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L’attenzione che la scuola, o meglio, che la legislazione scolastica pone sull’educazione alla cittadinanza è nella storia italiana preferenzialmente posto sull’aspetto della conoscenza del vivere civile, nella conoscenza e nel rispetto della legge e dei principi ispiratori menzionati dalla Costituzione italiana, come già volle l’Assemblea Costituente del 1947, la quale attraverso un ordine del giorno di Aldo Moro esplicitava l’intenzione che l’allora nuova Carta Costituzionale trovasse “ adeguato posto nel quadro didattico nella scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sicuro retaggio del popolo italiano”. I principi ispiratori che guidano questa accezione di educazione alla cittadinanza sono senza dubbio ancora validi, e ancor di più lo erano in una fase storica nella quale il paese usciva da una guerra di dimensione mondiale e che muoveva i suoi primi passi come Repubblica. La conoscenza e l’introiezione delle leggi e dei suoi principi ispiratori era obiettivo fondamentale ieri, quanto lo è oggi. In ogni caso, la stessa educazione civica non ha mai

avuto vita facile all’interno dei programmi scolastici, talvolta scomparendo o venendo offuscata dietro l’insegnamento della storia, materia alla quale era legata. Facendo un salto in avanti passando agli ani più recenti, precisamente al 2003, le legge delega 53 del Ministro Moratti parla di educazione ai principi

fondamentali della convivenza civile, articolando questa materia nelle sei

educazioni alla cittadinanza, alla sicurezza stradale, all’ambiente, alla salute, all’alimentazione, all’affettività e sessualità. Molto recentemente, il 1° agosto 2008, il Ministro Gelmini propone il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri (che diventa poi la legge n.169 il 30 ottobre 2008), nel quale viene lanciata una campagna di formazione degli insegnanti e una sperimentazione nazionale della materia Cittadinanza e Costituzione. Alla base di questa materia vi è l’acquisizione delle competenze e delle conoscenze necessarie per lo sviluppo dei singoli e della collettività e le competenze civiche e sociali per vivere una cittadinanza attiva (Corradini, 2008).

Come ho già sostenuto, a mio avviso non è l’insegnamento dei principi costituzionali e delle leggi a stimolare una cittadinanza attiva. O perlomeno non lo può fare da solo. Esso può e deve essere parte dell’educazione alla cittadinanza, in quanto definisce il contesto nel quale ci si muove, ossia l’insieme dei diritti e dei doveri che la legge stabilisce. Ma ciò non garantisce certo un carattere di presenza alla cittadinanza, solamente ne certifica i limiti e le possibilità, senza tenere conto che un concetto di cittadinanza attiva necessita di una vera e propria attivazione del soggetto nel tessuto intersoggettivo della collettività.

la legislazione scolastica deve uscire da un ristretto ambito di educazione civica), e nel farlo si deve connettere ad esperienze autentiche, legate a quei contesti dove già esiste un effettivo impegno, un banco di prova dove il soggetto può iniziare a “contare”, ad essere incisivo e indispensabile per l’attività e il contesto stesso. Un’educazione alla cittadinanza che voglia muoversi in direzione attiva, dovrebbe iniziare a disinteressarsi di tutte quelle forme di partecipazione che ricreano un ambiente fittizio, ricostruito per l’occasione senza una storia ed una progettualità futura, in grado di concentrasi esclusivamente su piccoli frammenti della vita umana e fornendo una delega molto limitata e quasi esclusivamente di tipo consultativo e non vincolante. Non è importante tanto che un Ente Locale crei un consiglio comunale dei ragazzi, emulando quello “dei grandi”, o un forum dei giovani, fornendo un ristretto ambiente protetto nel quale viene data l’illusione del potere di decidere sulle scelte della collettività; esso rappresenta senza dubbio un’ottima esperienza ricreativa, anche un laboratorio interessante per stimolare la creatività e applicare essa a determinati ambiti di interesse pubblico. Ma per come nasce e come si sviluppa esso non sarà in grado di inserirsi efficacemente nel tessuto pubblico e in quello delle decisioni prese dall’Ente locale, in quanto è stato creato dall’amministrazione stessa la quale ha la possibilità di darvi la dovuta attenzione o meno, anche dopo e al di fuori dei momenti di efficacia pubblicitaria nei quali mostrare una rappresentanza di giovani, che sarebbe l’icona della democrazia più ampia possibile di quel contesto. Diversamente un Ente locale e qualsiasi altra amministrazione, oltre alla scuola stessa, dovrebbe interessarsi maggiormente a quello che sul territorio è già vivo come esperienza

di attivazione e che mette in campo risorse per il raggiungimento di obiettivi il cui beneficio va a vantaggio di tutta la comunità o parte cospicua di essa. Ciò succede già in alcune realtà, dove una buona conoscenza delle risorse presenti sul territorio pone la necessità di creare una connessione tra di esse e gli ambiti decisionali, evitando di creare contesti a volte poco autentici, ma dando al contrario valore a quelle esperienze che già individuano un bisogno e alcune direzioni per fare fronte ad esso. Lo stesso vale con i giovani impegnati in politica, quelli cioè che hanno intrapreso un percorso che li porta ad acquisire capacità e a conoscere le dinamiche contestuali che portano alla presa di decisioni importanti per la collettività. Ignorare ciò vuol dire continuare a sostenere che i giovani sono sommariamente disinteressati alla politica e a ciò che succede nella loro realtà, quando nello stesso tempo questi soggetti non sono interpellati perché già in un qualche modo attivi, quindi non bisognosi della stessa attenzione di altri soggetti che invece sono più periferici rispetto alla vita sociale.

