• Non ci sono risultati.

Dimostrare in giudizio l’esistenza di una pratica/condotta

anticompetitiva illecita è piuttosto difficile e complesso.

Le illecite violazioni delle regole di concorrenza sono,

infatti, spesso di ardua individuazione a causa, tra l’altro, della loro

tipica segretezza, così come il loro apprezzamento da parte del

danneggiato presuppone l’analisi dell’andamento del mercato di

riferimento e di molti altri elementi che richiedono l’ausilio di esperti

in materie economiche.

L’illecito anticompetitivo avviene, per definizione,

all’interno di uno specifico mercato

82

. Ma non in tutti i mercati è

possibile che si verifichi una violazione delle regole di concorrenza,

così come non tutti gli operatori economici attivi all’interno di un

determinato mercato, sono in grado di violare le regole antitrust.

Solo in mercati oligopolistici, caratterizzati cioè dalla

presenza di pochi grandi operatori economici (che detengono quote

di mercato piuttosto grandi), può verosimilmente verificarsi una

violazione delle regole di concorrenza.

Così come solo l’operatore economico con un certo potere di

mercato è in grado (unilateralmente o in concerto con altri operatori

82 Cfr. App. Milano, 18 luglio 1995, Soc. Telsystem c. Soc. Sip-Telecom Italia, in

Foro it., 1996, I, 276, con commento di BARONE, Danni da abuso di posizione

dominante e giurisdizione ordinaria. L’esatta individuazione geografica e

merceologica del mercato nel quale la condotta o pratica anticompetitiva dispiega i suoi effetti è una operazione preliminare che l’operatore giuridico deve necessariamente compiere nell’analisi di ogni caso antitrust. La Corte d’Appello di Milano, nel caso Tramaplast Srl (22 marzo 2000) ha qualificato l’attività di lobbying degli incumbents dominanti (detentori di una quota di mercato congiunta pari al 25% del mercato nazionale e pari al 100% del mercato regionale della foglia agricola) come attività che, pur essendo realizzata “fuori dal mercato” è suscettibile di integrare una violazione delle regole di concorrenza se finalizzata ad “impedire

l’insediamento di nuova attività industriale” nel mercato.

Si noti, infine, che nell’accezione ampia di “impresa” rientra, ai fini dell’applicazione delle regole di concorrenza, ovviamente anche lo Stato e gli enti pubblici quando esercitano un attività economica (cfr. Corte di giustizia, 23 aprile 1991, C-41/90, Höfner and Elsner c. Macrotron, in Racc. 1991, I-1979.

collusi) di falsare, distorcere o eliminare del tutto, la concorrenza

all’interno di un mercato determinato.

Occorre inoltre distinguere, tra le diverse violazioni illecite, i

comportamenti predatori (ad es. le vendite sottoscosto con il fine di

escludere o eliminare un concorrente dal mercato) dalle pratiche di

sfruttamento (come avviene tipicamente nei cartelli di fissazione del

prezzo o di quote di produzione).

È inoltre opportuno sottolineare che non tutte le restrizioni

della concorrenza che avvengono all’interno del mercato sono di per

sé dannose o illecite. Alcune di esse favoriscono addirittura la

crescita del benessere sociale (in termini ad esempio di efficienza e

di innovazione), altre invece si limitano a non ridurlo

83

. Del resto è

un dato di comune esperienza - supportato dall’unanime letteratura

economica - che, per raggiungere l’efficienza produttiva è

necessario, in determinati casi, una qualche forma di cooperazione

(orizzontale o verticale) tra gli operatori economici.

Ne consegue che l’ordinamento giuridico non può non

riconoscere forza vincolante a tali accordi restrittivi della

concorrenza quando hanno una causa lecita

84

.

Pertanto, la corretta individuazione della compatibilità o

meno di una condotta o pratica restrittiva della concorrenza con le

regole antitrust, e che può ricadere quindi nell’esimente dell’articolo

81.3 CE

85

, rappresenta un ulteriore e forse anche più difficile

83 Sul punto si vedaM

EESE, Price Theory, Competition and the Rule of Reason,

University of Illinois Law Review, 2003.

