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Dalla cooperazione nelle ex-colonie ad una cooperazione “globale”:

CAPITOLO III: LE POLITICHE DI SVILUPPO DELL’UNIONE EUROPEA

1.1 Dalla cooperazione nelle ex-colonie ad una cooperazione “globale”:

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta i paesi che raggiunsero l’indipendenza uscirono dal confine degli artt. 131-136 del Trattato CEE, ma chiesero comunque di conservare la loro associazione con la Comunità per poter continuare a godere dell’accesso preferenziale ai mercati CEE e agli aiuti predisposti in loro favore.

I negoziati per la definizione dell’associazione su basi convenzionali con le nuove Nazioni africane398, identificate con il nome di Stati Africani e Malgascio Associati (SAMA), durarono

395 Con il Trattato di Lisbona, la politica commerciale comune (artt. 110-115 TCE ora artt. 206-207 TFUE) viene inserita nel più ampio contesto delle relazioni esterne dell’UE ed è formalizzato il suo ruolo di strumento che concorre a perseguire gli obiettivi di politica estera dell’UE; il rinnovamento realizzato con l’adozione del TFUE consiste, per ciò che qui ci interessa, nell’utilizzo, anche per lo schema di preferenze generalizzate, della procedura di codecisione (secondo la quale al Parlamento europeo sono conferiti poteri pari a quelli del Consiglio)

396 Sulla questo tipo di politica di cooperazione dei paesi occidentali si veda L.Tosi, L.Tosone (a cura di), “Gli aiuti allo sviluppo nelle relazioni internazionali del secondo dopoguerra. Esperienze a confronto”, Padova, Cedam, 2006.

397 Politica poi gradualmente estesa ad un numero maggiore di paesi in via di sviluppo in Asia, America latina e nella stessa Europa.

398 Gli Stati che componevano il gruppo denominato SAMA erano: Benin, Burkina Fasu, Burundi, Camerun, Repubblica Centroafricana, Ciad, Congo, Costa d’ Avorio, Gabon, Madagascar, Mali, Mauritania, Niger, Ruanda, Senegal, Somalia, Togo, Zaire.

105 dal Dicembre 1961 al Dicembre 1962, e l’anno successivo, il 20 Luglio 1963, venne siglata la Prima Convenzione di Yaoundé, che entrò in vigore il 1° Giugno 1964.

Questa costituì il primo tentativo di istituire un regime di associazione convenzionale tra la CEE e i paesi in via di sviluppo e la sua struttura verrà riproposta non solo nella Seconda Convenziona di Yaoundé, ma anche nei successivi accordi di cooperazione ACP-CEE. E’ importante specificare come con quest’ultima ci sia stato un tentativo iniziale di definire le nuove relazioni tra i paesi SAMA e la CEE: non essendo più possibile far rientrare i Paesi di nuova indipendenza nel regime previsto per i PTOM, questo veniva mantenuto attraverso la negoziazione con i paesi diretti interessati.

Si faceva quindi un passo in avanti verso l’istituzione di vere e proprie associazioni con i paesi in via di sviluppo, ma nella sostanza si riprendevano i contenuti del regime precedente399.

La Convenzione era composta da un Preambolo, cinque titoli (in materia di: scambi commerciali, cooperazione finanziaria e tecnica, diritto di stabilimento, servizi, pagamenti e capitali, istituzioni e disposizioni generali e finali) e sette protocolli allegati, in cui venivano precisate il contenuto e le modalità di applicazioni delle disposizioni del testo.

L’ambito in cui il testo si concentrava maggiormente era quello della cooperazione economica e tecnica nel settore delle infrastrutture, “un aspetto che in quegli anni venne eccessivamente enfatizzato, quando poi l’esperienza acquisita nel corso del tempo dimostrò la necessità di un

approccio più ampio per avviare un reale processo di sviluppo400”.

Per il resto furono mantenuti i principi del libero scambio e la reciproca concessione di tariffe preferenziali401, fatta eccezione dei prodotti coperti dalla Politica agricola comune; il Fondo

Europeo per lo sviluppo fu alzato a 730 milioni di euro e furono create istituzioni paritetiche per la gestione dei nuovi rapporti instaurati402.

L’accordo venne rinnovato nel 1969 e la seconda Convenzione entrò in vigore il 1° Gennaio del 1971 per altri cinque anni, senza che fossero introdotte importanti modifiche403.

