• Non ci sono risultati.

I tribunali italiani, almeno fino al 2000, hanno conosciuto

solo una domanda di risarcimento del danno antitrust promossa da un

consumatore finale

74

. La scarsissima invocazione in giudizio delle

regole di concorrenza (sia nazionali che comunitarie) non è avvertita

solo nel nostro Paese ma è un fenomeno comune alla maggior parte

degli Stati Membri

75

.

È opinione diffusa in ambito politico ed accademico, che il

livello sub-ottimale nel quale versa l’applicazione privata delle

72 App. Torino, 6 luglio 2000, Soc. Indaba Incentive co. c. Soc. Juventus F. C., in

Danno e resp., 2001, 46, con note di BASTIANON, ROSCIONI.

73 Cfr. App. Milano, 22 marzo 2000 Tramaplast - Agriplast, in Foro Pad., 2000, I,

353, con nota di DE TULLIO; App. Cagliari, 23 gennaio 1999, Soc. Unimare c. Soc.

Geasar, in Riv. giur. sarda, 1999, 679, con nota di PIRAS eLOFFREDO; App. Torino,

7 agosto 2001, Soc. Pagine Italia c. Soc. Telecom Italia, in Dir. ind., 2002, 261, con nota di PORTINCASA.

74 Si tratta del caso Montanari, sentenza della Corte d’Appello di Genova, 20 ottobre

1995, confermata nel 1996 dalla Corte di Cassazione; si veda infra.

75 Per una completa analisi in prospettiva comparata si rimanda a Study on the

conditions of claims for damages in case of infringement of EC competition rules,

regole di concorrenza in Europa, soprattutto per quanto riguarda le

azioni promosse dai consumatori, rappresenta un costo sociale

sopportato in maniera ingiusta ed inefficiente dall’intera collettività

anche in termini di minore competitività ed innovazione

76

.

Per questa ragione, ormai da alcuni anni, a livello

comunitario si sta cercando di risolvere politicamente il problema

della scarsa incisività delle regole antitrust nel mercato comune

77

. Il

dibattito politico è già abbastanza maturo, al punto che è attesa entro

la fine del 2007 la pubblicazione di un Libro Bianco sul private

enforcement delle regole di concorrenza. Allo stesso modo, la Corte

di giustizia ha recentemente creato e consolidato in capo ad “ogni

soggetto del mercato” il diritto ad ottenere il risarcimento del danno

subito a seguito di una condotta anticompetitiva, proprio in nome di

una maggiore effettività dell’applicazione delle regole di

concorrenza

78

.

Se, quindi, a livello comunitario, o almeno negli Stati

Membri with advanced national antitrust rules, la scarsa invocazione

in giudizio da parte dei privati delle regole di concorrenza era - ed è

in parte - dovuta alla mancanza di adeguati incentivi strutturali,

nell’ordinamento giuridico italiano tale effettività era resa difficile

non solo dalle inadeguatezze - ancora presenti - del sistema operativo

delle regole antitrust nazionali ma, soprattutto, da una compatta e

76 Cfr. K

ROES, Reinforcing the fight against cartels and developing private antitrust

damage actions: two tools for a more competitive Europe, Brussels

Commission/IBA Joint Conference on EC Competition Policy, 2007, nota 5, dove si legge: “customers and consumers, the small businesses and individual citizens who foot much of the bill of illegal behaviour upstream”.

77 Un unico fil rouge lega l’emanazione del Regolamento n. 1/2003, l’attività di

promozione di specifici programmi di formazione rivolti ai giudici nazionali aventi ad oggetto il diritto comunitario della concorrenza, lo studio comparato promosso dalla Commissione Europea sulle azioni di danno, nonché la già ricordata pubblicazione del Libro Verde e, nel giugno del 2006, le Osservazioni al Libro Verde stesso.

