Benché la scienza sia entrata diffusamente nelle scelte di public policy, la
tematizzazione specifica dei problemi che essa pone dal punto di visto giuridico e
politico è ancora recente nel contesto europeo, così come il dibattito circa le più
adeguate modalità di regolamentazione giuridica della scienza stessa
86. A fronte
dell’esperienza nordamericana, caratterizzata dall’adozione di soluzioni numerose
e innovative in materia di sicurezza e salute pubblica nonché in materia
ambientale, nel contesto europeo è prevalsa, almeno fino agli anni ’80 del secolo
scorso, una scarsa attenzione alle problematiche della regolazione dei rischi. Tale
scenario si può oggi dire ribaltato, atteso che il rischio e la sicurezza, come si
vedrà, costituiscono attualmente i settori di maggiore sviluppo della regolazione a
livello europeo
87.
85 Cfr. E.F
ISHER, The Rise of the Risk Commonwealth and the challenge for Administrative Law, in Public Law, 2003, pp. 455-478; ID., Risk and Environmental Law: a Beginner’s Guide, in B. RICHARDSON, S. WOOD (eds), Environmental Law for Sustainability: A Critical Reader, Oxford, Hart Publishing, 2006, p. 97 ss.
86 Secondo G. M
AJONE, Dilemmas of European Integration: the ambiguities and pitfalls of integration by stealth, Oxford: Oxford University Press, 2005, p. 124, ciò determinerebbe non solo gravi conseguenze in termini di efficienza ed equità, ma anche il rischio di isolamento dell’Unione europea a livello internazionale.
87 Sottolinea A.B
ARONE, Il diritto del rischio, Milano, Giuffrè Editore, 2006, p. 35 ss., come la regolazione comunitaria dei rischi, pur presentando taluni profili di convergenza con le dinamiche di risk regulation sviluppatesi negli Stati Uniti, si connota per delle sue peculiarità, analizzabili sotto distinti profili. Per quanto attiene al rapporto regolazione-funzione amministrativa, si può parlare di una regolazione “neutrale” del mercato, legata alle tendenze alla liberalizzazione ed alla privatizzazione connesse con l’affermazione del mercato unico, e basata sul ricorso a regole generali. Ad essa si affiancherebbe una regolamentazione delle attività sociali perseguita attraverso politiche pubbliche comunitarie che disegnano procedimenti amministrativi di indirizzo, di coordinamento, di programmazione nonché, altresì, di tipo autorizzatorio, incentrati su un approccio “caso per caso”, «che consente di modellare il contenuto del provvedimento autorizzatorio non soltanto sulle specifiche peculiarità delle singole attività industriali e dei rischi a queste correlati, ma soprattutto in relazione all’evoluzione delle “ migliori tecnologie disponibili” o all’eventuale acquisizione di “nuove informazioni scientifiche”». Sotto il profilo organizzatorio, secondo l’Autore, la peculiarità delle dinamiche regolatorie europee sarebbe rappresentata dall’assenza di poteri regolatori (in senso stretto) in capo alle Agenzie europee operanti nel campo dei rischi da ignoto tecnologico (per cui vedi infra, cap. 2, par. 10) nate sul modello americano delle agencies. Una peculiarità, questa da ultimo rilevata, che è correlata alle specifiche vicende che hanno caratterizzato lo scenario europeo in materia di sicurezza, in particolare alimentare, e che hanno portato ad optare per un approccio di separazione tra valutazione scientifica del rischio, riservata agli esperti, e gestione del rischio, affidata ai decisori politici (per questo ultimo aspetto, infra, par. 9).
Ciò nonostante, si individuano vari elementi che rendono particolarmente
acceso il dibattito tra scienza e politica nell’Unione Europea. Innanzitutto, sulla
scia del generale trend manifestatosi a livello mondiale nell’arco di alcuni
decenni, anche a livello europeo si è registrato un rapido sviluppo di nuove
tecnologie e la produzione di nuovi prodotti e servizi; tutto ciò ha generato,
parallelamente a significativi benefici per la società, anche numerosi rischi da
affrontare e gestire in modo efficace. In secondo luogo, come conseguenza di
quanto si è appena detto, è cresciuta l’attenzione dedicata da parte dei governi alla
scienza, per via del crescente bisogno di input scientifici necessari al fine di
condurre un’attività di regolazione dei rischi ingenerati dal progresso. Infine, nel
contesto della costruzione del mercato unico e del continuo processo di
integrazione (anche alla luce dell’allargamento progressivo dell’Unione Europea),
si è assistito ad una significativa evoluzione delle dinamiche politico-istituzionali
di quest’ultima rispetto all’attività di regolazione connessa all’impiego del dato
scientifico; un’evoluzione che è andata di pari passo con una accresciuta
consapevolezza dell’impossibilità per la scienza di dare risposte certe e definitive
con riferimento a molteplici problematiche
88.
