratteristiche civilizzatrici581. Altri, al contrario,

la considerano un'espansione del potere tecno-ideologico della razionalità capitalista, il cui obiettivo è modellare ed intervenire nei sistemi di rappresentazione sociale, nelle pratiche politiche e nei processi comunicativi della cittadinanza in generale. Si capisce in tal modo come la globalizzazione rappresenti un altro spazio ed un'altra realtà in cui, i conflitti sociali, le

579 Ibidem. 580 Ibidem.

581 Progressivamente i modelli culturali, politici ,etici ed economici vengono regolati da interessi e

disuguaglianze, le differenze, le ingiustizie tra gli esseri umani, non si risolvono, ma finiscono per aggravare le principali contraddizioni — che non smettono di riprodursi a livello mondiale — delle società capitaliste. Secondo Bauman, autore chiave per chiunque voglia cimentarsi nell’analisi della contemporaneità, la globalizzazione è un processo che instaura legami di interdipendenza a prescindere dalla distanza, i cui effetti negativi ricadono sulle fasce più deboli della popolazione582.

Vi è poi una seconda accezione del termine in ambito economico, incentrata questa volta non sulla globalizzazione commerciale, o mercantile, ma su quella produttiva. Non solo sul carattere globale del mercato, bensì sul carattere globale dell'impresa. La destrutturazione del sistema di produzione fordista e keynesiano è coincisa con l'affermarsi della globalizzazione economica, ovvero con la formazione di un mercato unico planetario. L'impresa si “denazionalizza” compiutamente, assumendo un'identità qualitativamente diversa dalla precedente (ancora segnata dall'appartenenza nazionale d'origine), un'identità, appunto, globale, a cui corrisponde un apparato tecnico strutturalmente diverso, non più concentrato territorialmente in unità organiche onnicomprensive, ma disseminato, disarticolato territorialmente. È quella che i tecnici chiamano la transnazionalizzazione dell'impresa, ovverosia la scomposizione, in uno spazio ormai compiutamente transnazionale, della stessa catena di produzione del valore e di quelle diverse funzioni, quali: la progettazione, l'ingegnerizzazione, il marketing, l'assemblaggio e la commercializzazione dei prodotti che, nel precedente modello produttivo (che si potrebbe definire fordista), erano concentrate in un unico spazio, uniforme e centralizzato e saldamente ancorato al territorio583. Ora, grazie al “salto” tecnologico connesso all'informatica e alla

telematica, la produzione può con una certa facilità, essere delocalizzata, posizionata cioè, in punti fisicamente anche assai distanti tra loro (addirittura in

582 Quasi sempre quelle persone che per diversi motivi sono maggiormente legate al territorio (Z.

Bauman, Modus vivendi, op. cit., passim).

583 P. Hirst, G. Thompson, La globalizzazione dell'economia (Globalization in Question, 1996),

Stati, o in continenti diversi), purché connessi con efficienti reti di comunicazione che garantiscano la sincronicità dei processi produttivi584.

Vi è infine un terzo circuito: la mondializzazione del mercato dei capitali o dei mercati finanziari. Dopo il processo di liberalizzazione avviato dai Paesi industrializzati, i mercati internazionali, e in particolare i mercati valutari e i mercati finanziari, sono diventati molto instabili. Le risorse economiche e finanziarie che possono affluire in abbondanza a sostegno delle politiche di sviluppo possono essere sottratte in modo imprevedibile in seguito a crisi valutarie o finanziarie.

Oltre a ciò, secondo diverse previsioni, i Paesi in via di sviluppo entro il 2050 dovrebbero raggiungere circa 200.000.000 unità. Considerato che Paesi più poveri, come l'Afganistan o l'Angola, sono quelli che crescono più rapidamente, si prevede che la loro popolazione passerà dagli attuali seicentosessanta milioni a un miliardo e ottocento milioni e conseguentemente, i Paesi ricchi saranno con tutta probabilità, sempre più in crisi per quanto concerne la gestione dei flussi migratori585.

Il libero mercato ha provocato, tra le altre cose, una drammatica crescita delle diseguaglianze economiche e sociali. L'impatto negativo di questa globalizzazione viene avvertito soprattutto da coloro che ne beneficiano di meno, dal momento che una buona parte di imprenditori hanno la possibilità di internazionalizzare i loro costi rivolgendosi a Paesi dove la manodopera e a buon mercato e i professionisti specializzati e laureati in materie tecno-scientifiche hanno maggiori opportunità in un mercato libero e deregolamentato586.

È per questo motivo che per la maggior parte di coloro che vivono della paga del loro lavoro, nei vecchi Paesi sviluppati agli inizi del ventunesimo secolo, si apre una prospettiva inquietante: l'incapacità degli Stati e dei sistemi

584 Ibidem.

585 Z. Bauman, Vite di scarto (Wasted Lives. Modernity and its Outcasts, 2004), trad. it. di M.

Astrologo, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 55-57.

previdenziali di proteggere i loro standard di vita. In un'economia globale ci si ritrova a competere con uomini e donne che vivono all'estero, che hanno le stesse qualifiche ma che ricevono solo una piccola parte dei salari occidentali. In patria sono tenuti sotto pressione dalla globalizzazione, da quello che Marx chiamava l'esercito salariale di riserva, costituito dagli immigrati delle zone povere587. Se si considera, inoltre, che l'impiego temporaneo sta diventando,

anche in Europa, la forma più diffusa sul mercato del lavoro è facile comprendere come mai il senso di precarietà si stia diffondendo così rapidamente.