DOTTORATO DI RICERCA IN
“DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA”
CICLO XXIV
COORDINATORE Prof. Paolo Borghi
PROCESSI DECISIONALI SCIENCE-BASED NELL’UNIONE EUROPEA: IL RUOLO
DEGLI ORGANI TECNICO-SCIENTIFICI E DELLA COMMISSIONE NELLA
REGOLAZIONE DEL RISCHIO. IL PARADIGMA DEL DIRITTO ALIMENTARE
Settore Scientifico Disciplinare IUS/14
Dottorando
Tutore
Dott. Laura Salvi
Prof. Paolo Borghi
Introduzione ... 7
C
APITOLOP
RIMOD
IRITTO ES
CIENZA:
LA REGOLAZIONE DEL RISCHIO NELL’U
NIONE EUROPEA.
L
A PROBLEMATICA DELLA FOOD SAFETY NELL’U
NIONE EUROPEA COME PARADIGMA.
1.
La governance della scienza in una ‘società del rischio’ ... 13
2.
La scienza utilizzata a fini di regolazione: la co-produzione tra scienza e
diritto ... 23
3.
Dallo ‘Stato regolatore’ alla regolazione del rischio ... 30
4.
L’Unione Europea come regolatore: la EU risk regulation ... 40
5.
La crisi di credibilità nei confronti della regolazione nell’UE e la
partecipazione
come
base
per
una
‘plural
risk
governance’……… ... 52
6.
La regolazione della ‘scienza incerta’ ... 66
7.
L’evoluzione della regolazione dell’UE in materia alimentare: dalla
«genesi» all’approccio «globale» e «science based» ... 73
8.
La nuova disciplina della sicurezza alimentare secondo il regolamento
(CE) n. 178/2002: l’analisi del rischio ... 99
a)
La valutazione del rischio ... 119
b)
La gestione del rischio ... 124
c)
La comunicazione del rischio ... 133
9.
(Segue) La necessaria (…ma non sempre realizzabile) separazione tra
valutazione e gestione del rischio ... 138
C
APITOLOS
ECONDOL’
UTILIZZO DELLA SCIENZA:
NEL PROCESSO DI POLICY-
MAKING: IL SISTEMA DIS
CIENTIFIC ADVICE E LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO IN TEMA DI FOOD SAFETY NELL’U
NIONE EUROPEA1.
Il rapporto Science-Policy: la legittimazione dell’attività di
policy-making da parte dell’expertise tecnico-scientifica ... 147
2.
L’utilizzo dell’expertise nell’UE: il carattere ‘tecnocratico’ della
regolazione europea ... 166
3.
Il ruolo dell’expertise tecnico-scientifica nel processo decisionale
dell’UE: la Commissione europea al centro delle tensioni tra ‘deficit
democratico’ e ricerca di una legittimazione ... 175
4.
I comitati nell’Unione Europea: strumento di legittimazione o “insidia”
per la legittimità del processo decisionale? ... 190
5.
I comitati scientifici nell’UE: origini, fondamento giuridico, natura e
funzioni ... 200
6.
(Segue) Il risk assessment come presupposto della risk regulation:
obbligo di consultazione dei comitati scientifici? ... 208
7.
I comitati scientifici nel settore alimentare e della salute dei
consumatori ... 220
8.
La crisi BSE e le prime tappe della riforma del sistema di consulenza e
assistenza tecnica e scientifica nel settore alimentare ... 228
9.
(Segue) Verso un’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Il
riformato sistema di scientific advice tra istanze di qualità,
indipendenza e trasparenza ... 241
10.
Le agenzie di regolazione nell’Unione europea e la loro funzione di
legittimazione dei processi decisionali a base scientifica, tra
indipendenza e responsabilità ... 249
11.
L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare: un effettivo punto di
riferimento scientifico per la food safety nell’UE? ... 269
12.
L’EFSA quale fonte di legittimazione della EU Risk regulation nel
settore alimentare: l’indipendenza dell’Autorità in discussione ... 288
13.
L’emblematico ruolo dell’EFSA nella EU Regulation of GMOs: la
labilità dei confini tra risk assessment e risk management ... 303
C
APITOLO TERZOL
A GESTIONE DEL RISCHIO IN TEMA DI FOOD SAFETY NELL’U
NIONE EUROPEA.
1.
Amministrazione e rischio: dall’amministrazione dell’emergenza alla
gestione del rischio ... 319
2.
La gestione del rischio nel settore alimentare nell’Unione europea ... 330
3.
La Commissione europea come risk manager nell’esercizio dei poteri di
legislazione tecnica nel settore alimentare ... 339
4.
Il risk management attraverso l’esercizio di poteri amministrativi nel
5.
(Segue) La gestione delle crisi ... 368
6.
Oltre l’adozione delle misure d’emergenza: il risk management
attraverso l’attività di controllo nel settore alimentare ... 373
7.
Il principio di precauzione nel contesto della gestione del rischio, in
particolare nella discipina della sicurezza alimentare ... 382
8.
La discrezionalità nella gestione del rischio e il sindacato
giurisdizionale sulle misure science-based (cenni) ... 398
9.
(Segue) La gestione del rischio tra discrezionalità e base scientifica ... 413
Considerazioni conclusive ... 423
I
NTRODUZIONEI progressi tecnico-scientifici che si sono verificati nel corso del ventesimo
secolo hanno completamente cambiato il rapporto tra scienza e società. La scienza
è divenuta un elemento centrale della vita di tutti noi, migliorandone
significativamente la qualità, da un lato, ma creando numerosi e nuovi rischi,
dall’altro.
Se è vero che il fenomeno dello sviluppo scientifico e tecnologico può ormai
considerarsi un aspetto imprescindibile della vita quotidiana dei singoli individui,
è inevitabile che esso vada ad interessare anche il diritto, che per definizione è
chiamato a regolare gli aspetti del vivere comune. Conseguentemente, ad essere
oggetto di mutamento, negli ultimi decenni, è stata anche la visione che per lungo
tempo ha caratterizzato i rapporti tra scienza e diritto, ormai profondamente
interconnessi in sempre più numerosi ambiti, ove il diritto è chiamato ad
intervenire in funzione di regolazione dei rischi che si ingenerano nella società,
anche in conseguenza della stessa evoluzione tecnologica. Quello tra scienza, da
un lato, e diritto e politica, dall’altro, si presenta come un rapporto complesso e
articolato, nel quale la scienza si trova a fornire un fondamento alle scelte
politico-decisionali, che a loro volta definiscono il sapere scientifico valido.
La costante e rapida evoluzione tecnica fa sì che il diritto debba
perennemente “adeguarsi” alla scienza
1, la quale, per contro, trova nel
recepimento in una norma giuridica la sua “cristallizzazione”; si assiste, perciò, ad
una “procedimentalizzazione” delle interazioni tra la scienza, chiamata a valutare i
rischi, ed il diritto, che deve fornire risposte in merito alla gestione di tali rischi;
ciò si traduce, nella pratica, nell’utilizzo da parte di numerose normative di diritto
interno e europeo di espressioni quali «riscontri scientifici», «migliori conoscenze
scientifiche disponibili», «risultati della ricerca internazionale», attraverso cui
viene operato un rinvio ad una sorta di non meglio precisato ordinamento
extra-giuridico
2, rappresentato appunto dal mondo tecnico-scientifico.
