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4. LA DONNA NELLA SOCIETÀ OCCIDENTALE: CONFRONTO

4.2. Il matrimonio

Si è detto, nel capitolo precedente, che le ragazze negli harem orientali, raggiunta l’età di tredici/quattordici anni, venivano vendute come schiave o date in matrimonio a degli uomini, talvolta anche molto più vecchi, senza alcuna possibilità di scelta. Fin dai tempi più antichi, infatti, la donna – anche in Occidente – è sempre stata vista come una proprietà dell’uomo, del padre prima, del marito poi; il matrimonio era l’unico strumento che avrebbe potuto garantirle protezione e un certo riconoscimento sociale.

La fanciulla, già nella più tenera età, custodiva pertanto nel suo cuore il desiderio di incontrare l’uomo che sarebbe stato il «dispensatore di ogni sua gioia», che l’avrebbe amata con passione, e al quale ella avrebbe consacrato «tutto il suo cuore, tutti i suoi affetti e la intera sua vita»13.

Tuttavia, questo sogno – come riporta la Trivulzio nel suo saggio – era destinato ad essere infranto: essa non veniva affatto interpellata nella scelta di colui che sarebbe dovuto diventare suo marito, signore e padrone. Era la famiglia a scegliere al suo posto, non sulla base dei sentimenti della giovane, bensì sulla base di altri fattori:

si valutano i beni di fortuna, il nome, il grado, lo stato sociale di colui che la chiede in isposa, e nulla più, sotto il puerile pretesto che dopo pochi mesi o pochi anni di matrimonio le attrattive della persona non si osservano più, e che i soli elementi durevoli di felicità, sono le ricchezze e le soddisfazioni dell’orgoglio14

.

Questa impossibilità di scegliere, dunque, condannava la donna a legarsi ad un uomo che, nella maggior parte dei casi, non conosceva, «che non le ispira – spiega la Belgiojoso – né amore, né fiducia, ma piuttosto timore e avversione»15.

Tutto ciò la rendeva notevolmente triste, le faceva perdere ogni speranza e non le rimaneva altro da fare se non accettare, con rassegnazione, quanto era stato deciso

13

Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, cit., p. 104.

14

Ibidem.

125 per lei. Imponendo a se stessa di adempiere, con ogni sforzo, ai doveri matrimoniali, credeva di trovare una vera felicità e un sincero appagamento nel farlo; ma, nella realtà dei fatti, questa felicità era falsa e illusoria.

Pertanto, rivolgendo una critica determinata verso questi meccanismi di oppressione che sottomettono la donna, Cristina sottolinea quanto sia ingiusto costringere il bel sesso a sacrificare la propria felicità e ogni gioia terrena per il buon nome della famiglia, dal momento che questa costrizione è causa di infelicità:

Non di rado pure la donna scaduta da ogni desiderio e da ogni speranza, si rassoda nel coraggio della rassegnazione: impone a sé stessa di accettare sinceramente i propri doveri, e di trovare una sufficiente felicità nell’adempimento di questi.

Cosiffatti sforzi e trionfi della volontà sull’istinto sostengono la donna nella vita, le costituiscono una tal quale felicità, ma assai diversa dalla felicità spontanea che dorava i sogni della giovinetta, e, diciamolo francamente, non è quella vera felicità che rasserena lo sguardo, affretta i battiti del cuore, colora le guancie e atteggia le labbra al sorriso. È un contento freddo e tranquillo, nata da una vittoriosa rassegnazione, e dalla soddisfazione della coscienza. È una bella cosa, ma non è la felicità16.

Una prova del fatto che – come affermato dalla Belgiojoso nel saggio – il matrimonio non fosse un fatto privato e personale della donna, bensì fosse di interesse familiare, è ben testimoniato dal caso di Amalia Nizzoli, la quale, nelle sue

Memorie sull’Egitto, racconta dei numerosi tentativi compiuti dagli zii di farle

prendere marito.

A tal proposito, la scrittrice narra di aver catturato, durante il suo soggiorno ad Asyut, l’attenzione di un certo Paolo D’Andrea, un commerciante di circa cinquant’anni, nato a Smirne e d’origine francese, il quale aveva chiesto ufficialmente la sua mano a suo padre e a suo zio.

Nonostante la differenza di età, lo zio insistette molto affinché lei accettasse la proposta, tenuto conto del fatto che si trattava di un buon partito. Pur tuttavia, Amalia rifiutò, adducendo come giustificazione la sua giovanissima età.

