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Le pseudo-tenzon

3.3. Dante e Puccio Bellond

Si tratta probabilmente del mercante bolognese Iacopo detto Puccio d'Aldrovandesco Bellondi43, noto nei documenti tra il 1262 e il 1268, commerciante

iscritto con il padre alla Società de' Toschi di Bologna; meno probabile l'identificazione con un Iacopo d'Odarrigo (o Oderigo), presente in due documenti dal carattere amministrativo e burocratico. Di un Puccio si sa che prese parte alla vita politica e amministrativa della repubblica fiorentina dal 1278 al 1291, come ipotizza Eugenio Ragni, “potrebbe trattarsi […] dell'uno o dell'altro Puccio, se non, addirittura, di un terzo omonimo44”. La prima

ipotesi sembra la più favorevole dato che uno dei destinatari di tenzoni risulta essere Monte Andrea, anch'egli mercante bolognese, anch'egli iscritto alla Società de' Toschi e abitante nella medesima zona del nostro Puccio; inoltre solo a lui viene assegnato nei documenti il diminutivo “Puccio” o “Puzo”. Probabilmente morì negli ultimi anni del secolo.

Guardando alla produzione poetica, in realtà abbastanza scarna, oltre alla già citata tenzone, contempliamo una canzone provenzaleggiante conservata dal codice Vaticano lat. 3793 e altri tre sonetti: di questi annoveriamo Così com nell'oscuro alluma il raggio che segue il componimento pseudo-dantesco di proposta Saper voria da voi, nobile e

saggio, Cui virtù move, mai s'affatica, attribuito a un certo “Puccio” dalla rubrica ma di

discussa paternità (per la forma poco provenzaleggiante e il contenuto di carattere morale) e infine Volgete li occhi a veder chi mi tira, dato a Dante dai più autorevoli manoscritti ma assegnato a Puccio da altri, è quasi sicuramente dantesco, dovuto a uno scambio tra il nome del destinatario e quello dell'autore effettivo.

43 Convinto di tale identificazione lo studioso di poeti bolognesi, Guido Zaccagnini, (cfr. G. ZACCAGNINI, Poeti e prosatori delle origini, in «Giornale dantesco», XXVIII, 1925, pp. 167-176; vengono riportati anche i testi

dei documenti notarili) che, pur sottolineando la non sicura paternità dei sonetti a questo Puccio, sostiene che “non sarebbe la prima volta che c'imbatteremmo in mercanti poeti” citando di seguito gli esempi di Monte Andrea o Fabruzzo Lambertazzi (cfr. Ivi, pag. 170).

44 Cfr. E. RAGNI, Bellondi (o Bellundi) Iacopo, detto Puccio, in Enciclopedia Dantesca, vol. I, cit., 1970, pag.

3.3.1.

Saper voria da voi, nobile e saggio (d. XXIV)

Saper voria da voi, nobile e saggio, ciò che per me non son ben cognoscente. In due voler travagliami il coraggio

e combattuto son da lor sovente:

l'un vòl ch'io ami donna di paraggio, cortese, saggia, bella e avvenente; l'altr'ha di me ver' lui par signoraggio: vuol che di lei non sïa benevogliente. Ond'io non saccio, d'ogni virtù sire, a qual m'apprenda e deggia dar lo core: così m'hanno levato lo sentire.

A ciò richiero voi, di gran valore, che non v'aggrevi di mandarmi a dire in qual m'affermi, per simil tenore.

Barbi d. XXIV; Contini 58; De Robertis d. 14; Giunta d. XIVa. Sonetto di schema ABAB ABAB CDC DCD.

Componimento di richiesta di un consiglio all'amico “nobile e saggio”: il poeta dovrà o non dovrà amare una donna “di paraggio”, altolocata ma allo stesso tempo “bella e avenente”? Il sonetto dunque non rappresenta il missivo di una tenzone, che dovrebbe articolarsi con un libero scambio di idee su un medesimo tema, ma sembra far parte di un gioco poetico simile al precedente con Chiaro Davanzati, in cui ci si chiedeva se dichiararsi o meno alla propria donna. Il quesito non è però banale o retorico, ma appannaggio di una civiltà in cui gli status sociali erano rigidamente definiti, e l'amore per una donna di astrazione superiore poteva essere un problema e avere il carattere dell'azzardo: non è dunque un topos nuovo, ma riscontrabile già nel teorico dell'amore Andrea Cappellano o nel trovatore provenzale Giraut de Borneil.