Scienza e tecnologia assumono un ruolo sempre più rilevante per l'attuazione
delle politiche di governo, e ciò è vero, in modo particolare, nel contesto
dell'Unione europea, ove la componente tecnico-scientifica figura con frequenza e
peso sempre maggiori nel processo decisionale-politico diretto alla regolazione di
settori in cui il rischio assume un ruolo chiave. Accanto all’immanente e
inarrestabile innovazione tecnologica che caratterizza l’odierno contesto
socio-economico, con l’introduzione di nuovi prodotti e nuovi metodi di produzione,
1 Sottolinea come nel rapporto tra scienza e diritto ad assumere rilievo sia anche la mutevole
natura del diritto, chiamato appunto ad un continuo adattamento rispetto alle conoscenze ed acquisizioni scientifiche, R. FELDMAN, The role of science in law, Oxford, Oxford University Press, 2009.
2
Così A. BARONE, La certificazione nel diritto del rischio, in F. FRACCHIA,M.OCCHIENA (a cura di), I sistemi di qualificazione tra qualità e certezza, EGEA, Milano, 2006, pp. 41-52.
nonché l’accesso a nuove fonti di approvvigionamento, si manifesta, dunque,
un’innovazione
giuridica,
necessariamente
collegata
al
processo
di
globalizzazione; questa, nel contesto della regolazione, porta ad un moltiplicarsi
di soggetti regolatori – operanti, appunto, all’interno di uno «spazio giuridico
globale»
3– e all’amplificazione di fenomeni di conflitto grazie all’apertura dei
mercati e alla enormemente maggiore circolazione di prodotti e persone .
Queste dinamiche hanno trovato realizzazione, con particolare enfasi, nello
specifico settore della sicurezza alimentare a livello europeo, manifestandosi sotto
una duplice declinazione: non solo innovazione giuridica come reazione,
attraverso l’introduzione di nuove regole in risposta alle esigenze poste
dall’innovazione tecnologica, ma anche innovazione giuridica come azione,
mediante l’introduzione nell’ordinamento di moduli operativi, oggetti ed istituti
della regolazione innovativi rispetto a quelli tradizionalmente propri del diritto
alimentare nazionale dei diversi Stati membri
4. Molte delle normative in materia
di sicurezza alimentare di matrice europea ritroverebbero in sé questa componente
“reattiva”: dalla normativa in materia di organismi geneticamente modificati e
novel foods, alla stessa disciplina orizzontale fornita dal regolamento (CE) n.
178/2002, con cui, nel quadro di riforma dell’intero settore alimentare a seguito
della grave crisi BSE, si è dettata una normativa globale e science-based della
sicurezza alimentare. Accanto a questa “spinta innovatrice” che pervade la
disciplina dell’Unione europea in materia di sicurezza alimentare, tuttavia, si
ritroverebbe una forte tendenza di “protezione”, con il delinearsi di un sistema,
dunque, in perenne tensione tra istanze di sicurezza contro i rischi alimentari e i
concorrenti obiettivi della libera circolazione delle merci e dell’innovazione
tecnologica.
Nel quadro dell’attuale global risk governance, come modello di regolazione
dei rischi che include regolatori nazionali, sopranazionali e internazionali si
assiste, però, ad un’ulteriore tensione tra la necessità di fondare le scelte
politico-decisionali in termini scientifici e le istanze di partecipazione pubblica;
l’inclusione di cittadini e stakeholders nei processi decisionali assurgerebbe,
infatti, a strumento di allargamento della base di conoscenza dello stesso
decision-making e di rafforzamento della fiducia generale nei confronti di questo.
La problematicità del rapporto tra scienza e diritto si manifesta, pertanto, su
di un piano più ampio, non limitato al solo rapporto tra il mondo scientifico e
quello normativo; ci si troverebbe, cioè, di fronte non solamente ad un problema
di gestione giuridica, ma anche di gestione politica della relazione tra diritto e
scienza, poiché cresce il numero di soggetti, sociali o politico-istituzionali,
legittimati ad intervenire nella negoziazione degli interessi coinvolti nel processo
politico-decisionale e che entrano perciò in contatto con la conoscenza
scientifica
5.
3 S.C
ASSESE, Lo spazio giuridico globale, Bari, Laterza, 2003.
4 Mette in rilievo tali profili F. A
LBISINNI, Strumentario di diritto alimentare europeo, UTET giuridica, 2009, p. 49 ss.
5
Cfr. B.MONTANARI,in ID. (a cura di), Scienza Tecnolologia & Diritto (ST&D), Atti del Convegno, Catania, Villa Cerami, 30 maggio 2003, Milano, Giuffrè, 2006.
L’emersione di istanze di partecipazione ai processi decisionali collegati alle
implicazioni dello sviluppo tecnologico è frutto anche della condizione di
intrinseca incertezza che connota il sapere scientifico e che incide sulla capacità di
confrontarsi con (rectius: regolare) i rischi in grado di generare danni gravi e
irreversibili per l’ambiente e per la salute dell’uomo. Va infatti considerato come,
parallelamente al fenomeno per cui la componente tecnico-scientifica costituisce
sempre più il contenuto delle norme, si registra un aumento delle situazioni in cui
il diritto deve colmare le lacune conoscitive della scienza, i dati scientifici
risultando incerti, insufficienti o suscettibili di interpretazioni divergenti. Tale
incertezza ha fatto sì, appunto, che sia cresciuto, in generale, il livello di
attenzione dell’opinione pubblica su problematiche tecnico-scientifiche che sono
oggetto di regolazione; pur riconoscendosene l’importanza e gli indubbi benefici
all’interno di un qualsivoglia contesto socio-economico e politico-giuridico, la
scienza oggi non può più essere considerata come una “panacea”, risultando molte
problematiche suscettibili, piuttosto, di essere risolte (anche) attraverso la
considerazione di elementi diversi ed ulteriori rispetto a quelli scientifici
6.
In condizioni di incertezza, in cui non è possibile addivenire a conclusioni
certe in merito alla sussistenza di rischi, e la scienza rivela dunque tutti i suoi
limiti, a farsi strada è un approccio precauzionale-cautelare atto a legittimare un
intervento in funzione di tutela rispetto a rischi incerti o potenziali. Viene dunque
in rilievo, quale strumento di regolazione della “scienza incerta”, il principio di
precauzione come criterio cui ispirarsi nell’adozione di politiche e decisioni
normative in materia di sicurezza ambientale, sanitaria e alimentare e in cui
individuare il punto di compatibilità tra lo sviluppo tecnico-scientifico e la
regolazione di rischi associati a tale sviluppo, garantendo il primato di esigenze di
tutela dell’ambiente e della salute umana, animale e vegetale. È sulla base di tale
principio, dunque, che sempre più spesso i governi giustificano e legittimano
politiche e decisioni normative in materia di sicurezza ambientale, sanitaria o
alimentare; così nell’Unione europea, dove nel principio di precauzione viene
individuato un approccio alla gestione del rischio, caratterizzato, appunto, da una
sorta di anticipazione della soglia di tutela a fronte di uno scenario di
incertezza-tecnico scientifica.
Pur a fronte dell’ineluttabile incapacità della scienza di fornire certezze,
secondo una logica paradossale, è cresciuto l’affidamento degli organi
politico-decisionali nei confronti dell’expertise tecnico-scientifica al fine di fondare le
scelte e le azioni di regolazione del rischio e di giustificarne i risultati.