78 Si vedano le sentenze della Corte di giustizia nei casi Courage, cit. e Manfredi,

diffusa impostazione culturale secondo la quale la concorrenza nel

mercato fosse da considerarsi esclusivamente un affare tra imprese

79

.

Per queste ragioni, il risarcimento del danno antitrust subito

dal consumatore finale era, intra moenia, praticamente sconosciuto

nella pratica giudiziale

80

, convinzione culturale espressa dalla stessa

Cassazione nel caso Montanari del 1999 (vedi retro, cap. II, par. 6).

Solo recentemente la situazione è cambiata anche in Italia.

La travagliata evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte

di Cassazione sul punto è segnata dalle alterne fortune (giudiziarie)

delle decine di domande di risarcimento del danno proposte in ordine

sparso dai singoli consumatori-assicurati contro le rispettive

compagnie d’assicurazione che parteciparono all’ormai famoso

cartello Rca.

La vicenda, dal punto di vista giuridico, è di difficile

ricostruzione sopratutto perché sulla questione si sono pronunciati, a

vario titolo ed in momenti successivi, numerosissimi organi

giurisdizionali nazionali e, in via pregiudiziale, anche la Corte di

giustizia

81

.

79 A proposito delle inadeguatezze dell’impianto processuale civile rispetto alle

azioni di danno antitrust, si osservi che in alcuni Stati Membri i legislatori nazionali sono intervenuti di recente a modificare la legislazione nazionale in materia di concorrenza per renderla maggiormente compatibile con il sistema di enforcement comunitario.

80 Nella sentenza Unimare/Geasar (1999), la Corte d’Appello di Cagliari aveva

riconosciuto, seppure incidentalmente, che gli abusi di posizione dominante “sono

[…] da valutare discrezionalmente sulla base delle dimensioni del mercato, delle potenzialità delle imprese che vi operano e della reale importanza dell’abuso commesso, alla luce dell’obiettivo finale della tutela del consumatore”.

81 Sul caso Rca, si sono pronunciati, tra gli altri, anche vari Giudici di Pace: alcuni

hanno negato la loro competenza a decidere la questione, altri invece hanno liquidato i danni ai consumatori-assicurati; si sono pronunciate anche varie Corti d’Appello che hanno negato la legittimazione attiva del consumatore-assicurato; la Corte di Cassazione si è pronunciata due volte: dapprima negando nettamente la legittimazione ad agire del consumatore finale ex legge 287/90 (sentenza del 2002) e poi riconoscendola (sentenza del 2005). Sul caso si è pronunciata anche la Corte di giustizia, in via pregiudiziale (2006), l’Autorità Garante della Concorrenza e Mercato (2000), il Tar Lazio (2001) ed il Consiglio di Stato (2002).

I fatti sono invece piuttosto semplici da ricordare: nel 2000,

con provvedimento n. 8546, l’Autorità Garante della Concorrenza e

Mercato aveva condannato le principali compagnie di assicurazione

attive nel mercato italiano del ramo Rca per aver posto in essere,

almeno tra il 1994 ed il 1999, un cartello illecito finalizzato a fissare

il prezzo delle polizze d’assicurazione

82

.

Poco dopo la pubblicazione della decisione, grazie anche

risonanza che la notizia ebbe nel nostro Paese, furono intentate, in

ordine sparso, varie decine di azioni individuali di risarcimento del

danno da parte dei consumatori-assicurati dinnanzi ai giudici

nazionali competenti, individuati, in alcuni casi, senza tenere conto

della riserva di competenza esclusiva della Corte d’Appello

83

.

82 Decisione della Autorità Garante della Concorrenza e Mercato n. 8546, del 28

luglio 2000 in Bollettino n. 30/2000.