Il sonetto è riportato dal testimone unico Marciano it. IX 191 che trasmette lo scambio assegnando il missivo a “Dante”: stessa tradizione manoscritta che per i sonetti di Chiaro dunque, appena precedenti.

Sia i dubbi dovuti alla tradizione, sia “i moduli guittoniani e la forma fortemente gallicizzante45”, hanno compromesso la sicura attribuzione dantesca. Barbi in merito non si

esprime approfonditamente mentre Contini, convinto che si tratti del medesimo autore della tenzone con Chiaro, non accantona l'ipotesi che possa essere dell'Alighieri. Lo boccia invece la Bettarini, assegnandolo al suo Maianese per alcuni stilemi (“nobile e saggio” è il “cortese e saggio” del sonetto Visto aggio scritto, simile anche in questo a Provvedi,

saggio, ad esta visïone46 e frequenti nel suo corpus i vari “paraggio”, “signoreggio”,

“avenente”), ripresi da De Robertis e Giunta per giustificare la loro incertezza nell'attribuirlo al fiorentino: se De Robertis fa riferimento alla “povertà del quesito47”,

Giunta si appoggia alla forma poetica del gioco (usata dal Maianese anche negli scambi con l'Alighieri), al lessico gallicizzante e alla personificazione del “volere”, la volontà in conflitto nell'animo del poeta, già presente in due incipit di Dante da Maiano:

Considerando, una amorosa voglia e Uno voler mi tragge 'l cor sovente. Controvento in

tale contesto più attuale si pone Guglielmo Gorni che, dando uno sguardo alla tradizione, nota come il solo manoscritto che tramandi la tenzone, il Marciano it. IX 191, affidi a Puccio il sonetto successivo di sicura paternità dantesca forse a lui indirizzato; e dunque 45 Cfr. RAGNI 19701 , pag. 565.

46 Il sonetto del Maianese in particolare richiama il nostro pseudo-dantesco qui analizzato perché, oltre ad alcune espressioni formali, vi è una similitudine di contenuto: se qui viene richiesto un consiglio relativo al corteggiamento di una donna, reso impervio e difficile dal suo status sociale, in Provvedi, saggio, ad

esta visïone l'autore interpella i suoi destinatari, i “fedeli d'Amore” (Dante stesso risponderà con Savete giudicar vostra ragione), affinché forniscano un parere sul significato di un suo sogno in cui una donna

molto bella gli regala una ghirlanda di fiori; per questo la bacia e abbraccia e nell'ultimo verso confessa di averla vista di fianco alla madre, morta. Il chiedere un commento a membri di una data schiera riguardo una visione o a un fatto onirico è topos comune nella lirica provenzale e soprattutto stilnovistica; lo stesso Dante aveva agito in tal senso con uno dei suoi primi componimenti giovanili, A ciascun'alma

presa e gentil core, in cui proponeva l'interpretazione di un sogno “cui esenza membrar gli dà orrore”:

Amore gli si palesava davanti tenendo in braccio “madonna” dormiente che poi, da lui svegliata, mangiava un cuore e se ne andava piangendo. A tale sonetto, tra gli altri, anche Dante da Maiano aveva risposto con l'ironica Di ciò che stato sei dimandatore, in cui invitava scherzosamente l'omonimo più giovane a lavarsi le “coglia” abbondantemente per raffreddare i bollori che lo facevano farneticare, rispondendo così “con facezie poco urbane” come afferma in modo elegante Contini (cfr. CONTINI 1980,

pag. 3). Oltre a tale scambio tra i due appena citato e al precedente riguardante la visione di Dante da Maiano, altre due sono le tenzoni: la già citata “tenzon del duol d'amore", su cui molto ha discusso Salvatore Santangelo (cfr. S. SANTANGELO, Dante Alighieri e Dante da Maiano, in Saggi danteschi, CEDAM,

Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova, 1959, pp. 5-19), artefice dello scambio di rime (tre all'Alighieri e due al Maianese e non viceversa, come era stato prima d'allora; tale variazione, come è stato detto, fu utilizzata da Foster-Boyde nella loro edizione), e la coppia di sonetti relativi al quesito d'amore proposto sempre dal Maianese in Amor mi fa sì fedelmente amare, con risposta del fiorentino

Savere e cortesia, ingegno ed arte.

probabilmente sarebbe possibile l'attribuzione del primo testo del dittico al nostro Dante.