84 Cfr. ALFARO, La prohibición de los acuerdos restrictivos de la competencia. Una

concepción privatística del derecho antimonopolio, cit., pag. 3 e ss. Nello stesso

testo si legge anche che “Los economistas están de acuerdo en que [...] muchos

acuerdos que sustituyen la rivalidad por la cooperación son eficientes productivamente y que su prohibición frena el desarrollo. Lo que sorprende es que los juristas - en Europa y en España – no hayan alzado la voz para proclamar la inconstitucionalidad de un modelo de prohibición general”.

85 Su questi aspetti si rimanda al capitolo introduttivo. Cfr. in particolare le linee

problema che l’interprete giuridico ed economico si trova a dover

affrontare e risolvere

86

.

L’apprezzamento, caso per caso, di tale compatibilità è

affidato, dal primo maggio 2004, ai giudici nazionali

87

. In simili casi,

quando cioè il contratto tra le parti incrementa (o, quanto meno, non

riduce) il benessere sociale, l’ordinamento giuridico non potrà

limitare, attraverso l’applicazione delle regole antitrust, la libera

autonomia individuale dei contraenti.

Nessun danno potrà essere riconosciuto in questi casi al

preteso danneggiato, sia esso un concorrente, un acquirente

intermedio o un consumatore finale, in quanto la condotta

anticompetitiva manca del requisito dell’illiceità e quindi il danno

accordi di cooperazione orizzontali, GU C-3 del 6 gennaio 2001, oltre alla consolidata giurisprudenza delle Corti comunitarie sul punto.

86 Per una disamina degli accordi che devono essere tenuti fuori dall’applicazione

del divieto dell’articolo 81 CE si veda il recente contributo di PARDOLESI, Intese

restrittive della libertà di concorrenza, in La concorrenza, a cura di FRIGNANI-

PARDOLESI, in Tratt. dir. priv. dell’Unione Europea, diretto da AJANI e BENACCHIO, Torino, 2006, pp. 25-74; ALFARO, La prohibición de los acuerdos restrictivos de la

competencia. Una concepción privatística del derecho antimonopolio, cit., pag. 10.

87 Cfr. art. 6 del Regolamento CE n. 1/2003, cit. A tal proposito A

LFARO detta una

regola pratica, rivolta ai giudici che applicano le regole di concorrenza, coerente con il diritto privato; la regola è rivolta ai giudici spagnoli ma mutatis mutandis vale anche per qualsiasi giudice nazionale: “[…] un juez que aplica el Derecho

[nacional] de la competencia puede descartar la aplicación del art. 1 LDC

[omologo all’art. 2 Legge 287/90] a cualquier cláusula contenida en un contrato

con causa (finalidad económico-social típica) legítima si la cláusula “encaja” razonablemente en el contrato, es decir, si sirve a los fines perseguidos por las partes con el contrato. No necesita ponderar los efectos procompetitivos y anticompetitivos de la cláusula y del acuerdo. Puede ahorrarse ese trabajo (para el que, por lo demás, no está especialmente preparado) porque se trata de un negocio con un “fundamento socialmente razonable...” que no es “visiblemente contrario a los principios del ordenamiento jurídico” [...]. Sólo cuando el objeto del contrato es restringir la competencia (causa ilícita) o cuando la cláusula que tiene efectos restrictivos no encaja razonablemente en el contrato (lo que la priva de la protección que merece el propio contrato) deberá el juez calificar al contrato o a la cláusula como contrarios al art. 1 LDC”, cfr. ALFARO, La prohibición de los

acuerdos restrictivos de la competencia. Una concepción privatística del derecho antimonopolio, cit., pag. 23.

manca del requisito dell’ingiustizia

88

. Quest’ultimo argomento

rafforza l’idea, espressa all’inizio del paragrafo, che il private

enforcement del diritto della concorrenza abbia un valore strumentale

rispetto al bene pubblico tutelato nel trattato CE

89

.

L’onere della prova di una presunta infrazione delle regole di

concorrenza, tanto nei procedimenti nazionali che comunitari relativi

all’applicazione degli articoli 81 e 82 del trattato, “incombe alla

parte o all’autorità che asserisce tale infrazione”

90

. Tale regola

uniforme trova applicazione in tutte le azioni di danno antitrust

fondate sulla violazione degli articoli 81 ed 82 del trattato. Essa

recepisce la regola classica, vigente nella quasi totalità degli

ordinamenti giuridici europei, secondo la quale chi vuol fare valere

in giudizio un proprio diritto deve provare i fatti che ne costituiscono

il fondamento

91

.