A livello europeo, per effetto del processo di integrazione tra livelli
ordinamentali differenti, quello comunitario, appunto, e quello dei singoli Stati
membri, si è registrata nel corso degli anni una crescita impetuosa dell’attività
normativa, che è intervenuta sempre più spesso in materie non espressamente
previste dal Trattato di Roma
89. Il fine ultimo dell’originaria Comunità economica
europea, secondo il progetto dei padri fondatori, era senza dubbio un fine di tipo
politico, cioè quello di creare un’unione sempre più stretta fra i popoli europei. La
realizzazione di un siffatto ambizioso progetto doveva ovviamente passare
attraverso il perseguimento di più immediati obiettivi di tipo economico. Ebbene,
gli strumenti e le tecniche utilizzati per addivenire a tali fini sono stati
tradizionalmente di natura normativa e sono consistiti nella previsione e nello
sviluppo a livello comunitario di regole comuni e procedure di applicazione delle
88
Cfr. ISHEPERD,Science and Governance in the European Union, cit., pp. 3-4.
89 L’esercizio dell’azione della Comunità anche al di fuori di settori espressamente previsti
dal Trattato ha trovato la propria base giuridica nell’ex art. 308 del Trattato CE, oggi art. 352 TFUE, che prevede una formale procedura per l’esercizio dei poteri che, seppur non espressamente attribuiti all’Unione, risultano tuttavia necessari per il perseguimento degli obiettivi di cui ai Trattati; in base a tale disposizione, il Consiglio ha il potere di adottare all’unanimità, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, le disposizioni appropriate allorché un’azione dell’Unione si renda necessaria per raggiungere uno degli obiettivi enunciati nei Trattati, anche laddove questi ultimi non abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine. Tralasciando qui l’analisi delle modifiche che la disposizione ha subìto per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è opportuno comunque sottolineare come essa abbia operato negli anni come una “clausola di flessibilità” rispetto alll’applicazione del principio delle competenze di attribuzione di cui all’art. 5 del Trattato CE (oggi art. 5 TUE), permettendo la legittimazione dell’azione della Comunità in diversi settori, quali la politica regionale e dell’ambiente, la politica industriale e del consumatore, la politica energetica e del turismo, non originariamente previsti nel Trattato istitutivo e poi suggellati formalmente attraverso le varie modifiche del Trattato intervenute negli anni; l’art. 308 TCE ha altresì rappresentato, in molti casi, la base giuridica per l’adozione degli atti istitutivi di Agenzie europee (infra, cap. 2, par. 10) . Sulla tematica, si veda, per tutti, G.TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, VI edizione, CEDAM, Padova, 2010, p. 99 ss.
stesse all’interno degli Stati membri. Si è trattato, dunque, di un’integrazione
normativa “dall’alto” (Integration through Law)
90che ha esaltato il ruolo della
legislazione in sé e per sé considerata, portando in un primo momento ad una
concezione di auto-referenzialità dell’ordinamento giuridico europeo, che ha poi
però lasciato progressivamente spazio ad un’ottica di “Law in context”, che
riconosce l’impossibilità per l’Unione europea di ignorare il contesto economico
politico all’interno del quale la legislazione è chiamata ad operare
91.
Nel campo della protezione ambientale, ad esempio, sebbene essa non fosse
menzionata nell’originario Trattato, l’intervento della regolazione comunitaria è
stato significativo anche prima del riconoscimento espresso della competenza
normativa della Comunità da parte dell’Atto Unico Europeo del 1987
92, che ha
introdotto il principio dell’azione preventiva come principio base della politica
ambientale europea, cui si è affiancato poi, per opera del Trattato sull’Unione
Europea, il principio di precauzione
93.
Analogamente, altro settore in cui si è registrata un’impetuosa crescita della
regolazione sovranazionale, e in specie comunitaria, senza peraltro che fosse
prevista alcuna disciplina dello stesso settore all’interno del Trattato di Roma, è
90 Si veda M.C
APPELLETTI,M.SECCOMBE,J.H.H.WEILER, (eds), Integration Through Law, De Gruyter, 1986.