83 Nel caso del cartello RCA, l’AGCM ha definito il mercato interessato dalla

violazione delle regole di concorrenza come nazionale. Ai sensi dell’art. 33.2 della Legge 287/90 il legislatore italiano ha riservato alla Corte d’Appello competente per territorio, la competenza a conoscere le azioni fondate su una violazione della legge antitrust nazionale. Le azioni fondate su una violazione del diritto comunitario della concorrenza, in assenza di una esplicita previsione del legislatore, seguono le regole ordinarie in materia di riparto di competenza civile. Gran parte degli avvocati di parte attrice hanno incardinato le azioni di risarcimento del danno antitrust dinnanzi al Giudice di Pace credendo erroneamente che questi fosse competente secondo i criteri per valore, in questo caso derogati dalla legge antitrust. Alcuni giudici di Pace aditi hanno eccepito il difetto di competenza ed hanno declinato la questione. Altri Giudici di Pace, hanno, invece, deciso comunque; è stata poi la Corte di Cassazione ad annullare, successivamente, la loro sentenza. Per una ricostruzione dettagliata della vicenda si veda CARPAGNANO, Private Enforcement of Competition Law

Arrives in Italy,cit. ed anche DELLI PRISCOLI, Equilibrio del mercato ed equilibrio

del contratto, in Giur. comm., 2006, II, 256. Doverose sono inoltre le letture di

PARDOLESI, Cartello e contratti dei consumatori: da Leibniz a Sansone, in Foro it., 2004, I, 469; PALMIERI e PARDOLESI, L’antitrust per il benessere (e il risarcimento

del danno) dei consumatori, ibid., 2005, I, 1015. In particolare sulla questione della

configurabilità dell’azione del risarcimento del danno nell’ordinamento italiano si veda: SCODITTI, Il consumatore e l'antitrust, ibid., 2003, I, 1127; BASTIANON,

Antitrust e tutela civilistica: anno zero, in Danno e resp., 2003, 393;CALVO, Diritto

antitrust e contratti esecutivi dell'intesa vietata (contributo allo studio dei Folgeverträge), in I Contratti, 2005, 181; CASTRONOVO, Antitrust e abuso di

responsabilità civile, in Danno e resp., 2004, 469;COLANGELO, Intese restrittive e

legittimazione dei consumatori finali, in Dir. ind., 2003, 175; LIBERTINI, Ancora sui

È stata la forza di questa marea di azioni civili, unitamente

ad una maggiore presa di coscienza da parte della Corte di

Cassazione dell’isolamento nel quale era confinato l’ordinamento

giuridico italiano in materia di risarcimento del danno antitrust nel

panorama comunitario, a scardinare, letteralmente, la giurisprudenza

della Suprema Corte, spingendola a riconoscere la legittimazione

attiva ex articolo 33.2 della legge antitrust anche ai consumatori

finali

84

.

L’ultima pronuncia della Cassazione sul cartello Rca è del 2

febbraio 2007

85

, nella quale la Corte ripercorre criticamente la

propria giurisprudenza in tema di legittimazione attiva del

consumatore ex legge antitrust, consolida “il ripensamento” del 2005,

riconcilia “definitivamente” il tormentato rapporto del nostro

ordinamento giuridico antitrust con i consumatori finali e mette, allo

stesso tempo, una “pietra” sull’effettività delle regole di concorrenza

e alla tutela dei consumatori nell’antitrust nostrano

86

.

Sotto il profilo dell’individuazione del danno e della sua

quantificazione in giudizio, la sentenza della Corte di Cassazione del

2007, sembra offrire alcuni spunti di riflessione interessanti. Occorre,

però, analizzare preliminarmente le ipotesi di danno sofferto dal

consumatore da una prospettiva più ampia rispetto a quella offerta

dal cartello Rca.

In che cosa consiste, nel caso dei consumatori, il danno

antitrust e quali sono i criteri per la sua determinazione?

933; NEGRI, Risarcimento del danno da illecito antitrust e foro per la tutela del

consumatore (la Cassazione non dilegua i dubbi nella vicenda RC auto), in Corr. giur., 2003, 747.

84 Cass. civ., Sez. Un., 4 febbraio 2005, n. 2207, Unipol, in Foro it., 2005, I, 1014. 85 Cass. civ., 2 febbraio 2007, n. 2305, in Foro it., 2007, I, 1097-1106.