La fondamentale importanza dell’expertise scientifica nello scenario
politico-giuridico ha rappresentato una conseguenza della crescita, talora
impetuosa, della regolamentazione di molti settori in cui il dato scientifico risulta
essere un punto di riferimento fondamentale per gli apparati politico decisionali
ed un input chiave per i relativi processi di regolazione, che si trovano così a
trovare nelle risultanze tecnico-scientifiche fornite dagli esperti la loro fonte di
legittimazione. Una legittimazione “tecnocratica”, di cui i policy-makers sempre
6 European commission, Europeans, Science and Technology, Eurobarometer, NO. 55/2,
2001, p. 6. Cfr. S. JASANOFF, The Fifth Branch, Science Advisers as Policymakers, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1990.
più spesso necessitano, che si contrappone ad una legittimazione democratica,
“dal basso”, che deriva dal consenso-controllo del popolo elettore rispetto ai
processi di public policy. Una simile tensione tra istanze di controllo democratico
e esigenze legate all’affidamento dei processi politico-decisionali all’expertise
tecnico-scientifica è esemplificata in modo quanto mai significativo nel contesto
politico dell’Unione europea, la quale affonderebbe le sue radici in una filosofia
di tipo tecnocratico, caratterizzata dal rilievo riservato all’expertise quale fonte di
autorità dell’apparato politico al fine di garantire l’efficienza dei suoi outputs. Una
tensione che in termini di legittimazione si traduce nella dicotomia input-output
legitimacy, la quale finisce per costituire un tratto caratterizzante anche della risk
regulation a livello europeo. La regolazione del rischio, specialmente in un
ambito ormai cruciale quale quello della disciplina alimentare, sembra dunque
sottendere più ampie problematiche relative alla legittimazione dei processi
decisionali che si svolgono in seno all’Unione europea e, in definitiva, alla
legittimazione e all’accountability della stessa “costruzione europea”.
La presente ricerca si propone, pertanto, di “aprire una finestra” di indagine
sulla tematica relativa al rapporto scienza-diritto nell’Unione europea,
concentrando l’attenzione sulla declinazione di tale rapporto costituito dalla
regolazione giuridica del rischio. Alla luce dell’ampiezza e della complessità del
tema, tuttavia, appare necessario ed inevitabile circoscrivere il campo d’indagine:
in particolare, partendo dalla considerazione dei sopra accennati profili generali
relativi all’interazione tra attività tecnico-scientifica ed attività normativa e
all’analisi delle dinamiche di utilizzo del dato scientifico nei processi
politico-decisionali, si procederà a calare le questioni e le problematiche giuridiche ad esse
correlate nello specifico contesto del diritto alimentare dell’UE, utilizzandolo
come paradigma. Nel compiere tale disamina si seguirà un’impostazione che
rispecchia la fondamentale distinzione tra valutazione del rischio (risk
assessment) e gestione del rischio (risk management) quali momenti essenziali
(oltre al correlato momento di comunicazione del rischio – ma di rilievo
secondario ai fini del presente lavoro) in cui si snoda il processo di analisi del
rischio, il quale costituisce uno dei principi cardine su cui si fonda la disciplina
della sicurezza alimentare nell’Unione europea.
Dopo una ricognizione dei tratti essenziali e dell’evoluzione di tale
disciplina, l’attenzione tenderà dunque a concentrarsi sulla disamina del sistema
di consulenza e assistenza tecnica e scientifica operante nel settore della salute e
della tutela dei consumatori, così come concepito fin dalle origini del processo di
integrazione europea e come poi sviluppatosi nel corso dei decenni. In questo
quadro, ad assumere il ruolo di protagonista sono i comitati scientifici, quali
organi chiamati, attraverso l’espletamento della fondamentale funzione di
valutazione dei rischi, a fornire la base scientifica necessaria per l’attuazione delle
politiche del legislatore europeo in tale ambito. Tale sistema, seppur di grande
rilievo nelle dinamiche politiche dell’Unione europea, ha dimostrato di soffrire di
gravi inefficienze e carenze in occasione delle diversi crisi sanitarie che hanno
attraversato lo scenario europeo, prima fra tutte la crisi della BSE, in conseguenza
dei cui effetti si è proceduto, a partire dalla fine degli anni ’90, ad una profonda
riforma del sistema sfociata con l’istituzione dell’Autorità europea per la
sicurezza alimentare (EFSA).
La creazione dell’EFSA risponde allo specifico intento di garantire un
fondamento scientifico alle scelte e alle misure politico-decisionali adottate,
assicurando, nel contempo, che gli outputs scientifici da essa prodotti a tal fine
siano il frutto di un operato ispirato ai criteri di eccellenza, trasparenza e,
soprattutto, indipendenza rispetto agli stessi organi politici agenti in funzione di
gestione del rischio.
Come si avrà ampiamente modo di vedere, sul profilo relativo
all’indipendenza dell’Autorità rispetto alle influenze e pressioni provenienti dalla
sfera politica, ma anche del mondo economico-industriale, sembrerebbero potersi
rinvenire alcuni profili di criticità; essi non solo si porrebbero a dimostrazione del
carattere fortemente contestato della regolazione del settore alimentare, in cui
tendono ad incrociarsi (e a doversi quindi bilanciare e tutelare) valori della più
svariata natura, tra cui quello fondamentale della salute, ma parrebbero altresì
mettere in discussione la “tenuta”, sul piano pratico, dell’impostazione concepita
dal legislatore dell’Unione per la disciplina della sicurezza alimentare e fondata
sulla soprarichimata distinzione – talora solo teorica, appunto – tra risk
assessment e risk management.
Esemplare, sotto questo profilo, è la disciplina delle biotecnologie
agro-alimentari, oggetto di una sempre maggiore attenzione negli ultimi anni, sul piano
politico e giuridico – ma ancor prima sociale – non solo a livello europeo, ma
anche internazionale, nazionale e locale e alla quale, quindi, appare utile rivolgere
particolare attenzione. La regolamentazione degli organismi geneticamente
modificati nell’ambito dell’Unione europea sembra ben esemplificare le principali
problematiche che emergono nello scenario di risk regulation a livello europeo
con particolare riguardo alle dinamiche di interazione tra l’EFSA, operante in
veste di risk assessor, e la Commissione europea, quale principale risk manager a
livello europeo .
I dati emergenti dall’analisi di siffatte dinamiche aprono la strada ad un
ulteriore profilo di indagine, teso a focalizzarsi sull’attività di gestione dei rischi
come step successivo al momento di valutazione scientifica degli stessi e su di
esso fondato. Sulla scorta dei risultati del risk assessment, infatti, l’attività di
gestione si pone quale obiettivo quello del bilanciamento tra interessi
tendenzialmente contrapposti attraverso la determinazione del “rischio
accettabile”, come livello (minimo) di tutela – della salute in particolare – che i
regolatori decidono di perseguire. A venire in rilievo, a questo proposito, sono
diverse delle funzioni che la Commissione UE si trova a dover espletare nel
contesto regolatorio dell’Unione nel settore alimentare, e spazianti dalle
competenze legislative a quelle più strettamente amministrative; tale Istituzione,
in qualità di organo di impulso del processo nomativo e organo esecutivo
dell’Unione europea sembra incarnare in sé la stretta relazione tra scienza-tecnica
e diritto che caratterizza gli attuali scenari politico-istituzionali, dovendo essa, a
fronte della complessità tecnico-scientifica delle questioni oggetto di regolazione,
ricorrere in modo massiccio all’expertise proveniente dal mondo scientifico.
Rispetto alla Commissione si pone, per tali ragioni, la problematica relativa
alla legittimazione delle decisioni e delle scelte dalla stessa operate in qualità di
gestore del rischio, così come la correlata questione del margine di discrezionalità
da riconoscersi alla stessa nell’esercizio della sua funzione di gestore del rischio e
da inviduarsi nell’intersezione tra valutazione e bilanciamento di interessi
differenti, da un lato, e considerazione dei dati tecnico-scientifici, dall’altro.