91 Cfr., per un’approfondimento della tematica, fra gli altri, C.J
OERGES, Taking the Law Seriously: on Political Science and the Role of Law in the Process of European Integration, in European Law Journal (2), 1996, pp. 105-135; D.CURTIN, European Legal Integration: Paradise Lost?, in European Integration and Law, Intersentia, 2006, pp. 1-54. Accanto alla mutata visione della legislazione nell’ambito della politica, si assiste anche ad un crescente rilievo di una sorta di ‘informal governance’ all’interno dell’Unione Europea: «this refers not only to a growing reliance on instruments of ‘soft-law’ but also to a considerable expansion in the numbers of (non-political) actors (experts, civil servants, others) and stakeholders involved in networks and (institutional) other forums» (p. 3) L’A. sottolinea, inoltre, come il termine ‘law’ sia da considerarsi riferito alla tendenza dell’Unione Europea ad adottare norme giuridiche vincolanti, che a loro volta sarebbero identificate dall’espressione ‘hard law’, contrapposta a quella di ‘soft law’ che indicherebbe invece tutti quegli atti il cui intento è spesso normativo, ma non aventi piena forza giudica vincolante, anche se sovente capaci di produrre effetti giuridici indiretti. Tipici esempi di ‘soft law’ a livello europeo sono le raccomandazioni e le opinioni espresse dal Consiglio o dalla Commissione, così come anche le risoluzioni del Consiglio, gli accordi interistituzionali e le comunicazioni della Commissione. Per quanto riguarda le raccomandazioni, in particolare, esse, seppure prive – per espressa disposizione dei Trattati – di carattere vincolante, non possono essere considerate prive di effetto giuridico, dovendo i giudici nazionali tenerne conto ai fini dell’interpretazione di norme nazionali o di altri atti comunitari vincolanti (v. Corte giust., 13 dicembre 1989, in causa C-322/88, Salvatore Grimaldi c. Fonds des maladies professionnelles, in Raccolta, 1989, p. 4407). L’espressione ‘soft law’ viene spesso accostata a quella di ‘soft regulation’, intesa come approccio “flessibile” alla regolazione, fondato sull’azione sul piano dell’informazione e della trasparenza, ovvero sull’impiego di strumenti volontaristici come quelli contrattuali, o come l’auto-regolazione, o la co-regolazione; cfr., per questi profili, A.LA SPINA,G. MAJONE, op. cit., p. 86 e ss.; D.CURTIN, op ult. loc.. cit., p. 24 ss.
92
Tale atto, in particolare, attraverso la previsione dell’approvazione a maggioranza qualificata per diversi importanti aree della regolazione sociale, come vedremo, ha creato i presupposti favorevoli per lo sviluppo di rilevanti innovazioni regolative.
93 Secondo l’art. 174 TCE (ora art. 191 TFUE) «La politica della Comunità in materia
ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva (…)».
quello della legislazione alimentare, che è divenuto per varie ragioni, come
vedremo, un settore prioritario di risk governance.
L’Unione europea, dunque, oltre che entità di legislazione (law-making
entity), è progressivamente divenuta un’importantissima policy-making entity
deputata all’adozione di misure di regolazione in un numero crescente di settori -
tanto da essere talora identificata quale una “independent fourth branch of
government”
94rispetto al tradizionale assetto dei poteri statali; si è spesso parlato,
a riguardo, di una ‘europeizzazione’ del policy-making, ad indicare non solo un
aumento della normazione e della regolazione comunitaria in termini quantitativi,
ma anche un aumento dell’innovatività della stessa, spesso più avanzata di quella
di molti Stati membri, e caratterizzata dalla capacità di armonizzazione
95e da
un’effettività dell’implementazione in sede nazionale
96. Buona parte della crescita
in termini di regolazione a livello europeo si può dunque spiegare in termini
normativi e di pubblico interesse: essa si è sviluppata al fine di gestire in maniera
più efficace settori fino ad allora regolati esclusivamente dagli Stati membri
97, i
94 G. M
AJONE, The European Community: An “Independent Fourth Branch of Government”?, EUI Working Paper SPS No. 93/9, European University Institute, Badia Fiesolana, 1993. L’espressione è stata originariamente riferita alle c.d. independent regulatory commissions (IRCs) statunitensi (cui si affianca, nel tempo, il modello delle independent regulatory agencies) per indicare, in un’ottica negativa, le principali caratteristiche strutturali e funzionali delle stesse, ossia la mancanza di responsabilità politica, la scarsa capacità di coordinamento e, appunto, il contrasto con il principio di separazione dei poteri, concentrandosi in esse, talora, sia funzioni esecutive, che legislative e giudiziarie e operando esse in modo indipendente rispetto al controllo politico del sistema presidenziale (infra, cap. 2, par. 10). L’Autore parla addirittura - sempre con riferimento al sistema statunitense - di una partnership tra regulatory agencies e corti tale per cui queste ultime controllano che i regolatori perseguano efficacemente gli obiettivi politici fissati dal Congresso garantendo, come contropartita, l’indipendenza degli stessi.
