Il grande tema della regolazione in generale, all’interno della quale si è poi
sviluppata negli ultimi tempi la specifica tematica della regolazione del rischio
53,
non può che essere ricondotto alla nascita del c.d. “Stato regolatore”
54.
Quest’espressione sta ad indicare un modello di Stato non più gestore diretto e
51 Cfr. M.T
ALLACCHINI, Scienza e diritto. Verso una nuova disciplina, introduzione a S. JASANOFF, La scienza davanti ai giudici, cit.
52
Il modello di regolazione della scienza seguito negli Stati Uniti è definito, appunto, science-based, perchè caratterizzato da un approccio rigorosamente e oggettivamente informato da fatti e conoscenze scientifiche, ma anche dall’apertura e trasparenza delle procedure di regolamentazione e da un ruolo fondamentale del potere giurisdizionale nel governo della scienza. Sottolinea infatti, al riguardo, M. TALLACCHINI, Governare la scienza tra incertezza e precauzione, in Vita e Pensiero, 2007, pp. 73-80, che le relazioni tra scienza e diritto negli Stati Uniti, sebbene la concezione ivi dominante dei rapporti tra scienza e diritto sia ancora fortemente science-based, rappresentano un fenomeno in realtà molto più complesso e articolato: «(…) dietro all’atteggiamento positivistico e tecnocratico secondo cui la scienza speaks truth to power (trasmette la verità al potere), di fatto le conoscenze, le pratiche e i prodotti scientifici si stabilizzano nella vita sociale attraverso complesse attività di mediazione e negoziazione»; inoltre, secondo l’A., nella regolamentazione di certi rischi fondamentale è stato il ruolo dei giudici, i quali hanno abbandonato progressivamente l’atteggiamento di deferenza nei confronti della comunità scientifica nel «giudizio sulla scienza valida» e sono addivenuti all’utilizzo di regole procedurali atte a garantire loro un’indipendenza nell’ammissione delle prove scientifiche.
Per una comparazione delle politiche di regolazione del rischio attuate negli Stati Uniti e nell’Unione europea, si veda, ad esempio, D.VOGEL, The Politics of Risk Regulation in Europe and the United States, in The Yearbook of European Environmental Law, vol. 3, H. Somsen Ed., Oxford University Press, 2003; ID., Ships Passing in the Night: The Changing Politics of Risk Regulation in Europe and the United States, EUI Working Papers, RSC No. 2001/16.
53
C. HOOD, H.ROTHSTEIN,R. BALDWIN, The Government of Risk. Understanding Risk Regulation Regimes, Oxford Univerity Press, 2004, p. 3, la definiscono come interferenza governativa nei processi sociali o di mercato al fine di controllare le potenziali conseguenze negative sulla salute – così come sull’ambiente – principalmente attraverso l’applicazione di standards (vedi infra).
54 Vedi G.M
AJONE, The rise of the Regulatory State in Europe, in West European Politics, 1994, 17, pp. 77-101; A.LA SPINA,G.MAJONE, Lo Stato regolatore, Il Mulino, Bologna, 2000; M. LOUGHLIN, C.SCOTT,The regulatory state, in P. DUNLEAVY, A. GAMBLE, R.HEGGERNAN,G. PEELE (eds.), Developments in British Politics 5, New York: St Martin’s Press, 1997, pp. 205-219; F. MCGOWAN, H. WALLACE, Towards a European Regulatory State, in Journal of European Public Policy, 1996, 3(1), p. 56 ss.
