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La danza orientale

3. LA DONNA NELLA SOCIETÀ ORIENTALE: HAREM, USI E

3.2. La danza orientale

Nel clima di estrema morigeratezza imposto alle donne in Oriente, le uniche donne che facevano eccezione – come emerge dal racconto della Nizzoli – erano le ballerine pubbliche, le quali danzavano per le strade del Cairo, senza pudore, «accompagnando i loro moti osceni con dei piattini o nacchere che facevano suonare colle dita»76. Indignata da cotanta volgarità, Amalia si rifiuta di offrire una descrizione del loro modo di ballare, considerato illecito e disdicevole per una donna, e infatti afferma che «è meglio tacere questi racconti e passarli sotto silenzio»77.

La Nizzoli poi venne invitata da Rossane, assieme ad un’altra ventina di signore, le più distinte del Cairo, ad una festa che si tenne in casa di Abdin Bey, in occasione del compleanno della figlia.

Alla festa – cui presero parte «alcune cantatrici sedute in disparte come immobili sopra di un divano, le quali con delle nacchere ed un cembalo accompagnavano la monotona loro voce, e la noiosa cantilena delle loro canzoni, che all’orecchio di quelle spettatrici sembrava più che celeste e scendeva dolcemente nel cuore»78 – era ammesso partecipare anche alle signore: esse venivano fatte sedere in disparte, su una tribuna chiusa da una griglia, da cui potevano guardare la sala in cui si trovavano i propri mariti, senza però essere viste a loro volta.

Nella stanza vi erano cinquanta turchi, tra cui Abdin bey e il marito di Amalia, sdraiati sopra dei bei divani, intenti a fumare pipe, mangiare dolci e bere caffè.

Ad un certo punto, verso sera, nella sala comparvero le ballerine pubbliche: la Nizzoli dovette assistere, scandalizzata, al loro spettacolo, sulla cui oscenità insistette nuovamente, senza indugiare però in dettagliate descrizioni.

Da uno strepito di tamburi, nacchere e trombette acute fu annunziato l’arrivo delle ballerine e dei suonatori; sei uomini coi loro istrumenti presero posto in uno di quegli angoli oscuri della sala, e quattro ballerine e due cantatrici sedettero a loro bell’agio sopra del divano, ingolfate nei

76

Amalia Nizzoli, Memorie sull’Egitto, cit., p. 40.

77

Ibidem.

78

110 loro molti drappi di seta, e tenendo tutto il viso coperto; sarebbesi detto essere quelle donne le più modeste del mondo. Furono trattate a caffè e liquore di cui ne tracannarono molto: dato il segnale, le ballerine gettarono via ogni imbarazzo, e vestite di soli larghissimi e lunghi pantaloni, e di un giubboncino, cinte le reni di uno sciallo di cachemir che ben disegnava e forse troppo il loro corpo, diedero principio alla danza. La mia penna rifugge dal descrivere l’oscenità di quel ballo, e gl’indecentissimi contorcimenti di esse [...]. Ogni volta che una o due ballerine terminano la danza si presentano agli spettatori domandando ad una ad una il regalo, cioè denaro, e qualche volta questi regali sono di valore [...]. Il talento principale di quelle ballerine non consiste nell’agilità de’ piedi, nella leggerezza ed equilibrio del corpo, od in graziosi atteggiamenti, bensì in un’estrema mobilità dei fianchi. Si può dire non essere altro quel ballo che una lasciva pantomima; l’espressione delle loro fisionomie accompagna ogni atto pieno di mollezza e di voluttà e di una indecenza ributtante79.

In un simile contesto la scrittrice provò una grande pena e compassione per il destino a cui erano condannate le donne turche, le quali dovevano assistere inermi a quello spettacolo in cui vedevano i propri mariti – incuranti del fatto che le loro mogli li stessero guardando – trastullarsi e intrattenersi liberamente con le ballerine, e accettare passivamente che essi giacessero con quante schiave piacessero loro (ad eccezione di quelle appartenenti alla moglie), dato che questo era legittimamente permesso ai turchi.

Queste povere donne, che, in preda alla gelosia e alla rabbia, rivolgevano le peggiori maledizioni contro le ballerine, osservando il comportamento del marito di Amalia, il quale si era solo limitato ad osservare quello spettacolo, senza prenderne parte attivamente e aveva così dato prova della sua assoluta fedeltà alla moglie, presero ad invidiare le donne europee.