Altrettanto importante è capire in che termini si atteggia la capacità degli
organi giurisdizionali dell’Unione di sindacare la legittimità delle scelte
regolatorie operate dai gestori del rischio; indagare sulle modalità con cui la
scienza si inserisce nell’orizzonte di riflessione degli organi giurisdizionali
dell’Unione, ossia quale peso essa acquisti nello sviluppo delle loro
argomentazioni, è utile soprattutto per capire dove individuare il giusto equilibrio
tra la discrezionalità del momento politico e la considerazione dei risultati
derivanti dalle valutazioni tecnico-scientifiche.
C
APITOLOP
RIMOD
IRITTO ES
CIENZA:
LA REGOLAZIONE DEL RISCHIO NELL’U
NIONE EUROPEA.
L
A PROBLEMATICA DELLA FOOD SAFETY COME PARADIGMA.
SOMMARIO: 1. La governance della scienza in una ‘società del rischio’. − 2. La scienza utilizzata a fini di regolazione: la co-produzione tra scienza e diritto. − 3. Dallo ‘Stato regolatore’ alla regolazione del rischio. – 4. L’Unione europea come regolatore: la EU risk regulation. – 5. La crisi di credibilità nei confronti della regolazione nell’UE e la partecipazione come base per una ‘plural risk governance’. − 6. La regolazione della scienza incerta. – 7. L’evoluzione della regolazione dell’UE in materia alimentare: dalla «genesi» all’approccio «globale» e «science-based». – 8. La nuova disciplina della sicurezza alimentare secondo il regolamento (CE) n. 178 del 2002: l’analisi del rischio. - a) La valutazione del rischio. - b) La gestione del rischio. - c) La comunicazione del rischio. – 9. (Segue) La necessaria (…ma non sempre realizzabile) separazione tra valutazione e gestione del rischio.
1.
La governance della scienza in una ‘società del rischio’
L’analisi del ruolo che la scienza svolge all’interno della società è stato da
sempre oggetto di innumerevoli riflessioni e dibattiti
1.
Fino ad un secolo fa la scienza aveva una limitata incidenza nella vita delle
persone. Gli scienziati erano visti come fidati esperti, i quali tuttavia non erano
oggetto dell’interesse della maggioranza delle persone comuni, che molto
raramente avevano modo di entrare in contatto con la scienza. A partire dalla
prima metà del ventesimo secolo il ruolo della scienza è stato oggetto di un
progressivo mutamento, che l’esperienza della seconda guerra mondiale ha
accelerato in modo clamoroso; le numerose scoperte scientifiche e gli esperimenti
medici sugli esseri umani condotti durante il conflitto stimolarono discussioni
1 Lo stesso significato del termine ‘scienza’ è oggetto di molteplici definizioni. La scienza,
ovvero la conoscenza scientifica, potrebbe essere definita come una conoscenza che permette alla società di intervenire e modificare ciò che la circonda, funzionando dunque come eccellente “macchina di risoluzione di problemi”; si veda, K.R.POPPER, The logic of scientific discovery, New York: Basic Book, 1959; European Commission, Global Governance of Science, Report of the Expert Group on Global Governance of Science to the Science, Economy and Society Directorate, Directorate-General for Research, 2009; cfr., inoltre, M.BOLADERAS, The interaction between Law, Science and Society, in A.SANTOSUOSSO,G.GENNARI,S.GARAGNA,M.ZUCCOTTI, C.A.REDI (eds.), Science, Law and the Courts in Europe, Pavia, Collegio Ghislieri, 2004, pp. 95-100, che individua differenti significati di scienza: in una prima accezione la scienza starebbe ad indicare «the theoretical results of empirical research, normally in form of “scientific laws”»; il secondo significato indicherebbe, invece, la «scientists’ community» (vi sono poi altre accezioni, riportate da questo testo, tuttavia di minor rilievo).
sulla responsabilità etica degli scienziati e segnarono un punto di partenza verso il
superamento di una visione della scienza come qualcosa di “puro” e “value free”.
I decenni successivi al conflitto mondiale, in cui andava prorompendo la “guerra
fredda” tra Stati Uniti e Unione Sovietica e tra i rispettivi “blocchi” geopolitici,
furono così caratterizzati da una forte attenzione nei confronti della scienza come
importante strumento e arma di guerra; conseguenza delle numerose scoperte
effettuate in questi decenni per finalità militari, infatti, è stato uno sviluppo
generale e significativo della tecnologia, che è entrata prepotentemente nella vita
quotidiana della società, trasformandola radicalmente. La scienza, dunque, è
progressivamente passata da una posizione di oscurità ad una posizione di centrale
rilievo rispetto alla società.
È così che, dal secondo dopoguerra in poi, filosofia e sociologia della
scienza hanno progressivamente insistito sul carattere non neutrale della
conoscenza scientifica, dovuto all’incertezza oggettiva e alle dimensioni
valutative che caratterizzano il sapere scientifico
2, e sulla connotazione sociale
della comunità scientifica, mettendo in discussione la visione “positivista” della
scienza che fino ad allora era prevalsa
3. L’idea “positivista” ha da sempre
individuato nello statuto della scienza quei caratteri di neutralità e oggettività che
sembravano per lo più assenti nei sistemi politici e giuridici. Tale concezione è
stata accompagnata anche da una sostanziale astoricità e astrattezza nel modo di
guardare sia alla scienza che ai sistemi di regolazione
4, considerando la scienza
come un referente metodologico non eguagliabile e come un’entità separata
all’interno della società
5. L’immagine della comunità scientifica era inoltre legata
all’ideale della “repubblica della scienza”, secondo il quale gli scienziati
costituiscono una perfetta comunità di pari grado (peers), che si autoregola
attraverso conoscenze condivise e liberamente discusse, in assenza di meccanismi
2
Sulla problematica dell’incertezza del sapere scientifico, vedi infra, par. 6.
3 Tra i fautori di questo atteggiamento mirante al superamento della concezione positivista
della scienza, vi sono T. KUHN, The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press, 1970; D.BLOOR, La dimensione sociale della conoscenza, Raffaello Cortina, Milano, 1994; B.LATOUR, La scienza in azione, Einaudi, Torino 1998.
4 Diverse sono le possibili definizioni di regolazione (su cui comunque, più nello specifico,
v. infra, par. 3). In un’accezione latissima, per regolazione si può intendere l’adozione di misure, idonee a produrre conseguenze tangibili, previste e volute su una situazione reale prescelta dal regolatore, così che tale situazione tenda a trasformarsi, per effetto dell’applicazione delle suddette misure, in una diversa situazione dotata di nuove caratteristiche che rispondono alla volontà di che è intervenuto. Sempre in senso lato, può parlarsi di regolazione quando si ha una «restrizione intenzionale dell’ambito di scelta nell’attività di un soggetto, operata da un’entità non direttamente parte in causa o coinvolta in quella attività»; secondo una prospettiva più specifica, invece, «la regolazione è la guida, con mezzi amministrativi pubblici (public administrative policing) di una attività privata secondo una regola statuita nell’interesse pubblico», o, ancora, «un controllo prolungato e focalizzato, esercitato da una agency pubblica, su attività cui una comunità attribuisce rilevanza sociale»; v.,B.M.MITNICK, The Political Economy of Regulation, New York, Columbia University Press, 1980; L. HANCHER, M. MORAN, Organizing Regulatory Space, in ID. (eds.), Capitalism, Culture and Economic Regulation, Oxford, Clarendon Press, 1989; P. SELZNICK, Focusing Organizational Research on Regulation, in R.G.NOLL (ed.), Regulatory Policy and the Social Sciences, Berkeley, University of California Press, 1985.
