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Ho già delineato precedentemente quale sia l’idea di cittadinanza verso la quale si dovrebbe muovere, a mio avviso, la riflessione pedagogica e quindi l’agire educativo: si tratta di una cittadinanza attiva, che comprende l’azione del soggetto come elemento necessario oltre che qualificante dello status di cittadino. Azione che se da una parte non si traduce necessariamente in impegno politico (come avviene per i soggetti interpellati nella ricerca esposta) significa comunque partecipazione. Proprio questo termine, già più volte discusso, assume ancora una volta una nuova significazione alla luce dei dati raccolti.

Formare un cittadino, educare un soggetto a vivere il proprio essere cittadino, significa dare un’accezione al termine stesso di cittadinanza in senso attivo. L’educazione ha quindi il compito di indirizzare e stimolare il soggetto affinché esso collochi se stesso in una rete intersoggettiva, nella quale le relazioni e i contesti vengono ri-significati dall’apporto di altri soggetti: la relazione diventa il fulcro di questo tipo di educazione alla cittadinanza, una relazione partecipativa, cioè che non ammette che il soggetto si senta sollevato dalla responsabilità e dal diritto di esprimere la propria opinione ma soprattutto di dare un senso decisivo alle istanze che ritiene importanti. La cittadinanza non è (o non può essere più) un contratto, come lo definiva Hobbes riferendosi all’accordo per cui l’autorità veniva messo nelle mani di una persona ai fini della sicurezza di tutti. È questo un concetto che può avere come unico sviluppo la definizione del

soggetto come suddito, non certo di cittadino attivo. Ciò a cui può richiamarsi la cittadinanza attiva è un senso di responsabilità, come già accennato più volte, da non intendersi unicamente come espletamento dei propri doveri o come rispetto ossequioso delle leggi, ma anche e soprattutto presa in carico del contesto sociale, cura delle sue relazioni, interesse nei confronti del suo benessere.

La partecipazione quindi attribuisce senso alla cittadinanza, non tanto, o non solo, intesa come insieme di progetti, sistemi organizzativi e tecnologie che permettano ogni singolo cittadino di esprimere la propria opinione ai diversi organismi decisionali; piuttosto partecipazione come costruzione di una rete di relazioni significative che colgano il prodotto intersoggettivo di significati continuamente mediati tra i diversi soggetti. In questo senso la partecipazione si riempie di presenza, quasi come se esistesse paradossalmente una partecipazione attiva e una passiva. Quest’ultima infatti sta alla base di quell’idea, piuttosto diffusa e che costituisce gran parte dei progetti di partecipazione visibili attraverso le amministrazioni pubbliche, per la quale il cittadino – come mero portatore di diritti – viene interpellato su determinate questioni, in tempi e modalità decise altrove e non aderenti ad un processo di conoscenza e di elaborazione delle idee che possa efficacemente far esprimere il significato che intersoggettivamente una collettività porta con sé. È quella partecipazione che chiede ai giovani di rimanere al proprio posto, di dire le proprie idee solo quando interpellati e di essere presi in considerazione solo nel momento in cui la politica, o l’amministrazione ritiene che, per qualche motivo, possa essere valida la possibilità di farlo. Una partecipazione attiva, invece, si

richiama maggiormente ad un idea di significato condiviso, che non nasce e si sviluppa solamente quando avviene una “chiamata dall’alto” (da un Ente locale o altro), ma è quotidianamente lavorante nella rete di relazioni che sono costituite dai soggetti che in una città si conoscono, si scambiano informazioni, condividono luoghi, si creano opinioni e le discutono, sulla scorta di un vissuto che pone il cittadino stesso davanti allo sperimentare e al conoscere la realtà da lui agita.

Detto ciò, è possibile dire che la caratteristica fondamentale della cittadinanza è il suo essere attiva, quindi essere partecipante, solo se la partecipazione che si crea (e alla quale è possibile educare) è densa di presenza, ossia di capacità (tradotta anche in meta-coscienza, cioè nella percezione che ciò accada davvero) di poter incidere nelle scelte che riguardano la collettività, non solo delegando ad una rappresentanza nel momento del voto politico o amministrativo, ma soprattutto trovando forme e spazi che diano l’accesso al cittadino – e all’intersoggettività dei cittadini – per co-costruire il contesto vissuto quotidianamente e nel quale si forma.