399 Nel testo in realtà non viene menzionato l’articolo del trattato su cui si basi la Convenzione. Alcuni studiosi individuano in questa omissione la volontà di trovare un compromesso tra chi, tra gli Stati membri, sosteneva l’istituzione di una nuova associazione (basata sugli art. 238 TCEE) e quelli che appoggiavano il prolungamento dell’associazione già esistente (artt.131-136 TCEE). A proposito si veda E.Triggiani, “Nuovo ordine economico internazionale e sistema di Lomé”, in Quaderni, anno IV, n.5, pag. 23-41.

400 M. Holland, “The European Union and the third world”, op.cit.pag. 29.

401 Per approfondire la politica commerciale e le preferenze tariffarie della Convenzione si veda veda G.Migani, “Gli Stati Uniti e le relazioni euroafricane da Kennedy a Nixon”, in D.Caviglia e A.Varsori (a cura di), “Dollari petrolio e aiuti allo sviluppo”, op cit,pag 57-63.

402 Le istituzioni in questioni erano il Consiglio di Associazione, il Comitato di Associazione, la Conferenza Parlamentare, una Corte d’Arbitrato.

403 Questo si presentava come un rinnovo del testo precedente con solo un aumento del Fondo Monetario Europeo (III FES).

106 Le Convenzioni di Yaoundé rafforzarono notevolmente i rapporti tra la Comunità e i paesi ACP, ma secondo molti critici, in realtà la Convenzione era soltanto un continuum della politica post-coloniale francese, che continuava a cercare un modo per garantire i propri interessi all’interno del contesto europeo.

La Francia in quegli anni risultava infatti la nazione predominante nella gestione e nel finanziamento della Politica dello sviluppo europea e le accuse di neo-colonialismo erano confermate dall’assenza di un principio di non reciprocità nelle relazioni con i Paesi in via di sviluppo.

Nel frattempo si erano andate intensificando anche le relazioni con i Paesi africani anglofoni e questa graduale apertura avrebbe portato ad una prima fase di svolta nell’evoluzione della cooperazione allo sviluppo della Comunità.

Il 1° Luglio del 1966 a Lagos, infatti, fu firmata la prima Convenzione che regolava le relazioni tra la CEE e un Paese che non era mai stato una colonia di uno degli Stati al tempo membri: la Nigeria.

L’accordo, che non entrò in vigore per mancanza di ratifica, fissava reciproche concessioni, seppur senza prevedere finanziamenti comunitari.

Inoltre il 24 Luglio 1968 fu firmata ad Arusha una Convenzione tra CEE e gli “Stati dell’East African Community”, ossia Kenya, Tanzania e Uganda, ma poiché la scadenza sopravvenne prima della ratifica, fu firmata una nuova convenzione il 24 Giugno 1969 ed entrò in vigore il 1° Gennaio 1971.

Con questa Convenzione molti prodotti africani vennero ammessi in franchigia, e vennero create delle istituzioni paritarie, seppur meno articolate di quelle di Yaoundé che non prevedevano finanziamenti comunitari.

Vi fu inoltre un’altra importante novità: i tre Paesi africani infatti negoziarono l’accordo uniti e si proposero come un’unica entità e ciò riuscì a limitare al massimo il regime preferenziale concesso alla Comunità.

Nel 1972 venne anche ufficializzata la volontà della Comunità di uscire dall’ottica dell’associazionismo e del sostegno esclusivo ai Paesi che storicamente erano legati agli Stati membri: venne quindi siglata una svolta importante nell’attività di assistenza ai PVS.

Fino a quella data, l’azione comunitaria in materia si era concentrata sulla conclusione di Convenzioni nell’Africa francese o eventualmente di accordi commerciali con i Paesi del bacino del Mediterraneo meridionale, ossia Marocco, Tunisia, Libano, Malta.

Come è stato sottolineato, “nel 1972 si può dire nasca la politica di cooperazione allo sviluppo della CEE, quando nel Vertice di Parigi i Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri

107 espressero l’intenzione di esportare l’azione della Comunità al di fuori dei confini ad essa contigui, fisicamente o storicamente404”.

In questa sede venne rilevata la necessità di porre la cooperazione allo sviluppo su di un piano globale405, di coniugare crescita economica e sviluppo in un’ottica di giustizia e di parità

delle relazioni internazionali, anche per effetto delle rivendicazioni avanzate dai Paesi emergenti.

Per la prima volta alla Politica d’aiuto nei confronti dei Paesi emergenti venne quindi attribuita un’identità autonoma e la Politica di cooperazione allo sviluppo fu identificata ufficialmente come una parte importante dell’attività della Comunità nel settore delle relazioni esterne406.

Prevedendo un ampliamento dell’attività dell’UE in materia di cooperazione, il problema che poteva sorgere era di definire chiaramente gli interventi dal punto di vista normativo, ed è stato in questo momento che l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia identificò chiaramente negli articoli relativi alla Politica commerciale comune.