5
Cfr., M.TALLACCHINI, Stato di scienza? Tecnoscienza, policy e diritto, in Federalismi.it, 16/2005.
coercitivi ma soprattutto di forme di autorità diverse dalla stessa conoscenza, e
rispetto al cui coordinamento ogni tentativo di interferenza avrebbe rappresentato
un pericolo per il progresso scientifico
6. Una comunità, dunque, caratterizzata da
una democraticità intrinseca, e che si imporrebbe alla società civile per
l’autorevolezza del proprio sapere
7.
Più di recente ci si è invece spinti verso una nuova concezione dei rapporti
tra scienza e società. Alla luce degli sviluppi della conoscenza e della tecnologia,
dei cambiamenti sociali e dell’emersione di nuovi bisogni e di importanti interessi
economici, finanziari e commerciali, gli esperti scientifici, le autorità politiche, gli
operatori economici e industriali e la società sono stati chiamati ad instaurare una
nuova relazione, sulla base di quello che è stato identificato come un nuovo
“contratto sociale” tra scienza e società
8.
Oggigiorno, infatti, si registra una capillare presenza della scienza nella vita
quotidiana. La società moderna, per via delle sempre crescenti interazioni fra
fenomeni naturali e attività umane, si trova a dover affrontare nuovi rischi, che
sono frutto della modernizzazione derivante soprattutto dallo sviluppo della
scienza e della tecnologia
9; scienza e modernità sono divenute inseparabili, e la
6 Cfr. M.P
OLANYI, The Republic of Science, “Minerva”, 1962, I, pp. 54-73. L’autore parla di una “mano invisibile” che coordinerebbe le varie singole iniziative all’interno della comunità scientifica al fine di raggiungere il massimo progresso scientifico, facendo un esplicito parallelismo con la metafora della “mano invisibile” invocata dall’economista e filosofo Adam Smith per descrivere i meccanismi economici che regolano l’economia di mercato in modo tale da garantire che il comportamento dei singoli, teso alla ricerca della massima soddisfazione individuale, conduca al benessere della società. Cfr., inoltre, K.R. MERTON, Science and Democratic Social Structure, in Social Theory and Social Structure, New York, 1968, pp. 604-615; Y.EZRAHI, The Descent of Icarus, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1990.
7 M.P
OLANYI , op. cit., p. 58: «(…) the authority of scientific opinions remains essentially mutual, it is established between scientists, not above them. Scientists exercise their authority over each other. Admittedly, the body of scientists, as a whole, does uphold the authority of science over the public. It controls thereby also the process by which young men are trained to become members of the scientific profession. But once the novice has reached the grade of an independent scientist, there is no longer any superior above him. His submission to scientific opinion is entailed now in his joining a chain of mutual appreciations, within which he is called upon to bear his equal share of responsbility for the authority to which he submits». Tratto caratterizzante di questa immagine idealizzata della scienza sono validità ed eticità della conoscenza scientifica, indicate come un binomio indissolubile che esime la scienza dalle garanzie giuridico-politiche previste per altri poteri. Per indicare la comunità scientifica si è utilizzata, in questo senso, l’espressione “società della scienza”, per indicare quell’insieme di attività specialistiche derivanti dalle interazione tra gli esperti, considerati custodi di una “authoritative knowledge”, e caratterizzata, appunto, da autonomia, auto-regolamentazione, validità delle conoscenze e moralità dei soggetti coinvolti nel metodo decisionale. Vedi European Commission, Report Global Governance of Science, cit., p. 18.
8 European Commission, Report Global Governance of Science, cit., p. 12: «The
distinctively modern social context is constituted by what is often termed a ‘social contract’ for science (…), this is typically based in the linear model in which science is left to its own devices in the belief that it will then straightforwardly deliver social benefits. But this is a moribund social contract. A combination of internal reflection among scientists and external actions by civil society and states are reshaping the governance landscape».
9 Si è utilizzata, per descrivere tale fenomeno, l’espressione di “rischi da ignoto
tecnologico”; v. F.STELLA, Il rischio da ignoto tecnologico e il mito delle discipline, in Quaderni dalla Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 5, Milano, 2002.
produzione di conoscenza è divenuta, ancor più che in passato, una attività
“sociale”
10. Si è perciò parlato di una “società del rischio” (Risikogesellschaft)
11,
in quanto si tratta di una società impegnata sempre di più a dibattere, prevenire e
gestire rischi che essa stessa ha prodotto
12, cercando di garantire salute e sicurezza
attraverso l’eliminazione o la riduzione dell’esposizione degli stessi cittadini ad
attività o sostanze rischiose
13.
Parallelamente a questa produzione continua di rischi dovuta agli sviluppi
della tecnologia e alla globalizzazione degli scambi, vi sarebbe una
consapevolezza e una percezione da parte della stessa società moderna della
dimensione, appunto, globale di tali rischi
14. Tale percezione riguarderebbe tre
10 Vedi H. N
OWOTNY,P. SCOTT,M. GIBBONS, Re-Thinking Science. Knowledge and the Public in an Age of Uncertainty, Polity Press, London, 2001. Sulle interazioni tra scienza e società e, in particolare, sulla rilevanza del “sociale” nelle attività scientifiche e di ricerca, si veda inoltre, M. GIBBONS, C. LIMOGES, H. NOWOTNY, S. SCHWARTZMAN, P. SCOTT, M. TROW, The New Production of Knowledge: The Dynamics of Science and Research in Contemporary Societies, London: Sage, 1994.
11 Si veda U.B
ECK, La società del rischio: verso una seconda modernità, traduzione italiana a cura di Walter Privitera, Roma, Carocci, 2000. Precisa A.GIDDENS, Risk and Responsability, in Modern Law Review, 62, 1992, pp. 1-10, in particolare p. 3: «A risk society is a society where we increasingly live on a high technological frontier which absolutely no one completely understands and which generates a diversity of possible futures». Tale caratteristica della società moderna è stata oggetto di diverse qualificazioni; si è parlato anche di “civilizzazione del rischio” (P. LAGADEC, La civilisation du risque, Paris, Ed. du sevil, 1981) e di “società dei rischi” per sottolineare la complessità e la moltitudine dei nuovi rischi contemporanei, alimentari, sanitari, ambientali o tecnologici (S. MAHIEU, La régulation des risques technologiques en droit communautaire et en droit international, Thèse de doctorat UCL-Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, 2006).
12 In questo senso, i rischi tecnologici contemporanei sarebbero ‘endogeni’, perché generati,
appunto, dalla stessa società moderna industrializzata. In questa prospettiva, c’è chi distingue tra ‘external risk’, ossia «risk of events that may strike individuals unexpectedly (from the outside, as it were) but that happen regularly enough and often enough in a whole population of people to be broadly predictable, and so insurable (…)» e ‘manufactured risk’, ovvero «risk created by the very progression of human development, especially by the progression of science and technology. Manufactured risk refers to new risk environments for which history provides us with very little previous experience (…)»; cfr. A.GIDDENS,op. ult. loc. cit.
Per indicare i rischi derivanti dal “normale” quotidiano funzionamento della società e dalle interazioni di quest’ultima con scienza e tecnologia si è inoltre parlato di pervasive risks, per distinguerli dai rischi derivanti, invece, da eventi straordinari e a cui la società non si trova di fronte in maniera costante; cfr. M.WATERSTONE, Risk and Society: The Interaction of Science, Technology and Public Policy, Kluwer Academic Publishers, 1992, pp. 2-3.