Tale aspetto non può miseramente sfuggire all’educazione alla cittadinanza: essa deve interessarsi a ciò che accade nella vita quotidiana di una comunità, non solo ponendo l’attenzione sulle regole cha la guidano, ma soprattutto sulle risorse possibili già messe in campo da alcuni contesti o che sono in potenzialità. Essa deve esser quindi in grado di stimolare le capacità necessarie all’impegno, quale che portano un giovane ad avere consapevolezza delle dinamiche che caratterizzano la realtà in cui vive, e quindi a sentirne una responsabilità, sia nell’impegno che nel non-impegno. Un’educazione alla cittadinanza autentica deve conoscere e connettersi a buona parte delle

esperienze presenti sul territorio, nella città, nei contesti di vita, e non rimanere chiusa a scuola parlando di una realtà che non conosce, come se la scuola stessa non fosse uno dei nodi principali della rete di relazioni che costituisce la società.

Il processo di formazione continua che l’educazione alla cittadinanza può attivare, nasce dalla sua adeguatezza nel comprendere quali siano le capacità e le competenze alle quali formare perché un giovane sappia spendersi in modo efficace in un contesto già radicato o che si sta radicando sul territorio. Tali capacità e competenze vanno ben oltre la sola conoscenza delle regole: una capacità critica, di lettura del contesto, di ricerca delle informazioni e della fondatezza di esse, ma anche il senso etico delle decisioni e delle attività, la connessione di diverse soggettività, la realizzazione intersoggettiva di un contesto, la capacità di includere in modo democratico le differenti istanze soggettive. Queste sono capacità alle quali deve formare un’educazione alla cittadinanza che prende coscienza del mondo globalizzato e della complessità che caratterizza la società contemporanea.

Conoscere i propri diritti e i propri doveri significa saperli mettere in concreto, saperli agire in un contesto caratterizzato dalla relatività, nel quale la frammentazione sociale è più che mai viva, ma che pone anche, come rovescio positivo della medaglia, la possibilità di trovare la realizzazione soggettiva di ognuno in concomitanza con un’autentica intersoggettività, in altre parole con una forte negoziazione dei significati soggettivi che danno senso al nostro vivere sociale.

connessione il mondo delle scuola e della formazione con quello sociale nel quale avviene l’attivazione, la partecipazione, nel quale si attesta l’impegno, sia esso politico o meno, in quanto la scuola deve muoversi verso l’obiettivo di “formare soprattutto cittadini che siano in grado di scegliere le modalità della loro partecipazione alla costruzione della collettività nazionale e globale” (Bocchi, Ceruti, 2004, pp.35-36). Il mondo associativo che opera nel sociale, quello del volontariato, e non per ultimo quello politico che è stato preso in considerazione nella ricerca presentata, sono in grado di fornire la prassi entro la quale la cittadinanza diventa attiva. Qui i diritti e i doveri vengono agiti dal soggetto, che impara a conoscerli non solamente da un punto di vista teoretico, ma al contrario divengono parte di un vissuto conseguente alla scelta di un impegno in una determinata direzione. Perdendo il contatto con questi ambiti, l’educazione rischia di allontanarsi dalla società, fornendo nozioni legislative certo utili, ma non spendibili nella vita quotidiana di un cittadino. Allo stesso modo la scuola e l’educazione non possono perdere il loro rapporto, anzi devono recuperarlo, con la politica, intesa come momento dialettico di costruzione di intersoggettività, appunto in grado di evidenziare e dotare di senso i diritti e i doveri sanciti dalla costituzione e messi in atto dalla legge. Una presenza incisiva si basa su ciò, ossia sulla capacità del cittadino di interpretare ed agire le proprie potenzialità, le risorse che è in grado di mettere in campo, per determinare le scelte e gli orizzonti che una società si pone come fondamentali. E quindi la scuola, e insieme tutto il sistema formativo, se vuole evitare lo scacco di una educazione che resti chiusa tra le proprie mura, senza riuscire a trovare nuove strade per formare ad una cittadinanza che deve

essere anch’essa nuova, deve anche i questo campo come in altri iniziare a supportare gli alfabeti superiori (Frabboni, 2005, p.51), cioè a sviluppare quelle “metaconoscenze” che consistono nella “duplice capacità di sapere “riflettere” e di sapere <<imparare>> autonomamente”.