86 Cfr. C

ARPAGNANO, Una pietra sopra. Commento alla sentenza della Corte di

Il fatto che il consumatore sia una vittima predestinata

87

degli

illeciti anticompetitivi è dovuto, come ricordavamo all’inizio del

primo paragrafo, alla struttura stessa del mercato concorrenziale. Il

consumatore finale, trovandosi per definizione all’ultimo estremo

della catena del valore, risente in varia misura delle illecite

distorsioni della concorrenza che avvengono, con diversa intensità,

nel mercato. Inutile dire che il consumatore finale beneficerà degli

effetti positivi, ovvero della concorrenza effettiva, che dovesse

dispiegarsi in un dato mercato o, più in generale, ai livelli superiori

della catena del valore. Infatti, in un mercato perfettamente

concorrenziale, un operatore economico (per definizione, privo di

potere di mercato ed incapace di incidere sui prezzi) si trova a

vendere i propri beni/servizi al loro costo marginale. In un regime di

monopolio, invece, – o in presenza di un accordo di cartello -

l’operatore economico può (per definizione) vendere i propri

beni/servizi ad un prezzo superiore al loro costo marginale.

La differenza tra un regime di concorrenza ed un regime di

monopolio, per quello che rileva in questa sede, sta nel fatto che il

prezzo del bene/servizio che il consumatore si trova a pagare è, in

presenza di un monopolio o di un accordo di cartello, maggiore del

costo marginale di quel bene/servizio.

Tale circostanza ha almeno due conseguenze dirette: una

riguarda i clienti del monopolista (o dei cartellisti), l’altra riguarda

l’intera società. Il prezzo anticompetitivo crea un danno al cliente del

monopolista in termini di ricchezza perché questi, a differenza del

cliente dell’operatore in concorrenza, paga sempre un prezzo

superiore al costo marginale del bene/servizio. Dopo l’acquisto, il

cliente del monopolista avrà meno reddito disponibile rispetto a

87 Anche la Corte di Cassazione (vedi entrambe le citate sentenze del 2005 e del

2007) ha riconosciuto che l’illecito antitrust ha come vittima predestinata il consumatore finale.

quello che avrebbe avuto se avesse acquistato quel bene/servizio in

un regime di concorrenza effettiva.

Attraverso l’illecito antitrust, il monopolista (o i membri del

cartello illecito) sottraggono al consumatore finale una porzione del

suo reddito; tale usurpazione non rappresenta però un costo sociale

quanto, piuttosto, un trasferimento di ricchezza all’interno della

società (dal consumatore al produttore). Tale redistribuzione non

viola, ovviamente, le regole di diritto privato, le quali, come è noto,

non si occupano di distribuzione della ricchezza, quanto piuttosto,

della massimizzazione della ricchezza complessiva della società

88

.

Per questa ragione, il danno alla società creato dal

comportamento anticompetitivo consiste nella riduzione artificiale

dei livelli di produzione e della qualità dei beni/servizi immessi nel

mercato. Tale riduzione è imputabile al fatto che, per aumentare i

prezzi dei beni/servizi al di sopra del loro costo marginale, il

monopolista ed i cartellisti normalmente tendono a ridurre la quantità

di produzione. Ne consegue che, tale quantità, in un regime di

monopolio (o di cartello), è di solito inferiore a quella che si sarebbe

registrata in un regime di concorrenza effettiva. La stessa riduzione

si registra, in assenza della pressione concorrenziale, anche rispetto

alla qualità dei beni, al loro grado di innovazione, alla loro varietà

etc.

Queste perdite di efficienza vengono definite nella letteratura

economica deadweight loss e rappresentano un costo sociale, il vero

danno antitrust.

88 Cfr. ALFARO (2007), cit., pag. 8. Si veda anche WEISBACH, Should Legal Rules Be

Used To Redistribute Income?, University of Chicago Law Review, 2003, 70, 439.