3.3.2.

Così com nell'oscuro alluma il raggio (d. XXV)

Così com nell'oscuro alluma il raggio del sol quando vi fiere, similmente vostro saper l'anim' ov'ha ombraggio […...]-ente;

ond'io mi meraviglio (se per saggio, per me provar s'io son saggio nïente, non lo facete) come l'avantaggio

ch'è 'n voi del senno del mio sia querente. Ma poi vi piace, e per voi ubbidire, diraggio ciò che mi sembia d'amore: solo si pon dov'è lo suo disire,

non cura del più bel né del megliore po' c'ha sorpreso lo dolce abellire,

ch'avrà mostrato tornar in amore.

Barbi d. XXV; Contini 58a; De Robertis d. 15; Giunta d. XIVb.

Sonetto di schema ABAB ABAB CDC DCD (medesimo schema e medesime rime del precedente; riprese anche due parole rima: “saggio” v. 1; “sovente” v. 4): lacuna al v. 4 poiché il codice Marciano ripete per errore il v. 4 del sonetto missivo.

Componimento di risposta allo pseudo-dantesco Saper voria da voi, nobile e

saggio con le due quartine di complimenti ed elogi al corrispondente (“l'avantaggio / ch'è

'n voi del senno”) e la dichiarazione di inadeguatezza (“per me provar s'io son saggio nïente”). Cambio di registro invece nelle terzine dove Puccio non risponde direttamente alla domanda fatta dal mittente, non dicendogli cosa debba fare con la donna “di paraggio” che lo tenta, ma risolve il caso particolare appellandosi alla teoria, alla norma generica, “diraggio cò che mi sembia d'amore”: l'amore si pone su ciò che desidera e piace, senza badare e curarsi del “più bel” o del “megliore” e quindi Dante deve farsi avanti e amare senza timori e paura la sua donna “di paraggio”. Questa teoria d'amore

esplicata ai vv. 11-12, ricorda due topoi della poesia romanza: la libera elezione dell'amore, già teorizzata nel famoso trovatore occitano Bernart de Ventadorn e l'innamorarsi di ciò che piace e non di quello che dovrebbe piacere, a prescindere da età o censo sociale, anche questi motivi sviluppati nella poesia in lingua d'oc. Gli ultimi versi risultano di difficile interpretazione, in particolare il v. 14: “dopo che ha sorpreso il dolce piacere / avrà dato segno di potersi mutare in amore”: difficile è accettare la rima identica “Amore-amore” (che era stata congetturata da Pézard in “Amore-onore” ma senza riscontri48), come anche la punteggiatura (De Robertis pone una virgola dopo “mostrato”,

dividendo così la frase in due sezioni).

Il sonetto, come il missivo, viene riportato dal testimone unico Marciano it. IX 191, medesimo codice della tenzone con Chiaro Davanzati precedentemente analizzata.

Come già detto, il componimento, dal “forte stampo gallicizzante e guittoniano49”,

dal punto di vista del contenuto presenta motivi legati alla tradizione trobadorica e pre- stilonovistica, mentre sul piano della forma è ricchissimo di provenzalismi (“com”, “abbellire”), gallicismi (“alluma”, “ombraggio”) e sorprendenti meridionalismi (“facete”, “diraggio”) oltre all'isolato latinismo “querente”.

48 Cfr. PÉZARD 1967, pag. 115.

49 Cfr. V. PERNICONE, Così com ne l'oscuro alluma il raggio, in Enciclopedia Dantesca, vol. II, cit., 1970, pag.

Capitolo 4