Alla luce dei risultati della ricerca illustrata, credo che il processo di attivazione dei giovani e il percorso attraverso cui alcuni di essi riescano ad arrivare ad esercitare una presenza incisiva nella società, possa dare alcune indicazioni all’educazione alla cittadinanza. O meglio, aprire e sondare degli spazi dentro ai quali essa deve senza dubbio dare il suo contributo.

Uno di questi è quello di stimolare la capacità di leggere il contesto. Ho mostrato come alcune delle caratteristiche che portano all’impegno dei giovani sia riconducibile all’aspetto della responsabilità, che a sua volta pone le sue

basi sulla consapevolezza, l’interesse e l’informazione. Si è visto come vi sia un legame tra ciò che il soggetto vede, impara, tra ciò che esperisce in prima persona e l’attivazione che il soggetto sente di poter intraprendere o sceglie come impegno nella società. Essere interessati significa informarsi e avere una conoscenza in un certo ambito; ciò crea una sorta di consapevolezza, sempre carica di soggettività, di ciò che accade e di ciò che è possibile fare. Il soggetto può iniziare così a sentirsi in un certo modo responsabile, sia nel fare che nel non fare qualcosa in merito. Il protagonismo in quanto prendersi cura di un aspetto che riguarda la società, così fortemente legato alla presenza, gioca un ruolo di rilievo su alcuni soggetti che vogliono far parte delle decisioni e degli orientamenti che guidano in certa misura il contesto che li coinvolge. Un obiettivo dell’educazione alla cittadinanza è quindi quello di accompagnare il soggetto nel processo che lo porta verso la “conoscenza umana”, in particolare verso quella che Morin chiama la “conoscenza della complessità umana” (2000), che fa parte della conoscenza della condizione umana. Una conoscenza quindi che esce dalla nozionistica e porta il soggetto a vivere in prima persona il contesto in cui vive. Il richiamo quindi tra la conoscenza e l’impegno è molto forte, in quanto da una parte è vero che la prima aiuta e riempie di senso il secondo, ma è anche possibile dire che lo stesso impegno è una strada per raggiungere la conoscenza della condizione umana, almeno per quanto riguarda alcuni suoi aspetti, perlopiù relazionali. L’educazione alla cittadinanza entra in questo modo nel curriculum scolastico, o meglio ne ampia i confini, portandoli fuori dalla scuola stessa e facendoli prendere contatto con i luoghi dove il cittadino si vive, con la città, con le problematiche e le opportunità

che il vivere in una società comporta. Il percorso attraverso il quale i giovani intraprendono un impegno politico indica proprio questo: il bisogno dell’educazione di dotarsi di saperi che siano tratti direttamente dalla prassi e che ne spieghino le dinamiche, dalle quali inoltre trarre le linee per nuove interpretazioni e per una ulteriore e continua attribuzione di senso (Bertolini, 2002).

L’impegno in un ambito sociale può essere spesso un ambito che il soggetto, in particolare il soggetto giovane, non incontra in modo così significativo da decidere di farne parte. Spesso risulta, come emerso dalla ricerca, una perdita di tempo, un tentativo vano di cambiare le cose, una fonte di dispersione di energie e risorse altrimenti utilizzabili nella vita personale in modo più proficuo. I fattori facilitanti e le motivazioni personali che possono spingere un giovane ad impegnarsi possono subentrare fin da subito, appena l’incontro con una realtà particolare avviene, ma possono anche essere dilazionati più avanti, quando il soggetto comincia a sperimentare le proprie capacità e la loro utilità in quel contesto. Per esempio, diversi giovani intervistati hanno iniziato a fare volontariato per ottenere crediti scolastici, dopodiché l’impegno è comunque proseguito. Ha quindi un grande valore la capacità che l’educazione alla cittadinanza deve avere, di aprire una strada verso l’impegno, verso la partecipazione, o meglio verso una presenza incisiva dei giovani nella società.