dispensatore di beni nei confronti della società, ma avente la funzione di
regolamentazione attraverso apposite autorità regolative
55, ovvero istituzioni
indipendenti dal ceto politico e dal ciclo elettorale, dotate di un mandato specifico
e di poteri incisivi previsti dalla legge su materie nettamente circoscritte e
composte da persone scelte per la loro elevata competenza tecnica ed
indipendenza
56. Lo Stato regolatore può dunque essere definito come quel
modello di Stato che, anziché essere deputato alla gestione diretta o alla creazione
ex novo di sfere di attività, «governa la società» privilegiando la statuizione
esterna di regole, secondo una certa visione dell’interesse pubblico e del benessere
collettivo
57. Le differenze strutturali tra Stato gestore e Stato regolatore come
modelli di intervento pubblico sono ascrivibili, in sostanza, ad una distinzione tra i
55 Per quanto riguarda questo profilo, il modello che si è affermato con riferimento alla
regolazione dei rischi negli Stati Uniti, che possono essere considerati i precursori dell’attività di regolazione del rischio in generale, è quello delle agenzie di regolazione (indipendent administrative agencies), i cui esempi più rilevanti sono la Food and Drug Administration (FDA), la Ennvironmental Protection Agency, l’Occupation Safety and Health Administration (OSHA), il National Institute for Ocuupational Safety and Health). Sul modello delle agenzie di regolazione, in particolare nel contesto dell’Unione, v. infra, cap. 2, par. 10.
56 Quanto a quest’ultimo aspetto, l’indipendenza delle agenzie regolative si manifesterebbe
sia con riferimento alla politica di partito, sia con riferimento agli interessi dei gruppi “regolati”; si tratta, infatti, di organismi che sono deliberatamente posti al di fuori del circuito della decisione politica e godono di una legittimazione di tipo diverso, fondata sull’expertise (infra, cap. 2), che non comporta tuttavia la titolarità da parte dell’esperto di una capacità di individuare in modo oggettivo, in quanto derivato dalla sua ‘tecnica’, le soluzioni regolative; cfr. A. LA SPINA,G. MAJONE, op. cit., p. 62. Sottolineano inoltre gli Autori, che la regolazione tramite agenzie regolative, pur caratterizzandosi come un “governo attraverso regole”, manifesta sensibili differenze rispetto al diritto legislativo dello Stato-nazione tipico degli ordinamenti di civil law, avvicinandosi, invece, all’attività del giudice di common law, soggetto politicamente “neutralizzato”, munito di potere normativo, che fissa regole osservando casi concreti e tenendo in considerazione le conseguenze della sua decisione sia nel caso concreto che in altri uguali (p. 65); ciò spiegherebbe perché gli Stati Uniti rappresentino il paese in cui, più di ogni altro, il fenomeno delle agenzie regolative sia diffuso e consolidato.
57 Ibidem, pp. 27-28. Così può essere configurato lo Stato regolatore se si prende a
riferimento la definizione di regolazione come guida, con mezzi amministrativi pubblici, di una attività privata secondo una regola rispondente all’interesse pubblico (vedi supra, nota n. 4). Precisano ulteriormente gli Autori che la regolazione non va limitata al momento in cui vengono sancite le regole, ma va invece intesa come un processo, in cui rileva, oltre al momento della formulazione delle regole, anche quello della loro concreta applicazione e, quindi, della concreta modificazione dei contesti d’azione dei destinatari. Ciò comporta che la vicenda della regolamentazione veda intervenire non solo organismi collocabili alla stregua di una netta distinzione tra legislazione e amministrazione, ma, appunto, anche e soprattutto autorità regolative indipendenti, che si atteggiano come uno degli strumenti caratteristici dello Stato regolatore.
Secondo F.G.SCOCA, Attività amministrativa, in Enciclopedia del diritto, Volume VI di aggiornamento, Giuffrè, Milano 2002, p. 75 ss., l’attività di regolazione «è diretta al corretto funzionamento di un determinato settore di attività (in principio) private di carattere economico o anche sociale, e caratterizzate da un alto livello di specializzazione (mercato, servizi pubblici, comunicazioni, assicurazioni, ecc.)»; un concetto, dunque, quello di regolazione, che diverge da quello di “governo di settore”, caratterizzato dallo svolgimento di attività di pianificazione, indirizzo o direzione. L’attività di regolazione, inoltre, in quanto diretta alla cura di un interesse consistente nel corretto funzionamento del settore, può definirsi come “neutrale”, non perseguendo interessi specifici né mirando essa ad obiettivi che possono essere fissati dall’organismo a capo della regolazione.
modi di esercizio del potere politico: redistribuzione, tassazione e spesa da un
lato, correzione dei fallimenti del mercato e rule-making, dall’altro
58.