Di conseguenza, incombe, “all’impresa o associazione di

imprese che invoca l’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del

trattato l’onere di provare che le condizioni in esso enunciate sono

soddisfatte”

92

.

A parte la previsione dell’articolo 2 del Regolamento n.

1/2003 appena richiamata, non esistono, al momento, altre

disposizioni comunitarie in merito all’onere della prova per quanto

riguarda un’azione di danno antitrust. Tale aspetto è affidato alla

regolazione di dettaglio dei legislatori nazionali i quali, come

abbiamo anticipato, sono vincolati al rispetto dei principi di

equivalenza e di effettività.

88 Cfr. ALFARO, La prohibición de los acuerdos restrictivos de la competencia. Una

concepción privatística del derecho antimonopolio, cit., pag. 3.

89 Tale nostra supposizione trova conferma nel Report del Parlamento Europeo, cit.,

pagina 11.

90 Cfr. articolo n.2 del Reg. 1/2003, cit.

91 Nel nostro ordinamento giuridico tale regola è contenuta nell’articolo 2697 c.c. 92 Cfr. articolo n.2 del Regolamento 1/2003, cit.

La questione non è marginale considerato che le difficoltà

legate alla dimostrazione in giudizio dell’esistenza di un illecito

anticoncorrenziale non si esauriscono nella segretezza intrinseca dei

ogni illecito anticompetitivo.

Vi sono, infatti, anche aspetti strutturali di cui il legislatore

(nazionale o comunitario) devono tenere conto. Per esempio, negli

illeciti antitrust, le prove sono spesso in possesso della parte che ha

posto in essere il comportamento anticoncorrenziale; per tanto, per

rendere efficaci le domande di risarcimento del danno è

fondamentale che l’attore possa avere accesso a tali prove.

Nel Libro Verde sulle azioni di danno (2005) la

Commissione europea, in previsione di un intervento normativo

comunitario in materia, si è chiesta “se sia necessario introdurre

l’obbligo di trasmettere i documenti o se, invece, sia preferibile

consentire l’accesso alle prove in un altro modo”

93

. Il rilievo è

particolarmente importante per le azioni stand-alone.

Analogamente, a livello comunitario, si potrebbe considerare

la possibilità di utilizzare, nel giudizio civile, gli stessi documenti di

cui sono venute in possesso la Commissione o le Autorità garanti

nazionali durante un’eventuale istruttoria, documenti che potrebbero

costituire prove rilevanti per la parte che voglia esercitare un’azione

di risarcimento.

Anche la previsione di norme sull’onere della prova e sullo

standard della prova potrebbe aiutare l’attore a tale riguardo

94

.

Per quanto riguarda il nostro ordinamento giuridico, come

abbiamo già detto sopra, nella quasi totalità delle pronunce sulle

azioni di danno, tutte in conseguenza del cartello Rca, le diverse

93 Cfr. Libro Verde sulle Azioni di risarcimento del danno per violazione delle

norme antitrust comunitarie, 19 dicembre 2005 COM(2005), 672 def., punto 2.1.

94 Particolarmente importante è la questione del valore probatorio delle decisioni

delle autorità nazionali garanti della concorrenza; la questione è stata affrontata nel precedente paragrafo n. 4.

Corti nazionali si sono richiamate più o meno integralmente alle

conclusioni dell’AGCM e all’attività istruttoria da questa compiuta

senza peraltro indagare i rapporti sostanziali intercorsi tra le parti.

Tale modus operandi, tra l’altro, è stato avallato dalla Corte

di Cassazione nella citata sentenza n. 2305/07: “all’assicurato

[danneggiato] sarà sufficiente allegare l’accertamento dell’intesa

concorrenziale da parte dell’Autorità garante”

95

. Una volta accertata

la violazione delle regole di concorrenza attraverso il richiamo del

provvedimento dell’Autorità (follow-on), l’onere probatorio

dell’attore sarà sufficientemente assolto, secondo la Cassazione,

tramite l’allegazione (nel caso di specie) della polizza contratta.

L’ingiustizia del danno sarà dimostrata nei termini della lesione del

proprio interesse, in quanto soggetto del mercato, alla trasparenza ed

alla competitività dello stesso.

8. Pluralità di danneggiati: strumenti di aggregazione processuale