13 Si tratterebbe di un’esposizione “ascrittiva” ai rischi, che i cittadini e i consumatori
assumono involontariamente; tali rischi «in quanto invisibili, lasciano ben pochi spazi di decisione, almeno al consumatore. Sono prodotti aggiuntivi che vengono ingeriti e respirati assieme ad altre cose, passeggeri clandestini del consumo di tutti i giorni (…). A differenza delle ricchezze, che esercitano un’attrazione, ma possono essere anche repellenti e rispetto alle quali la scelta, l’acquisto, la decisione sono sempre necessari e possibili, i rischi e i danneggiamenti si insinuano ovunque silenziosamente e indipendentemente dalla libera scelta. In questo senso fanno emergere un nuovo tipo di “ascrittività del rischio” tipico della nostra civiltà»; cfr. U.BECK, La società del rischio, cit., pp. 53-54.
14 Come sottolinea U. B
ECK, op. ult. loc. cit., p. 36, la tendenza immanente alla globalizzazione fa sì che alla produzione industriale si affianchi un’universalizzazione dei rischi per la salute e l’ambiente indipendentemente dai luoghi della loro produzione, con una
diversi aspetti: la de-localizzazione del rischio, in quanto le sue cause e
conseguenze non sono confinate ad una località o spazio geografico, ma sono
onnipresenti; l’incalcolabilità del rischio, essendo esso in linea di massima non
calcolabile ma ‘ipotetico’, e infine, la non-compensabilità del rischio, andando la
logica dell’indennizzo ad essere sostituita dal principio di precauzione attraverso
la previsione e prevenzione di rischi la cui esistenza non sia stata pienamente
dimostrata
15.
La relazione tra scienza e società moderna, peraltro, è vista come una
relazione di tipo paradossale. Da un lato, la scienza e la tecnologia, come si è
detto, sono al centro dell’economia e della società, e hanno entrambe un crescente
effetto positivo nella vita delle persone. Dall’altro, i progressi scientifici e
tecnologici sono guardati con sempre maggiore scetticismo, se non addirittura
ostilità
16.
Parte della sfiducia che il pubblico dimostra nei confronti degli esperti si
ricollega alla limitata possibilità di accedere alle informazioni, di trovare visibilità
e trasparenza nelle procedure di scelta degli esperti nonché, in definitiva, di
controllare le decisioni tecnico-scientifiche. Sebbene, infatti, sia migliorata in
generale la possibilità di accesso ad una molteplicità di fonti informative anche di
carattere specialistico, la maggior parte dei dati scientifici su cui gli esperti basano
i propri giudizi non risultano accessibili ai cittadini, che dovrebbero così affidarsi
ad un tacito rapporto fiduciario nei confronti del sapere scientifico
17.
conseguente manifestazione di essi sia in modo specifico e localizzato che in modo non specifico e universale; tali rischi sarebbero perciò definibili “glocali”. Si è parlato anche di “rischi collettivi”, intesi come una minaccia a beni collettivi, come ad esempio l’ambiente, o ad ampie categorie di individui. Cfr. O.HASSID, La gestion des risques, Paris. Ed. Dunod, 2005, p. 17.
15 Per questi rilievi si veda U.B
ECK, Living in a world risk society, a cura di Carlo Boris Menghi, Giappichelli Editore, Torino, 2008. La de-localizzazione dei rischi, in particolare, opera a tre livelli: spaziale, in quanto i nuovi rischi non rispettano gli Stati-nazione o qualsiasi altro confine (come ad esempio i mutamenti climatici); temporale, poiché tali nuovi rischi hanno un lungo periodo di latenza e ciò rende inattendibili la determinazione e la delimitazione del loro effetto nel tempo; sociale, perché la complessità dei problemi e la concatenazione degli effetti rendono inattendibili anche la determinazione delle cause e delle conseguenze degli eventi.
16 I primi studi sulla percezione del rischio, volti a comprendere perché la società esprimesse
preoccupazioni e resistenze nei confronti della conoscenza scientifica, cominciarono ad essere condotti negli anni settanta. Per un lungo periodo, tuttavia, gli studi sugli aspetti sociologici e culturali del rischio furono rivolti per lo più a promuovere l’accettazione di determinate tecnologie da parte della società. Ebbero così origine numerosi programmi volti a favorire il public understanding of science (cfr., ad es., Royal Society, The Public Understanding of Science, London, 1985), con l’unico intento, tuttavia, di colmare il deficit di conoscenza di un pubblico considerato privo di quel tipo di conoscenza a disposizione, invece, degli esperti scientifici. Successivamente i governi hanno cercato di sviluppare meccanismi di coinvolgimento e inclusione nel dibattito relativo ai rischi di attori sociali (stakeholders) tradizionalmente da esso esclusi (Vedi European Commission, Global governance of Science, cit., p. 26). Cfr., con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto, European Commission, Challenging Futures of Science in Society. Emerging Trend and cutting-edge issues, Report of the MASIS Expert Group, Chair: K. Siune, Rapporteur: E. Markus, 2009, p. 19 ss.
17 Sono così diventati centrali, nell’ambito di numerosi studi concernenti la percezione del
sapere scientifico che informa le politiche pubbliche da parte dei cittadini, i termini trust e confidence. Secondo la definizione che si ritrova nel progetto THE TRUSTNET Framework: A New Perspective on Risk Governance, TRUSTNET Framework for Risk governance, September
L’emergere di rischi e incertezze collegati all’implementazione sociale della
scienza ha portato ad una duplice esigenza: da un lato, la necessità di estendere la
consultazione con gli scienziati allorché emergano differenti opinioni circa il
possibile verificarsi di eventi potenzialmente dannosi
18e dall’altro, un maggiore
coinvolgimento dei cittadini nelle misure science-based, cioè misure a base
scientifica che tocchino però direttamente la società civile.
I cambiamenti avvenuti, e tuttora in corso, nella relazione fra scienza e
società hanno condotto, dunque, all’esigenza di superare la visione ispirata alla
separazione dicotomica fra le stesse: la scienza non è un qualcosa di separato
rispetto alla società, ma semmai una parte della stessa, un’impresa socialmente
connotata e circoscritta entro una determinata realtà storica politica ed economica
che contribuisce a definire e da cui, al contempo, è condizionata
19. È così,
1999, «confidence is the everyday relation between a person and an organization or a system. It is the usual attitude that we adopt for instance when we take a plane or when we put a letter in the post, or when we go to a restaurant. Confidence is a rather passive situation where one individual is familiar enough with a system not to have to worry about it. Confidence characterizes a situation where we are not involved in the problem of risk (…), Social Trust is a relationship between individuals within an existing or emerging group. It takes place in situations where individuals depend on people they trust to achieve important projects entailing significant risks for them.(…). Social trust entails the risk of the other person. We trust someone because we feel that he is in some way similar to us (…). Social trust implies a personal choice and entails a risk resulting from the freedom of the trusted» (pp. 30-31); questi due concetti, seppur distinti tra loro, sarebbero complementari e reciprocamente interdipendenti. Diverse sono poi le definizioni che si ritrovano in dottrina. Secondo A.GIDDENS, The consequences of Modernity, Cambridge: Polity Press, 1990, p. 34, il termine ‘trust’ indicherebbe una fiducia significativa nell’attendibilità di una persona o di un sistema con riferimento ad un dato insieme di esiti o eventi. Ancora, ‘trust’, secondo R.A. LOFSTED, Risk Management in Post-Trust Societies, Hampshire: Palgrave Macmillan, 2005, p. 6, starebbe ad indicare «acceptance of the constituents without questioning the rationale behind them».