Alcuni autori, invece, considerano tale trasferimento come un vero e proprio costo sociale. Uno spreco di risorse, finalizzato al rent seeking, ovvero quel denaro che il monopolista o l’aspirante monopolista spende (in maniera inefficiente) per mantenere o creare una situazione di monopolio a suo vantaggio. Cfr. POSNER,

Antitrust Law: An Economic Perspective, University of Chicago Press, 1976, p. 11,

TULLOCK, The Welfare Costs of Tariffs, Monopolies and Theft, (1967) 5 W. Econ. J.

In che cosa consiste il danno sofferto dal consumatore che ha

acquistato un bene/servizio ad un prezzo artificialmente maggiorato?

Avrà egli diritto ad ottenere il rimborso dell’ammontare del

surplus di cui è stato usurpato a seguito dell’illecito antitrust?

Cosa si deve risarcire: il trasferimento di ricchezza o la

perdita di efficienza?

89

.

Ci sono poi le situazioni di confine dove il concorrente con

un certo potere di mercato pratica prezzi predatori (prezzi finali al

disotto del costo marginale) per poi recuperare le perdite (vendendo

il prodotto/servizio al di sopra del costo marginale) una volta che il

concorrente sia uscito dal mercato estenuato dalla politica

predatoria

90

.

In queste circostanze però la difficoltà dell’interprete risiede

innanzitutto nell’analisi prognostica finalizzata a capire con un certa

esattezza se le pratiche che appaiono predatorie siano destinate

realmente a esplicitare una finalità anticompetitiva perchè

assolutamente dirette a trasformarsi in prezzi monopolistici una volta

che la pressione concorrenziale sarà stata artificialmente diminuita

(una volta cioè che siano uscite dal mercato le imprese concorrenti o

che i concorrenti potenziali abbiano rinunciato, per il momento, ad

entrarvi).

Nel breve periodo, è piuttosto difficile ravvisare un danno

patrimoniale sofferto dai consumatori i quali, al contrario, si

beneficiano di un prezzo più basso non solo del prezzo

concorrenziale ma addirittura del costo marginale di quel bene

89 Si veda la soluzione del Giudice Holmes nel caso Chattanooga Foundry & Pipe

Works v. City of Atlanta, 203 U.S. 390,396 (1906).

90 A tal proposito, la giurisprudenza delle Corti comunitarie, ritiene che, da un lato,

prezzi inferiori alla media dei costi variabili permettono di presumere il carattere eliminatorio di una pratica di prezzi e che, dall’altro, prezzi inferiori alla media dei costi totali ma superiori alla media dei costi variabili, sono da considerarsi abusivi allorché sono fissati nell'ambito di un disegno inteso a eliminare un concorrente. Si veda da ultimo, la sentenza del Tribunale di Primo Grado nella causa T-340/03,

/servizio. È chiaro che se in un secondo momento saranno costretti a

dover pagare un prezzo artificialmente più alto, in questo

sovrapprezzo illecito si anniderà il danno antitrust

91

.

La mancanza di pronunce dei tribunali italiani sulla

quantificazione del danno antitrust subito dal consumatore in ipotesi

complesse (accordi aventi ad oggetto la riduzione delle quote di

produzione, pratiche predatorie escludenti, danni passati solo in parte

eccetera) lascia aperta, per il momento, ogni possibilità ricostruttiva.

Come abbiamo anticipato, la pronuncia della Cassazione del

2007, letta alla luce della sentenza delle Sezioni Unite del 2005, offre

alcune scarne indicazioni di carattere generale rispetto ai criteri per

quantificare in giudizio il danno antitrust subito dal consumatore

finale.

