La fenomenologia d'amore nelle ultime dubbie dantesche
Illustrazione 6: Innamorati, poesie de
5.6. Lo sottil ladro che negli occhi porti (d XVII)
Lo sottil ladro che negli occhi porti vien dritto a l'uom per mezzo della faccia, e prima invola il cor ch'altri lo saccia passando a lui per li sentier più accorti. Tu che a far questo l'aiuti e conforti però che sospirando si disfaccia,
fuggendo mostri poi che ti dispiaccia, e 'n questa guisa n'hai già quasi morti. Li spiriti dolenti disvïati
che 'n vece son del cor, che trovan meno, non domandan se non che tu mi guati; ma tu sè micidiale e hai sì pieno l'animo tuo di pensier sì spietati, ched ognun par che sia crudel veleno.
Barbi d. XVII; Contini 71; De Robertis d. 5; Giunta d. X. Sonetto di schema ABBA ABBA CDC DCD.
Il poeta si lamenta con la donna perché Amore, con le arti e tecniche di un “sottil ladro” si è insediato negli occhi di lei, conducendolo così a morte: l'amata è però sua aiutante (“Tu che a far questo l'aiuti e conforti”) e antagonista dell'autore e facendo così lo ha quasi ucciso. In realtà “Li spiriti dolenti disvïati” potrebbero recuperare forza e vigore dallo sguardo della donna che però è “micidiale” e non si concede, piena com'è “di pensier sì spietati” tanto da sembrargli zeppi di “crudel veleno”. Viene qui dunque espresso un topos che già avevam affrontato con d. IV, Deh piangi meco tu, dogliosa petra, dove la donna è violenta, è omicida, annienta il poeta non solo dal punto di vista mentale ma pure da quello fisico. Il motivo riconduce in modo più palese e diretto ai componimenti petrosi62, ma qui siamo di fronte, soprattutto nell'ultima terzina, a un forte 62 Dato l'approfondimento che ho fatto sul corpus petroso di cui si accennava prima (cfr. “Le rime aspre e
chiocce”, cit.), mi pare opportuno notare come il tema dello sguardo violento, degli occhi della domina
che, penetrando il poeta, lo annientano, sia riscontrabile anche ai vv. 23-24 di Al poco giorno ed al gran
cerchio d'ombra, dove Dante non trova riparo (“ombra”) dal “lume” dell'amata né in “poggio”, né in “muro”, né in “fronda verde”; una violenza di tal portata la ritroviamo anche nel sintagma “la dispietata
biasimo e a una profonda amarezza tanto espliciti “che non ha quasi paragoni nella lirica dantesca (né in quella di Cino, al quale il testo è attribuito da una parte della tradizione)”63; anche nelle dantesche E' m'incresce di me sì duramente e in Lo doloroso
amor (come si accennerà tra poco) sono riscontrabili motivi usati dall'Alighieri e qui
presenti, ma non con la stessa intensività emozionale.
Riguardo la tradizione manoscritta, abbiamo un'ingente fetta di codici a favore dell'attribuzione a Cino da Pistoia: il Casanatense 433, il n. 1289 della Biblioteca Universitaria di Bologna e il Trivulziano 1050, oltre che le testimonianze cinquecentesche a stampa (la Giuntina, la stampa di Niccolò Pilli e quella di padre Faustino Tasso). A Dante lo affidano invece il Laurenziano Rediano 184 e l'affine Chigiano L IV 131.
Nonostante vi siano richiami a topoi danteschi, come il tema di Amore che si contempla negli occhi della domina (già nella dubbia analizzata precedentemente XVI, Io
non domando, Amore, ma anche all'inizio de Ne li occhi porta la mia donna Amore e al v.
60 di Amor che movi tua vertù dal cielo), Barbi e poi Contini sottolineano come proprio questi occhi diventino “ladri” nel sonetto ciniano Io era tutto for di stato amaro. In realtà nello specifico nessuno dei due studiosi azzarda una sicura attribuzione all'uno o all'altro poeta: il primo, nel suo solito saggio del 1915, sostiene che il nostro sonetto “non ha solido appoggio né per l'una né per l'altra attribuzione64”, mentre il secondo nota come
tale espressione per designare lo sguardo sia presente anche in Giovanni Quirini, mentre l'amore visto come passione dolorosa e descritto con connotati ironici e sarcastici sia
Leitmotiv nel Cavalcanti. Posta tra le Rime dubbie di Cino da Pistoia nella silloge dei Poeti del Dolce stil nuovo a cura di Mario Marti, il sonetto è più incline all'attribuzione al
Pistoiese già per Mattalia e poi anche per De Robertis, sia perché è suo il modo “di sùbito passare da un'esperienza diretta a una norma o consuetudine (vv. 2-4), come in sonetti del tipo di Amor che viene armato a doppio dardo o Amor che vien per le più dolci porte65”,
sia anche poiché nella poetica dantesca è “insolito che il 'rubacuori' sia Amore, non gli occhi direttamente66” come pure la metafora finale dei pensieri che sembrano “crudel luce” del v. 36 di Amor, tu vedi ben che questa donna e “negli occhi, ond'escon le faville / che m'infiamman lo cor ch'io porto anciso” di Così nel mio parlar vogli'esser aspro (vv. 74-75).
63 Cfr. GIUNTA 2011, pag. 705.
64 Cfr. BARBI 1915, pag. 504.
65 Cfr. DE ROBERTIS 2005, pag. 524.
veleno”. Giunta invece non si sbilancia in merito, ma sottolinea tre motivi danteschi qui presenti:
• il consumarsi e soffrire degli spiriti vitali, appannaggio di una straziante e profonda sofferenza interiore, ricorda l'immagine fisiologica di E' m'incresce di me sì
duramente, vv. 40-42: “[l'anima] spessamente abbraccia / li spiriti che piangon
tuttavia, / però che perdon la loro compagnia”;
• la fuga della donna che cerca di scappare dal suo amato “è forse da mettere in relazione con quei passi nei quali il poeta constata amaramente la volubilità dell'amata: nella stessa E' m'incresce di me (seconda stanza) o in Lo doloroso
amor (prima stanza)67”;
• come già accennato poc'anzi (si veda la d. XXVI, nella cui prima quartina si legge “Degli occhi di quella gentil mia dama / esce una vertù d'amor sì piena, / ch'ogni persona ch'è là 'v'è s'inchina / a veder lei, e mai altro non brama”) lo sguardo della donna non è più evento miracoloso, ma fonte di turbamento per l'animo del poeta, come anche ai vv. 51-54 di Donne ch'avete (“Degli occhi suoi, come ch'ella li mova, / escon spirti d'amore inflammati, / che fèron gli occhi a qual che allor la guati, / e passan sì che 'l cor ciascun ritrova”) e nella d. XXVII che più avanti analizzeremo, De' tuoi begli occhi un molto acuto strale dove, come già si comprende dall'incipit, gli occhi dell'amata penetrano come una freccia molto aguzza (“acuto strale”) nel cuore del poeta, riuscendo ad avere l'effetto di un “colpo mortale” (6) e annientandolo. La potenza e violenza dello sguardo compare già, come abbiam sottolineato in precedenza, nella silloge petrosa.