La nascita dello Stato regolatore, e il crescente rilievo dell’attività di
regolazione, a scapito di un modello di Stato gestore, è conseguita alla necessità
dei governi europei, a partire dalla fine degli anni settanta, di modificare le loro
tradizionali modalità di governance a fronte di una sempre più stretta integrazione
economica e monetaria all’interno dell’Unione Europea e di una crescente
concorrenza internazionale, che si è manifestata non solo tra produttori di beni e
servizi, ma anche tra i diversi regimi di regolamentazione
59. Tale nuovo modello
di regolamentazione è riconducibile a diversi fenomeni, tra cui, in particolare, il
processo di privatizzazione di attività economiche e industriali prima in mano
pubblica
60e, come vedremo, la c.d. europeizzazione del policy-making, ovvero la
crescente interdipendenza di politiche nazionali e sovranazionali all’interno
dell’Unione Europea.
Il concetto di ‘Stato regolatore’ risulta strettamente connesso a quello di
‘società del rischio’ nella misura in cui sempre più spesso alla base dell’intervento
58
Secondo G.MAJONE, op. ult. loc. cit., p. 55, Stato gestore e Stato regolatore si atteggiano come forme necessariamente antitetiche di governance, poiché la prevalenza delle politiche di tassazione e spesa tipiche del primo modello, infatti, escluderebbe necessariamente dall’agenda quelle regolative, essendo la gestione diretta delle attività economiche incompatibile con la regolazione dall’esterno delle stesse. Si osservi, tuttavia, come nella pratica, all’interno delle odierne realtà statali, le due modalità di regolamentazione si trovino necessariamente ad operare in modo congiunto.
59 Vedi G.M
AJONE, From the Positive to the Regulatory State: Causes and Consequences of Changes in the Mode of Governance, in Journal of Public Policy, 1997, 17(2), pp. 139-167.
60
Ibidem, pp. 143-145. Cfr., inoltre, ID., The Agency Model: The Growth of Regulation and Regulatory Institutions in the European Union, EIPASCOPE 1997(3), pp. 1-6. Storicamente la proprietà-gestione pubblica ha rappresentato il principale strumento di regolazione economica in Europa. La gestione statale o locale si diffuse in particolar modo verso la fine dell’ultimo secolo con lo sviluppo dei servizi pubblici – gas, elettricità, acqua, trasporto pubblico, telegrafo e, più tardi, telefono, forniti in regime di monopolio e aventi un’assoluta importanza strategica. A fronte dell’iniziale convinzione che la proprietà pubblica avrebbe permesso allo Stato di progettare la struttura e le dinamiche di interi settori chiave dell’economia, proteggendo allo stesso tempo l’interesse pubblico rispetto ai potenti interessi privati, l’esperienza ha invece dimostrato la difficoltà dell’esercizio di un effettivo controllo pubblico su imprese e industrie. Il fallimento di questo modello di regolazione spiega il passaggio ad un alternativo metodo di controllo, che vede i servizi pubblici nelle mani dei privati pur essendo soggetti a regole previste e applicate da agencies. Accanto alla privatizzazione, tratto caratterizzante dello Stato regolatore, si assisterebbe al fenomeno della c.d. de-regulation. Al termine de-regulation vengono attribuiti, nell’uso corrente, significati diversi e in parte fra loro contradditori. Essa viene identificata, innanzitutto, con l’eliminazione di regole esistenti; in tale accezione la de-regulation viene inoltre spesso associata alla privatizzazione di cui si è detto sopra, ovvero all’apertura di attività prima soltanto statali alla concorrenza privata attraverso la modificazione in senso permissivo, e coinciderebbe con uno degli elementi di quest’ultima, ovvero la liberalizzazione dei mercati. In una seconda accezione, de-regulation è intesa come fissazione di regole aventi una diversa fonte, come nel caso della delegificazione, che consiste nel trasferimento della funzione normativa su materie od attività determinate, dalla sede legislativa statale ad altra sede e che sarebbe, dunque, una condicio sine qua non della regolamentazione. Infine con il termine de-regulation ci si riferisce alla fissazione di regole meno rigide, vincolanti o invadenti (in questo caso si parla, più specificamente, di re- regulation); si veda A. LA SPINA, G. MAJONE, op. cit., p. 127 ss.; cfr. altresì G. MAJONE, Regulating Europe, Routledge, London, 1996.