In generale, sul processo di estensione delle funzioni di regolazione a livello comunitario, cfr., G.MAJONE, La crescita dei poteri regolativi nella Comunità europea, in Rivista italiana di Scienza Politica, 1995, pp. 409-440 e ID.., Understanding Regulatory Growth in the European Community, EUI Working Papers SPS No. 94/17, European University Institute, 1994.
95 Il termine ‘armonizzazione’ sta ad indicare la modifica di normative nazionali al fine di
raggiungere specifici obiettivi previsti dalla normativa comunitaria, in un ottica di ravvicinamento e omogeneizzazione (vedi infra).
96 L’espansione delle competenze comunitarie si può dire tuttavia essere stata selettiva: se
da un lato, infatti, si è avuto un aumento quantitativo e qualitativo della normazione comunitaria in campi non propriamente previsti dai Trattati, per converso, altri settori invece menzionati nei Trattati, come i trasporti, l’energia, la ricerca e sviluppo, l’istruzione e la politica sociale, hanno conosciuto per lungo tempo uno sviluppo modesto ed esitante. Cfr. A.LA SPINA,G.MAJONE, op. cit., p. 235. La crescita delle competenze di regolazione dell’Unione Europea è stata anche spiegata in termini di “logica espansiva di integrazione settoriale”, secondo un processo di functional spillovers in cui le decisioni dei governi nazionali di delegare poteri di regolazione in determinati settori ad istituzioni sovranazionali creano inevitabilmente delle pressioni che portano all’espansione dell’autorità di tali istituzioni in settori politici contigui; in questo senso v. E.HAAS, The Uniting of Europe: Political, Social and Economic Forces, Stanford, CAL: Stanford University Press, 1958.
97 In questo senso la regolazione comunitaria risponderebbe alla teoria ‘normativa’ della
regolazione, secondo cui la regolazione pubblica delle attività economiche trova giustificazione laddove il mercato sia incapace di produrre le condizioni sociali ideali, migliorando così l’efficienza dell’economia attraverso la correzione degli insuccessi del mercato. Secondo tale teoria, nota anche come market-failure approach, nello specifico settore della regolazione del
quali possono ora configurarsi, invece, come “consumatori” di regolazione
comunitaria
98. Come è stato sottolineato, tuttavia, la delega di numerose
competenze di regolazione all’apparato burocratico europeo non avrebbe
comunque ridotto l’importanza delle politiche regolamentative a livello nazionale,
ma al contrario avrebbe contribuito ad un suo aumento; un paradosso, questo, che
si spiega con il fatto che l’implementazione di molte regole di matrice europea
spetta agli Stati membri, con il conseguente sorgere di responsabilità in materia di
regolazione in capo ai governi nazionali
99.
La continua crescita della regolazione a livello europeo sarebbe
riconducibile innanzitutto a tre diversi fattori: la non influenza dei vincoli di
bilancio sulla regolazione
100; la tendenza ad un’espansione delle competenze della
Commissione; l’interesse delle industrie multinazionali orientate all’esportazione
sia ad operare sulla base di un insieme di regole e standards uniformi, sia ad
evitare in certi casi le norme restrittive di alcuni Stati membri. Queste variabili,
tuttavia, non sarebbero sufficienti da sole a giustificare il fenomeno di cessione di
importanti poteri di regolazione da parte degli Stati membri ad istituzioni
sovranazionali, tra cui appunto quelle dell’Unione Europea. In questo senso,
vanno considerati due ulteriori aspetti, rappresentati dal fallimento di forme di
regolazione intergovernative
101, e dal fatto che la regolazione, come particolare
rischio, i contenuti e gli obiettivi delle misure regolative varierebbero a secondo del variare delle diverse tipologie di rischio. La regolazione rifletterebbe, dunque, ciò che le pubbliche autorità, dovrebbero fare per correggere le ‘failures’ del mercato, laddove queste si manifestassero (dovendo astenersi dall’intervenire, invece, secondo l’ottica del liberismo di mercato, allorquando il mercato possa operare correttamente); v., per un’analisi specifica di tale profilo, C.HOOD,H. ROTHSTEIN,R.BALDWIN, op. cit., pp. 63-64 e 70 ss. Tale intervento dell’Unione Europea come risposta più efficiente rispetto alla regolamentazione di fonte statale risponde, ovviamente, al principio di sussidiarietà quale principio cardine, assieme a quelli di attribuzione e proporzionalità, della disciplina delle competenze dell’Unione Europea. Secondo tale principio, attualmente contenuto nell’art. 5 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) come modificato dal Trattato di Lisbona, «l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione». Come osservato da G. TESAURO, Diritto Comunitario, V edizione, Napoli, 2008, p. 103, il principio, a prescindere dalla sua formalizzazione, ha rappresentato un fondamentale canone non scritto su cui si è fondata la prassi normativa comunitaria fin dalla nascita della Comunità europea.