Si consideri, però, che il caso Rca, nonostante i suoi

travagliati risvolti processuali a cui abbiamo brevemente accennato,

se guardato dalla prospettiva del diritto antitrust è stato un caso

piuttosto semplice da risolvere. La sua natura follow-on ha, nei fatti,

semplificato di gran lunga il lavoro degli attori e dei giudici sia per

quanto riguarda la dimostrazione dell’esistenza della pratica

anticompetitiva illecita (e dei suoi effetti nel mercato) sia per quanto

riguarda la determinazione del danno sofferto.

Inoltre, il fatto che la domanda fosse anelastica (a causa

dell’obbligatorietà della sottoscrizione della polizza Rca) ha

eliminato il problema dell’identificazione del danno subito da chi ha

rinunciato a comprare a causa del prezzo troppo alto o ha comprato

ma in minore quantità.

Per quanto riguarda la natura follow-on, le corti adite si sono

richiamate, più o meno integralmente, alle conclusioni dell’AGCM

ed all’attività istruttoria da questa compiuta.

91 Si rimanda alla considerazioni svolte a proposito dei prezzi predatori nel paragrafo

Per quanto riguarda, invece, la determinazione del danno

subito dai consumatori finali, le corti adite, e da ultima la Corte

d’Appello di Napoli, si sono limitate a riconoscere che il danno del

consumatore finale corrispondeva alla “differenza tra la somma

pagata per la polizza assicurativa ed il prezzo immune dalle

alterazioni derivanti dall’intesa”

92

.

Al momento però di determinare il prezzo di mercato, il

prezzo cioè immune dall’illecito antitrust, da sottrarre al prezzo

effettivamente pagato per ottenere la vera entità dell’illecito

anticompetitivo nella singola relazione, la corti si sono rifugiate nel

sicuro porto dell’equità: “l’impossibilità di provare il danno o,

comunque la notevole difficoltà di una sua precisa quantificazione

impone l’utilizzo di criteri equitativi […] e nella fattispecie, è equo

determinarlo nella misura del 20% del premio di polizza pagato

dall’assicurata”.

L’identificazione del danno nel “venti per cento” del costo

totale del premio versato è un motivo ricorrente nelle sentenze dei

giudici nazionali che si sono pronunciati a favore del consumatore

finale in una azione civile riconducibile al caso RCA ed ha origine

nel Provvedimento dell’AGCM.

La Corte di Cassazione ha identificato il danno nel maggior

esborso a carico della vittima dell’illecito antitrust e lo qualifica

come una “perdita di chance”, come “la perdita della possibilità di

ottenere migliori condizioni di polizza, che sarebbero state

disponibili nel mercato se la concorrenza non fosse stata

illecitamente falsata o eliminata”

93

. Per dimostrare l’entità del danno

subito il giudice adito dovrà, secondo la Corte, “accertare gli effetti

che l’intesa ha svolto sull’aumento dei prezzi nel mercato […] ed in

particolare sullo specifico premio pagato”. Per far ciò potrà

92 App. Napoli, 3 maggio 2005, in Foro it., 2005, I, 1880, con nota di P

ALMIERI.

avvalersi di tutti gli strumenti offerti dal rito civile e dunque anche

della Consulenza tecnica.

Rispetto al quantum, anche la Corte di Cassazione ha

riconosciuto l’impossibilità “o comunque l’elevata difficoltà della

determinazione del danno nel suo preciso ammontare” ed avalla la

scelta della Corte d’Appello di Napoli di procedere alla liquidazione

equitativa del danno sottoforma di percentuale del premio

effettivamente pagato. Unico difetto del giudice d’appello di Napoli,

a detta della Cassazione, non sta nel non aver disposto d’ufficio una

CTU per quantificare un danno patrimoniale che si sapeva essere di

difficile quantificazione (aspetto che comunque viene sottolineato

dalla Corte), ma nell’aver calcolato la percentuale del venti percento

“sul premio lordo, ossia comprensivo di imposte ed oneri vari […]

mentre avrebbe dovuto essere calcolata sul premio netto […]”

94

.

Non v’è dubbio che il risarcimento del danno antitrust debba