A differenza di Amalia che, nel suo libro di memorie, aveva fatto riferimento alla danza orientale, limitandosi unicamente a sottolinearne l’indecenza e la volgarità, senza descriverla nei particolari, la Belgiojoso invece, in Vita intima e vita

nomade in Oriente, non disdegna di spendere qualche parola in più relativamente a

79

111 questa danza «universale», che – a suo giudizio – «merita appena di essere chiamata danza»80 e che viene praticata in tutto l’impero ottomano dai turchi, dagli arabi e da tutte le nazioni musulmane sparse nel territorio.

Cristina ebbe modo infatti, ad Eregli, di assistere a una tipica festa popolare, che si teneva in occasione della fine del carnevale.

Una cosa curiosa balzò subito agli occhi della scrittrice: i festeggiamenti si svolgevano «sui tetti a terrazza delle case, che, comunicando gli uni con gli altri attraverso pochi gradini o anche delle scale a pioli, formavano come una piazza pubblica in cui gli abitanti dello stesso quartiere circolano liberamente, pur restando al riparo dall’intrusione di estranei»81.

Tutta la popolazione, dunque, si ritirava sui tetti delle case sfoggiando i propri ricchi abiti; in questa occasione infatti vi era l’uso di esibire le proprie ricchezze e la propria magnificenza attraverso il vestiario: «gli uomini – scrive la Trivulzio – fondano il loro lusso sulla bellezza delle pellicce», mentre le donne si pavoneggiavano nell’esibire i propri diamanti, i propri corsetti dai delicati ricami, i propri colorati copricapo, dal tessuto pregiato, e le proprie acconciature.

In questo clima gioviale, all’arrivo dei musicisti si aprirono le danze, e così Cristina ne tratteggia le caratteristiche:

Due persone dello stesso sesso, ma sempre vestite da donna, si mettono l’una di fronte all’altra, con in mano delle nacchere, se ne hanno, due cucchiai di legno se invece mancano le nacchere, o anche niente del tutto; ma il movimento delle dita e la pantomima delle nacchere sono di rigore. Le due danzatrici piegano e distendono (stirano sarebbe più esatto) le braccia, scuotono rapidamente le anche, dondolano più lentamente la parte alta del corpo, scuotono leggermente i piedi senza tuttavia staccarli dal suolo. Pur continuando queste varie contorsioni, avanzano, indietreggiano, girano su se stesse e intorno a quella che sta loro di fronte, mentre il gruppo di musicanti, composto di solito da tamburello, grancassa e zufolo da pastore, batte il tempo sempre più rapido82.

80

Cristina di Belgiojoso, Vita intima e vita nomade in Oriente, cit., p. 69.

81

Ivi, p. 67.

82

112 E, inevitabilmente, segue l’opinione della Belgiojoso: «cosa abbia di grazioso questa danza, lo ignoro; ma quello che ha di indecente colpisce subito anche gli occhi meno esperti»83.

Anche nel diario della Vivanti, così come in quelli della Nizzoli e della Belgiojoso, si fa cenno alla danza orientale: l’amica Sofia infatti – di cui si è parlato, nel paragrafo relativo agli harem, per la sua descrizione del matrimonio orientale cui era stata invitata –, prima di arrivare nella stanza in cui si stava preparando la sposa, entrò in una sala, dalla quale provenivano «un suono di cetre e tamburelli, e risate argentine, e un ritmico batter di mani»84; questi suoni cessarono pochi istanti prima che Annie arrivasse.

Entrata all’interno, trovò una stanza sfavillante di luci, «gremita da una folla di giovinette sedute in terra, tutte strette e vicine», per lo più «belle e di carnagione chiarissima, con gli occhi esageratamente tinti di bistro»85. Su un divano addossato alla parete sedevano invece quattro donne «in vesti sgargianti e ricoperte di monili e di zecchini»86; Annie pensava che la sposa fosse tra loro quattro, ma in realtà ben presto scoprì che costoro erano delle ballerine.

Ricominciato infatti il «cadenzato batter di mani e di tamburelli», le quattro donne, rimanendo sedute sul divano, «facendosi schermo col braccio al viso, iniziarono le caratteristiche mosse ondulanti e convulsive della danza orientale»87.

83

Ibidem.

84

Annie Vivanti, Terra di Cleopatra, cit., p. 168.

85

Ibidem.

86

Ibidem.

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