16

126 E, in questo modo, descrive lo stato d’animo con cui dovette fronteggiare l’insistenza degli zii, e la forza con cui riuscì a prevalere sulla loro volontà:

Io rimasi molto sorpresa di un simile progetto, né avrei mai immaginato che il signor D’Andrea, che non aveva mai dato il minimo indizio di pensare a me, e pel quale io concepii, fino dal primo momento che lo vidi, una specie di antipatia, aumentata progressivamente (il che mi sia perdonato), si potesse a un tratto risolvere ad avermi per moglie.

Risposi a mio zio che avendo soltanto quattordici anni, mi sembrava di essere troppo giovane perché mi si parlasse di matrimonio, che però avrei consultato volentieri l’opinione dei genitori; ma questi mi lasciarono in piena libertà di far ciò che il cuore mi dettasse. Assicurata così da chi mi aveva data la vita, e non sentendomi punto inclinata per il signor D’Andrea, ebbi la fermezza di resistere alle reiterate osservazioni ed istanze che i miei zii mi andavano facendo per indurmi a fare la loro volontà: ma o forse l’antipatia che aveva per quell’uomo a lunghi mustacchi, o poca disposizione per allora al matrimonio, non valse a distrarmi dal mio proponimento verun tentativo di persuasione17.

Non passò però molto tempo che, giunta al Cairo, le venne nuovamente proposto dallo zio – fortemente intenzionato a farla accasare – un altro buon partito da non trascurarsi: si trattava dell’italiano Giuseppe Nizzoli, Cancelliere del Consolato austriaco ad Alessandria.

Al fine di persuadere Amalia sulla convenienza di tale matrimonio, lo zio Marucchi fornisce alla nipote una descrizione di quest’uomo che la chiese in sposa, dalla quale ben si evince quali erano le caratteristiche che più di tutte venivano valutate dalla famiglia nella scelta dello sposo:

Soggiunse allora lo zio: «Questo è un uomo giovane, di molto spirito [...], porta una bell’uniforme, è italiano come voi, e poi dalle informazioni avute gode, e per la sua condotta, e per ogni rapporto, l’opinione pubblica più favorevole; finalmente copre un posto onorifico, e farà carriera, per cui vi vedremo presto divenire consolessa»18.

17

Amalia Nizzoli, Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali e degli harem

scritte durante il suo soggiorno in quel paese (1819-1828), a cura di Sergio Pernigotti, Napoli, Edizioni

dell’Elleboro, 1996, pp. 49-50.

18

127 Seppur spaventata all’idea di sposarsi con un uomo a lei sconosciuto, accettò: «all’età di quattordici anni – scrive la Nizzoli – si riflette tanto poco, ed io fui talmente soggiogata dall’eloquenza che mio zio adoprò, che non mi fu possibile di rispondere altro che un sì»19.

Dopo aver ultimato le trattative necessarie, si celebrò, al Cairo, il matrimonio per procura; il Nizzoli infatti, non potendo parteciparvi per motivi di lavoro, inviò una persona di sua fiducia, che avrebbe dovuto farne le veci.

Ma quale non fu la tristezza che, in cuor suo, provò la scrittrice, quando, inginocchiatasi sui gradini dell’altare della chiesa parrocchiale, dovette giurare amore e fedeltà a un uomo che neppure conosceva e che non era neppure lì presente per vederlo dal vivo: «Io non poteva persuadermi – riporta Amalia, con parole dense di sconforto – come fosse possibile di legarsi per tutta la vita con tanta indifferenza, e malgrado la mia giovinezza sentiva di quanta importanza fosse un tal passo, e ne palpitava. Piansi dinanzi all’altare, piansi tutto quel giorno»20.

Nonostante le premure che il Nizzoli nutriva nei suoi confronti, Amalia afferma di essere stata, nei primi mesi di unione, «più stordita che soddisfatta», di essere rimasta in uno stato di totale afflizione, soprattutto dopo la separazione dai suoi genitori, e di aver dimostrato poco interesse e amore nei riguardi del suo sposo; tuttavia, col passare del tempo, la situazione cambiò. Racconta la Nizzoli:

Ma non andò molto ch’io fui riconoscente al suo affetto, ed il sentimento di madre che si sviluppava in me finì per affezionarmi vivamente a lui: mi ristabilii in salute, e trovai d’allora in poi quella calma che non gustava più da tanto tempo21.

Il matrimonio, quindi, alla fine, si rivelò essere felice e, grazie ad esso, Amalia godette di una situazione sociale molto vantaggiosa all’interno della società egiziana. 19 Ivi, p. 51. 20 Ibidem. 21 Ivi, p. 53.

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