Con riferimento alla tematica della percezione del rischio, si vedano, fra gli altri, P.SLOVIC, The Perception of Risk, London, Earthscan, 2000; N.PIDGEON,R.E.KASPERSON,P.SLOVIC,The Social Amplification of Risk, Cambridge, Cambridge University Press, 2003. Cfr., inoltre, A. IRWIN,B. WYNNE (eds.), Misunderstanding science? The public reconstruction of science and technology, Cambridge University Press, Cambridge 1996; P.JENSEN, Public Trust in Scientific Informations, IPTS, 14.9.2000, http://governance.jrc.it/publicperception/ipts.pdf, il quale sottolinea come le crescenti resistenze dei cittadini nell’affidarsi alle scelte degli esperti scientifici non possono considerarsi come meramente irrazionali, poiché connesse a considerazioni molteplici, ragionevoli e concrete, ovvero fondate sui fatti e le informazioni disponibili.
18
European Commission, White Paper on European governance, Work area 1 Broadening and enriching the public debate on European matters, Report of the Working Group
“Democratising Expertise and establishing Scientific Reference Systems” (Group 1b) Pilot: R. Gerold, Rapporteur: A. Liberatore, Maggio 2001, version final du 2/7/01, (http://ec.europa.eu/governance/areas/group2/report_en.pdf).
19 Cfr. B.D
E MARCHI, Rischio, scienziati e società: nuovi scenari di governance, in Notizie di Politeia, XIX, 70, 2003, pp. 37-48. Secondo B.LATOUR, La scienza in azione, cit., scienza e società sono inseparabili, avendo esse lo stesso fondamento. Nella società tradizionali la scienza era un qualcosa di “esterno”: da un lato, la società era ostile nei confronti dei valori e dei metodi scientifici e, dall’altro lato, gli esperti scientifici si consideravano chiamati a “plasmare” la società conformemente ai principi “moderni” da loro stessi determinati; nella società contemporanea, invece, la scienza è “interna”: scienza e ricerca non rappresentano progetti estremi o autoritativi, ma, anzi, proprio attraverso la creazione continua di nuova conoscenza, esse si caricano via via di elementi nuovi di incertezza e instabilità. Come sottolineato, tuttavia, da H.NOWTONY,P.SCOTT,
peraltro, che tra gli anni settanta e ottanta, sulla scia del crescente rilievo assunto
da tutte le tematiche connesse a scienza e tecnologia e al loro rapporto con la
società, sono nati oltreoceano gli Science and Technology Studies (S&TS), un
variegato complesso di studi e ricerche interdisciplinari volti ad analizzare il
funzionamento della scienza che entra nel linguaggio politico e nelle norme
giuridiche, e a comprendere, più nello specifico, le dinamiche concrete che
integrano scienza e pratiche sociali e le modalità con cui le asserzioni provenienti
dal mondo scientifico diventano parte del sapere condiviso della società
20.
I cambiamenti intervenuti nel rapporto tra scienza e società hanno inoltre
lanciato una sfida ai concetti di Stato di diritto, democrazia e cittadinanza. I diritti
di cui i cittadini “naturalmente” godono in uno stato liberal-democratico, infatti,
non riguardano il profilo delle garanzie nei confronti del sapere-potere della
scienza, sebbene questo costituisca ormai buona parte delle scelte giuridiche e di
governo; tutti gli aspetti correlati al sapere scientifico, quali la nomina degli
esperti, l’istituzione e il funzionamento di comitati scientifici e tecnici, così come
lo stesso sapere scientifico, proprio perché considerati espressione di un metodo
oggettivo e certo, non sono mai stati considerati rilevanti dal punto di vista delle
garanzie che lo Stato offre ai propri cittadini. Tali garanzie si appalesano, invece,
sempre più necessarie in uno Stato che si avvia a diventare uno “Stato di
scienza”
21o, ancor di più, uno “Stato epistemico”
22, in cui le nuove modalità di
governo della scienza siano integrate nella nozione di Stato di diritto.
M.GIBBONS, Re-Thinking Science. Knowledge and the Public in an Age of Uncertainty, cit., pp. 2-3, pur a fronte di questa evoluzione dei rapporti, molta più attenzione verrebbe comunque rivolta alla scienza piuttosto che alla società, in una relazione vista sempre, dunque, da una prospettiva dominante, che è quella della scientification of society: «It is more unusual to view this changed relationship from the perspective of society. The transformation of society is regarded as predominantly shaped by scientific and technical change. In other words the socialization of science has been contingent on the scientification of society. There are now extended scientific communities and more urgent socio-scientific controversies because society as a whole has been permeated by science, although it is accepted that in the process the culture of science – autonomist, reductive and self-referential – has been transformed into something different (…). The ‘social’ has been absorbed into the ‘scientific’ (…)».
20 Per una ricostruzione storica e teorica degli S&TS, si veda, fra gli altri, S.J
ASANOFF,G. MARKLE, J. PETERSENT, T. PINCH (eds.), Handbook of Science and Technology Studies, Sage Publications, Thousand Oaks, Ca., 1995.
21
Cfr. M.TALLACCHINI, Stato di scienza? Tecnoscienza, policy e diritto, cit., p. 2.
22 Cfr. M.T
ALLACCHINI, The Epistemic State. The Legal Regulation of Science, in C.M. MAZZONI (ed.), Ethics of Biological Research, Kluwer, Dordrecht, 2002, pp. 79-96, in particolare pp. 85-86. L’Autrice parla in realtà di ‘epistemic state’ per indicare una nuova concezione del sistema legale e dello Stato, secondo cui il diritto determina la conoscenza scientifica valida, ma che rappresenterebbe un’ulteriore evoluzione rispetto al passaggio da ‘administrative state’ a ‘scientific state’: in quest’ultimo, infatti, la scienza rimarrebbe comunque un’entità separata rispetto al diritto, che si troverebbe a recepire la prima passivamente in una situazione di non reciprocità: «(…) the most recent interactions between law and science indicate that a much closer link now exists between the two sectors. In this sense, questions of scientific uncertainty are decisive, since decisions taken in conditions of ignorance, (…) make law the place in which particular facts and values are chosen and rendered authoritative. (…) law has to be acquainted with and screen the language of science, performing these operations on the basis of a conception of scientific knowledge (…)».
Tali evoluzioni hanno portato all’affermarsi del modello concettuale di
governance dei rischi (risk governance)
23che postula l’inclusione del pubblico nel
dibattito sulla scienza e sui rischi, nonché sul rapporto tra scienza e diritto,
attraverso forme di partecipazione democratica. Come destinataria del progresso
scientifico-tecnologico, la società rivestirebbe una posizione essenziale di partner
e co-decisore rispetto alle scelte di politica della scienza. In questo senso, a livello
europeo nel 2001 la Commissione ha pubblicato il Libro Bianco sulla Governance
europea
24, che mira ad un approfondimento della modalità di partecipazione
23 L’espressione risk governance è ampiamente utilizzata in dottrina così come in documenti
ufficiali a livello europeo e internazionale, tra cui si veda, in particolare, International Risk Governance Council, White paper on risk governance. Towards an integrative approach, Geneva, September 2005, secondo cui il concetto di risk governance «Includes the totality of actors, rules, conventions, processes, and mechanisms concerned with how relevant risk information is collected, analysed and communicated and management decisions are taken. Encompassing the combined risk-relevant decisions and actions of both governmental and private actors, risk governance is of particular importance in, but not restricted to, situations where there is no single authority to take a binding risk management decision but where instead the nature of the risk requires the collaboration and co-ordination between a range of different stakeholders. Risk governance however not only includes a multifaceted, multiactor risk process but also calls for the consideration of contextual factors such as institutional arrangements (e.g. the regulatory and legal framework that determines the relationship, roles and responsibilities of the actors and co-ordination mechanisms such as markets, incentives or selfimposed norms) and political culture including different perceptions of risk».