98 Così A.L
A SPINA,G.MAJONE, op. cit., p. 236 ss.
99 Vedi G.M
AJONE, From the Positive to the Regulatory State: Causes and Consequences of Changes in the Mode of Governance, cit., p. 146.
100
Il bilancio pubblico non rappresenta un vincolo rigido rispetto alla regolazione perché i vari costi di quest’ultima ricadono sui destinatari della stessa, ovvero sugli Stati membri; essi sopportano, direttamente o indirettamente, non soltanto i costi economici, ma anche quelli politici e amministrativi dell’attuazione delle misure regolative europee.
101 Nella pratica, gli accordi intergovernativi cui gli Stati membri potrebbero ricorrere,
minimizzando la perdita di sovranità nazionale, per la regolazione di fenomeni i cui effetti vanno oltre i confini nazionali (ad es. alcune forme di inquinamento transfrontaliero), sono scarsamente efficaci per le difficoltà di osservazione circa l’effettiva loro attuazione da parte dei regolatori nazionali; ciò li rende scarsamente credibili e giustifica il trasferimento di poteri regolativi ad un’autorità sovranazionale come la Commissione europea; cfr. G. MAJONE, The rise of the
modalità di policy-making , richiede un elevato livello di discrezionalità tecnica e
amministrativa, il che esalta, in concreto, il ruolo già cruciale svolto dalla
Commissione nella regolazione comunitaria
102.
Sebbene non contemplato originariamente nel Trattato istitutivo della
Comunità europea, oggi la più importante e diffusa forma di regolazione europea
nel mercato interno è rappresentato dalla c.d regolazione dei rischi
103. Similmente
a quanto è accaduto negli Stati Uniti negli anni sessanta e settanta, a livello
europeo, nel corso degli ultimi decenni, è stato emanato un vasto corpo di
normative volte a proteggere l’ambiente, nonché la salute e sicurezza degli
individui, che viene identificato, appunto, con l’espressione di ‘risk regulation’
104.
Tale trend di crescita della risk regulation in Europa, oltre ad essere dovuto,
come è accaduto anche oltreoceano, alla crescente ricchezza della popolazione e
Regulatory State, cit., pp. 89-90; v., altresì, K. GATSIOS, P. SEABRIGHT, Regulation in the European Community, in Oxford Review of Economic Policy, 5(2), 1989, pp. 37-60.
102
Gli uffici della Commissione responsabili per una particolare area di policy formano il nodo centrale di una vasta rete che ricomprende non solo esperti provenienti dalle amministrazioni nazionali, ma anche esperti indipendenti, accademici, rappresentanti di interessi pubblici come ambientalisti e leaders di movimenti per i consumatori, rappresentanti di organizzazioni professionali ed economiche e governi sub-nazionali. Nell’interesse degli Stati membri vi è stato un tentativo di limitare la discrezionalità di cui comunque gode la Commissione nel processo di regolazione attraverso l’introduzione del sistema dei comitati (vedi infra, cap. 2).
103
Cfr. D.CHALMERS, Risk, Anxiety and the European Mediation of the Politics of Life: The European Food Safety Authority and the Government of Biotechnology, in European Law Review, 30(5), 2005, pp. 649-674. Secondo l’Autore una della risposte istituzionali alle difficoltà derivanti dalla crescente necessità da parte della politica di regolare il rischio è la transnational depoliticisation, nella quale «Responsibility is pooled and diffused. Political responsibility for the decision is shifted from the politician towards the transnational regulatory expert, and decisions are increasing seen as collective arrangements rather than the act of any single institution […]». Il fenomeno della transnational depoliticisation sarebbe cruciale nell’Unione Europea, prima di tutto per l’elevatissimo livello di interazioni transnazionali che la caratterizza, in secondo luogo per via della autorevole tradizione regolamentativa dell’Unione e per via dell’assenza di un significativo fronte di contestazione politica all’interno delle sue istituzioni, che ha portato a far sì che la sfera