da parte dello Stato, nonché molto spesso delle autorità sovranazionali, vi è la
necessità di garantire un certo livello di protezione rispetto ai molteplici e continui
rischi che si ingenerano – o si scoprono (dangers)
61– all’interno della società; il
problema del rischio viene dunque affrontato in modo preponderante attraverso la
regolamentazione governativa.
La regolamentazione pubblica del rischio rappresenta di fatto uno dei
fondamentali strumenti con cui nella società moderna viene data risposta alle
aspettative dei cittadini e con cui si cerca di creare condizioni di crescita e
prosperità economiche garantendo allo stesso tempo determinati livelli di
sicurezza e protezione
62. Poiché nella società moderna molto spesso ci si rifiuta di
accettare che non esista un “rischio zero” e che spesso i rischi non possano essere
eliminati ma solo minimizzati, e poiché, inoltre, le aspettative riguardo
all’intervento pubblico sono aumentate sia sotto il profilo dell’ambito in cui
l’autorità pubblica è chiamata ad intervenire, sia sotto il profilo della qualità di
tale intervento, l’importanza di identificare e gestire in modo efficace i rischi è
divenuta ormai di estrema importanza e di particolare attualità
63. Il binomio
61
Il concetto di ‘risk’, come conseguenza ingenerata dalle nuove tecnologie, si distinguerebbe dal concetto di ‘danger’, che troverebbe invece la propria fonte nella natura; molti pericoli naturali sono stati eliminati all’interno delle società industrializzate, ma le nuove tecnologie che hanno reso ciò possibile hanno generato dei nuovi rischi, tra cui, rischi legati alle nuove tecnologie alimentari, all’industria farmaceutica, alle nuove tecniche in campo energetico. La società non è più, dunque, esposta come in passato solo a pericoli naturali, ma si trova di fronte invece ai rischi derivanti dalla tecnologia, e, dunque, dalle decisioni umane, il che rende i rischi (tecnologici) un oggetto fondamentale della regolamentazione da parte del diritto. I pericoli naturali, comunque, non sono stati ovviamente eliminati: ancora oggi le società dei paesi occidentali sono esposte a pericoli derivanti dalle forze della natura, come inondazioni o terremoti, o dai limiti delle stesse risorse naturali, come la carenza di risorse idriche. É stato osservato come, tuttavia, a causare tali fenomeni sia molto spesso lo stesso intervento umano, che si traduce, ad esempio, in un’alterazione del clima, o nell’uso irrazionale o, addirittura nell’abuso, delle risorse idriche: «It means that even nature and its dangers are closer to risks with human and technological sources than to its forces»; vedi J. ESTEVE PARDO, Privileged Domain of Risk Treatment: Risk and Health, in European Review of Public Law, 2003, 1, pp. 109-132.