Secondo O. RENN, Risk Governance: Coping with Uncertainty in a Complex World, Earthscan, London, 2008, p. 8 «‘Risk governance’ involves the ‘translation’ of the substance and core principles of governance to the context of risk and risk-related decision-making. It includes, but also extend beyond, the three conventionally recognized elements of risk analysis (risk assessment, risk management and risk communication). It requires consideration of the legal, institutional, social and economic contexts in which a risk is evaluated, and involvement of the actors and stakeholders who represent them. (…) Risk governance, however, not only includes a multifaceted, multi-actor risk process but also calls for the consideration of contextual factors such as institutional arrangements (e.g. the regulatory and legal framework that determines the relationship, roles and responsibilities of the actors, and coordination mechanisms such as markets, incentives or self-imposed norms) and political culture, including different perception of risk».
24
Commissione delle Comunità Europee, Governance Europea, Un Libro Bianco, COM 2001(428) def./2. Secondo tale documento «il concetto di “governance” designa le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza». Cfr., altresì, Commission on Global Governance, “Our Global Neighbourhood”, Oxford University Press, 1995, secondo cui «Governance is the sum of the many ways individuals and institutions, public and private, manage their common affairs. It is a continuing process through which conflicting or diverse interest may be accomodated and co-operative action may be taken. It includes formal compliance, as well as informal arrangements that people and istitutions either have agreed to or perceive to be in their interest».
Il concetto di governance è spesso considerato - così anche nel Libro Bianco sulla governance europea - come antitetico rispetto a quello di government: mentre quest’ultimo termine evocherebbe tradizionalmente la distinzione tra chi governa (il governo come potere esecutivo) e chi è governato (i cittadini), alludendo ad un modello di gestione, organizzazione, governo ordinato gerarchicamente ‘dall’alto verso il basso’ (top-down), il termine governance sarebbe riferito ad un modello di policy-making caratterizzato dall’interazione di vari tipi di attori, sia pubblici che privati, anziché dal controllo e l’intervento governativo nella società; il concetto di governance, dunque, muove dalla necessità di far partecipare all’azione, lato sensu, di governo non solo coloro che detengono le funzioni decisionali, non solo i tradizionali e organizzati
democratica in Europa
25. Il documento, in particolare, auspica un processo di
democratizzazione nel rapporto tra scienza e società, da realizzarsi, appunto,
attraverso l’estensione della consultazione con gli scienziati ed esperti e il
coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni pubbliche che dipendono da saperi
scientifici
26.
stakeholders, ma anche i singoli cittadini, in un movimento ‘dal basso verso l’alto’ (bottom-up). Vedi, per un approfondimento, M.TALLACCHINI, Democrazia come terapia: la governance tra medicina e società, in Notizie di Politeia, XXII, 81, 2006, pp. 15-26; Sulla governance, in generale, e nel contesto dell’Unione europea, v. B.M.HUTTER, Risk. Regulation and management, in P.TAYLOR-GOOBY,J.ZINN (eds.), Risk in Social Science, Oxford University Press, Oxford, UK, 2006; H.SCHEPEL, The Constitution of Private Governance: product standard in the regulation of integrating markets, Oxford, Hart, 2005; pp. 202-227; J.SCOTT,D.M.TRUBEK, Mind the Gap: Law and New Approaches to Governance in the European Union, in European Law Journal, 2002, 8(1), pp. 1-18; C.CARTER,A.SCOTT,Legitimacy and Governance Beyond the European Nation State: Conceptualising Governance in the European Union, European Law Journal, 1998, 4(4), pp. 429-445; R.RHODES, The New Governance: Governing without Government, in Political Studies, 1996, 44, p. 652 ss. É stata coniata pure l’espressione di ‘transnational governance’, intesa come «a flexible and often informal mechanism for resolving conflicts and solving problems that reflects some profound characteristics of the exercise of authority that are emerging in almost all contemporary societies and economies»; v. C. JOERGES, Constitutionalism and Transnational Governance: Exploring a Magic Triangle, in C.JOERGES,I.J.SAND,G.TEUBNER (eds.), Transnational Governance and Consitutionalism, Oxford, Hart, 2004, p. 341.
25
Secondo il documento della Commissione appena citato, «La qualità, la pertinenza e l’efficacia delle politiche dell’Unione dipendono dall’ampia partecipazione che si saprà assicurare lungo tutto il loro percorso, dalla prima elaborazione all’esecuzione. Con una maggiore partecipazione sarà possibile aumentare la fiducia nel risultato finale e nelle istituzioni da cui emanano tali politiche. Perché ci sia una maggiore partecipazione, è indispensabile che le amministrazioni centrali cerchino di interessare i cittadini all'elaborazione e all’attuazione delle politiche dell’Unione». La partecipazione, unitamente a responsabilità, trasparenza, efficienza e coerenza, costituiscono i principi su cui si deve basare la buona governance e si applicano a tutti i livelli di governo, globale, europeo, nazionale, regionale e locale (p. 10).
26 Un esame nello specifico di questi aspetti è contenuto in uno dei documento allegati al
Libro Bianco sulla governance (European Commission, White Paper on European Governance, Work Area n° 2 Handling the Process of Producing and Implementing Community Rules - Report of Working Group “Consultation and Participation of Civil Society”, (Group 2a), Pilot L. Pavan Woolfe, M. Kroger, June 2001). Tra le proposte del Libro Bianco vi è appunto quella di «rafforzare la fiducia del pubblico su come i responsabili politici si avvalgono dei pareri degli esperti (…)», rendendo «il sistema di consultazione pluridisciplinare dell'Unione più trasparente, per consentire all'opinione pubblica di valutarlo e di dibatterne e per gestire, così, le sfide, i rischi e i problemi etici suscitati dalla scienza e dalla tecnologia» (cfr. Libro Bianco sulla Governance europea, p. 35). Analoghe istanze sono contenute nel documento di lavoro della Commissione Science, society and the citizen in Europe, SEC(2000) 1973, che postula un’implementazione delle politiche di ricerca attorno agli scopi e alle aspirazioni della società e un coinvolgimento di questa in tale politiche, con un miglioramento della conoscenza della scienza da parte del pubblico. A sei anni dal Libro Bianco sulla Governance europea, e sulla sua scia, con il rapporto Taking the European Knowledge Society Seriously, 2007, Report of the Expert Group on Science and governance to the Science, Economy and Society Directorate, Directorate-General for Research, (http://ec.europa.eu/research/science-society/document_library/pdf_06/european-knowledge-society_en.pdf) - traduzione italiana Scienza e governance: la società europea della conoscenza presa sul serio, Soveria Mannelli, Rubettino, 2008 - la Commissione europea ha messo in evidenza alcuni aspetti problematici della scienza europea e della sua governance, ovvero come rispondere al problema diffuso della mancanza di fiducia nella scienza all’interno della società europea e come implementare la democrazia e il coinvolgimento della società civile.