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chiaramente un processo formativo attraverso il quale alcuni giovani passano nel momento che cominciano ad impegnarsi e attestano la propria presenza in un contesto politico. La politica stessa viene rappresentata come “pratica di relazioni”, cioè come luogo dove il soggetto si pone in un insieme di scambi intersoggettivi attraverso i quali diviene pensabile porsi obiettivi nell’ottica del cambiamento. Proprio in questa processualità si pone una riflessione pedagogica, nel momento cioè in cui si può affermare che la partecipazione alla vita della società, come carattere qualificante l’essere cittadino e cittadina, necessita di un percorso formativo. In altre parole, la partecipazione deve essere educata, formata, guidata nelle sue forme evidenziandone il senso intrinseco che la muove nei più svariati contesti.

Per questi motivi le riflessioni pedagogiche che espongo qui di seguito non fanno riferimento tanto al contesto scolastico, o ne fanno riferimento solo in quanto esso è parte integrante, vorrei dire anche caratterizzante, si un più ampio contesto sociale, quello della città, della comunità. L’attenzione è qui posta a tutti quei luoghi e a quelle esperienze più o meno formali dove il soggetto ha la possibilità in modo concreto di esprimere la propria cittadinanza, o dove eventualmente può educarsi ed “allenarsi” a partecipare. Un processo di partecipazione proposto da un Ente locale, una scuola di formazione politica, ma anche una sezione giovanile di un partito politico o di una associazione con rilevanza politica: tutti questi ambiti dovrebbero tener presente la funzione pedagogica che hanno nel momento in cui coinvolgono i soggetti nei propri progetti, considerando essi non solo in termini di utente, iscritto, tesserato, ma principalmente come soggetto in formazione. Esso non è definibile cittadino

attivo fino a quando non può sostenere in modo consapevole di far parte di un processo che prima di tutto ha scelto, e che secondariamente lo ha coinvolto come elemento caratterizzante lo stesso processo. In questo senso è possibile formulare alcune indicazioni delle quali ogni processo partecipativo dovrebbe tenere presente.

 Esplicitare il processo trasformativo. Essere cittadino attivo vuol dire poter cambiare la società, poter esprimere il bisogno di migliorare continuamente le condizioni di vita, collocando gli interventi sui saperi e sulle capacità di lettura del contesto di cui i soggetti sono portatori. In questo senso in un processo partecipativo è necessario stabilire quale sia l’input e quale si l’output: in che modo cioè i soggetti entrano, cosa portano, cosa offre loro il processo stesso in termini di possibilità di decisione e di attivazione, infine quale sia il risultato, l’obiettivo che ci si pone, quale ne sia il prodotto finale e il suo valore di cambiamento. È necessario in altre parole che siano chiare le possibilità del processo trasformativo che può essere realizzato da ogni azione messa in campo, sia essa di minima portata o di grande rilevanza. Prima di organizzare assemblee dove gli Enti locali incontrano i cittadini all’interno di un progetto di bilancio partecipato, gli amministratori dovrebbero fornire gli strumenti per capire e condividere il lavoro da svolgere nel futuro: quali sono le risorse, quali strumenti è possibile utilizzare, qual è il percorso amministrativo, quali sono i tempi e le scadenze, quanto è possibile incidere su ciò di cui si sta parlando. Se un processo partecipativo utilizza come strumento le assemblee (ma anche i forum online e le altre forme messe in campo ultimamente), esse non

devono essere intese come strumenti esclusivamente consultativi, quindi facilmente accantonabili; al contrario esse devono essere in grado di agire sul contesto, di dare indicazioni chiare e realizzabili, di avere una competenza puntuale sulle tematiche trattate. È evidente ancora una volta come prima di un processo partecipativo sia necessario un processo formativo alla partecipazione.

 Evidenziare le capacità soggettive. Ogni società presenta una svariata serie di tematiche e problematiche delle quali gli organi decisionali sono chiamati ad occuparsi. Spesso si tratta di argomenti che richiedono un sapere preciso e specialistico (si pensi solamente al tema dell’urbanistica sul quale i processi partecipativi si sono tipicamente concentrati nell’ultimo decennio). Da una parte non è escludibile chi non ha competenza in materia, in quanto ciò porterebbe a creare non tanto momenti partecipativi ma gruppi specializzati e chiusi, stabilendo un processo nel quale solo chi è uno specialista può dare contributi utili (fenomeno che caratterizza abbastanza i processi partecipativi). Dall’altra è comunque necessaria una competenza seppur minima nel trattare argomenti di interesse pubblico: si pensi cosa potrebbe succedere se chiunque potesse esprimere e soprattutto incidere su tematiche come la scuola e l’educazione pubblica, o la sicurezza. Un processo partecipativo educa quindi anche in questo senso, cioè fornisce le competenze necessarie allo scopo di poter intervenire in modo appropriato in un processo decisionale, fornendo tutte le informazioni necessarie.

nella pluralità delle visioni del mondo che i diversi cittadini portano con sé. Essi devono quindi essere in grado di stimolare i canali comunicativi che riempiono di senso le relazioni all’interno di una società. Per questo motivo è utile andare oltre ad una formula frontale che vede i cittadini che si relazionano con le amministrazioni: valorizzare la relazione significa che l’interlocutore primario di ogni cittadino attivo è l’altro-cittadino, la collettività che vive intorno ad esso. Lo stile relazionale diventa quindi un aspetto importante per poter attivare una forma di partecipazione efficace. Non da meno lo è l’utilizzo di persone competenti che siano in grado di far comunicare, di far dialogare, di mediare le istanze soggettive che ogni cittadino porta, affinché l’obiettivo sia sempre quello di un benessere collettivo, non solo individuale – anche perché i due aspetti non sono contemplabili separatamente.

 Valorizzare la crescita personale. Ciò definisce un altro aspetto del valore pedagogico che può avere l’educazione alla cittadinanza attiva: non è importante solamente il risultato, o meglio la realizzazione di un cittadino non si misura solamente (anche se ciò ha grande importanza) in ciò che il processo partecipativo ha portato. Fondamentale è anche il processo stesso, cioè le competenze, le capacità, gli stili relazionali che un soggetto acquisisce nel momento in cui si mette in relazione con altri soggetti per definire quale sia la forma migliore di realizzare un intervento di interesse collettivo. Un processo partecipativo dovrebbe quindi presentarsi con una propria sorta di “offerta formativa”, cioè dichiarare in che modo stimola un cambiamento nel soggetto stesso che partecipa e nella collettività che vi

prende parte; e chiarire verso quali competenze spinge il soggetto, in quanto esse sono il risultato più importante al quale deve arrivare. Anche pensando che attivando un processo partecipativo, le competenze sviluppate a livello soggettivo non si disperdono alla fine del percorso, ma restano come arricchimento personale e come potenzialità per una partecipazione continua.