Sulla distinzione tra ‘danger’ e ‘risk’, si vedano W.K.VISKUSI,T.GAYER, Risk – Safety at any Price?, in Regulation, 2002, 25, p. 54 ss.; C.CRANOR, Learning from the Law to Address Uncertainty in the Precautionary Principle, in Science and Engeneering Ethics, 2001, 7(3), pp. 313-326; C.HOOD,H.ROTHSTEIN, Risk Regulation under Pressure: Problem Setting or Blame Shifting?, in Administration and Society, 2001, 33(1), pp. 21 -53; J.APPLEGATE, Risk Assessment: Science, Law and Policy, in Natural Resources & Environment, 2000, 14, p. 219 ss; K.H.LADEUR, Coping with Uncertainty: Ecological Risks and the Proceduralization of Environmental Law, in G. TEUBNER, L. FARMER, D. MURPHY (eds.), Environmental Law and Ecological Responsability, 1997, p. 299 ss.
62
Vedi L. GRUSZCZYNSKI, The Role of Science in Risk Regulation under the SPS Agreement, EUI Working Papers, Law No. 2006/03, European University Institute, p. 3: «State intervention is generally justified by the need to minimize the level of risk exposure and distribute the costs of risk in socially acceptable ways. At the same time, it is also stressed that the market alone cannot properly address the problem of risk. In consequence, risk regulation is perceived as an indispensable instrument for dealing with risk».
63 L.A
LLIO L’analisi del rischio e il processo decisionale: una nuova frontiera per la better regulation?, in Astrid Rassegna, Rivista quindicinale sui problemi delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche, 2009, n. 104 (http://www.astrid-online.it/rassegna/Rassegna-28/04- 12-2009/35_RapportoQR_Allio_Risk_regulation_Rassegna.pdf).
rischio-sicurezza risulta dunque essere uno dei più importanti fattori di impulso
per la regolamentazione, specialmente nell’ambito dell’Unione Europea
64.
Il rischio, elemento centrale di quello che abbiamo visto essere il complesso
rapporto tra società, scienza e diritto, è divenuto pertanto un concetto chiave
nell’organizzazione dei regimi di regolamentazione e nell’attività di governo, che
sempre più spesso è orientata alla gestione dei rischi generati dal progresso
tecnologico, tanto che si parla di ‘risk-based policy-making’
65. La crescente
importanza dell’elemento ‘rischio’ e la conseguente diffusione del lessico legato a
tale termine, si è riscontrata a diversi livelli di giurisdizione, sia nazionale che
transnazionale, e in molte aree di intervento pubblico
66, ed è stata accompagnata
da una forte attenzione della dottrina rispetto a tali fenomeni.
Il concetto di rischio è stato oggetto di molteplici definizioni, ma è
solitamente considerato in un’accezione negativa
67. In generale, esso è definito
64
Cfr. F.SCHARPF, Negative and Positive Integration in the Political Economy of European Welfare States, in G.MARKS e al. (eds), Governance in the European Union, London: Sage, 1996; Royal Society, Risk: Analysis, Perception, Management. London: Royal society, 1992.
65 Cfr. H. R
OTHSTEIN, J. DOWNER, Risk in Policy-Making. Managing the Risks of Risk Governance, Report for the Department for environment, Food and Rural Affairs, King’s Centre for Risk Management, King’s College, London, October 2008, in particolare p. 6 ss.: “At its simplest, risk-based policy-making is the practice of targeting policy in proportion to potential threats to society, considering both their likelihood and consequences (…) risk-based policy making is increasingly emerging as a key organizing concept for governance within a wide range of policy domains and organizational settings (…)”. Per una riflessione sull’impiego di un approccio risk-based come strumento per migliorare la regolamentazione, si vedano, inoltre, B.M. HUTTER, The Attractions of Risk-Based Regulation: accounting for the emergence of risk ideas in regulation, ESRC, Centre for Analysis of Risk and Regulation, Discussion Paper no. 33, March 2005; R.BALDWIN,J.BLACK, Really Responsive Risk-Based Regulation, in Law & Policy, 2010, 32(2), pp. 181-213; OECD, Risk and Regulatory Policy: Improving the Governance of Risk, OECD Publishing, Parigi, 2010.
66
Come sottolineato da E. FISHER, Risk and Challenges for Administrative Law, in European Review of Public Law, 2003, 1, pp. 707-729, nel processo che ha portato il concetto di rischio a dominare un numero sempre maggiore di aree di public decision-making a diversi livelli di giurisdizione un ruolo importante è svolto dalla cultura giuridica di ciascun contesto: «risk is not a transplantable concept and any developments in regards to it must be understood within its particolar jurisdictional context. In particolar (…) the significance of developments in relation to risk varies from legal culture to legal culture and very much dependent on existing structures of administrative governance (…)» (p. 708).
67 Il rischio presenterebbe comunque una duplice accezione, positiva e negativa, che si
riflette peraltro nella vocazione del diritto a regolare allo stesso tempo i vantaggi (rischi positivi) e i pericoli (rischi negativi) derivanti dai prodotti e dalle attività oggetto di regolamentazione. Come rilevato da D.M. KAMMEN, D. M.HASSENZAHL, Shoud we risk it? Exploring Environmental, Health, and Tecnological Problem Solving, Princeton University Press, 2001, p. 3, « (…) technical approaches to evaluating probabilities and outcomes are not limited to negative impacts. Rather, they represent positive and negative changes in state». Gli organi chiamati all’attività di regolamentazione si trovano perciò spesso “bloccati” tra le due logiche sottese a tale attività: da un lato essi necessitano di consultare esperti scientifici circa i rischi ‘oggettivi’ potenzialmente derivanti da determinati prodotti o attività in settori particolarmente complessi dal punto di vista tecnico-scientifico; dall’altro, essi devono prendere in considerazione le ‘soggettive’ percezioni del rischio dei consumatori. La dimensione soggettiva del concetto di rischio si traduce, perciò, nella c.d. percezione del rischio, ossia quel processo cognitivo che orienta i comportamenti delle persone di fronte a decisioni che coinvolgono dei rischi potenziali e che può differire dalla valutazione oggettiva del rischio (v. P.SLOVIC, The Perception of Risk, cit. supra, nota 17).
come una conseguenza incerta e negativa di un evento o di un’attività in relazione
a qualcosa cui si attribuisce un determinato valore ed è quindi spesso
caratterizzato in termini di probabilità, ovvero si riferisce all’eventualità di un
pericolo, di una minaccia alla sicurezza o all’esistenza di una persona o di una
cosa che si può manifestare come conseguenza di eventi naturali o attività
umane
68. In linea con questa concezione si pongono le molteplici definizioni che
si ritrovano a livello normativo in ambito internazionale
69ed europeo
70, le quali,
in particolare, considerano e valutano il rischio nella sua componente futura e
potenziale
71; il rischio è la conseguenza possibile, più o meno prevedibile – ma
comunque sempre prevedibile in qualche misura
72– di un pericolo riguardante
68 Secondo J.B.W
IENER,M.D.ROGERS, Comparing Precaution in the US and Europe, in Journal of Risk Research, 2002, 5, pp. 317-349: «risk is the combination of the likelihood (probability) and the harm (adverse outcome, e.g. mortality, morbidity, ecological damage) resulting from exposure to an activity or substance (hazard)»; cfr., ancora, J. FRAIBER, M. J. TREBILCOCK, Risk Regulation: Technocratic and Democratic Tools for Regulatory Reform, in McGill Law Journal, 1997-1998, 43, pp. 835-888, in particolare p. 863: «Experts often judges risk solely in terms of expected number of fatalities or injuries likely to arise in the event the risk materialized in harm». Oltre che sotto una prospettiva tecnico-scientifica, cui sono appunto riconducibili le definizioni sopra indicate, il rischio sarebbe analizzabile sotto tre ulteriori