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Struttura del racconto

6. STRATEGIE E TECNICHE NARRATIVE

6.1. Struttura del racconto

Le Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali e gli

harem si aprono con una dichiarazione di intenti dell’autrice, la quale spiega le

ragioni che l’hanno spinta a pubblicare, in veste di diario, gli appunti scritti durante il suo soggiorno in Oriente, incentrati su ciò che più impressionò la sua mente di ragazzina che, all’età di tredici anni, seguì la famiglia, diretta verso un mondo nuovo e lontano.

Assumendo il duplice ruolo sia di narratrice che di personaggio, la Nizzoli da un lato si prefigge l’obiettivo di fornire informazioni sul paese in cui giunge e, dall’altro, dà notizia anche di quanto essa stessa ha vissuto in prima persona.

Pertanto, mentre, a dispetto del titolo, dei diciassette capitoli in cui si suddivide il racconto – tutti aventi un evidente intento didascalico –, solo i tre centrali, dall’ottavo al decimo, hanno come oggetto la descrizione della popolazione femminile orientale, degli harem e dei suoi costumi, i restanti sono incentrati sia sulla rappresentazione attenta delle città, del paesaggio naturale e degli affascinanti e lussuosi palazzi dai giardini abbelliti con fiori e fontane, che sulle feste popolari, sull’organizzazione socio-politica del paese, sugli abitanti e le loro condizioni di vita.

Inoltre nel diario – come già anticipato – trova spazio anche il resoconto delle peripezie affrontate da Amalia durante il viaggio, dei ripetuti rischi di naufragio, delle prime impressioni all’arrivo in un paese sconosciuto, a contatto con persone che inizialmente non le ispiravano alcuna fiducia, delle esperienze positive, come il matrimonio con Giuseppe Nizzoli, da cui la scrittrice trasse numerosi vantaggi in termini di prestigio sociale, e di quelle fortemente dolorose, tra cui la drammatica morte della sua seconda figlia sopraggiunta in nave, mentre erano dirette verso Smirne.

Con particolare destrezza, la Nizzoli riesce a spaziare tra questa gran varietà di temi in modo rapido e sapiente. Senza indugiare troppo a lungo sugli argomenti

170 trattati, dopo averli analizzati interrompe il racconto e proietta il lettore su un’altra inquadratura, in medias res: ecco allora che si passa dal deserto d’Egitto al Nilo, lungo le cui rive verdeggianti si susseguono palmizi, piante di datteri e alberi di acacia; dalle strade del Cairo, gremite di gente di ogni grado e classe, ai lussuosi palazzi aristocratici in cui ad esempio Amalia entrò per far visita alla moglie del Defterdar Bey e a quella di Abdin Bey; dalla fontana dove le donne erano solite recarsi per attingere l’acqua, al mercato degli schiavi.

Non molto diversamente dal diario della Nizzoli, anche la struttura di Vita

intima e vita nomade in Oriente riproduce le diverse tappe del cammino della

principessa Belgiojoso, diretta verso Gerusalemme; nell’arco di quattro capitoli, la scrittrice richiama alla mente i ricordi che il suo viaggio in Oriente le ha lasciato. Dopo aver speso alcune parole sulla valle turca di Eiaq-Maq-Oglu, in cui abitava, e sulle lotte politiche di cui, nel corso del tempo, la valle era stata teatro, dà notizia della decisione presa di allontanarsene per alcuni mesi, onde recarsi in Terrasanta per far ricevere la comunione a sua figlia.

Nel prosieguo del racconto, oltre ad offrire una testimonianza di tutte le difficoltà che dovette affrontare e dei mille ostacoli che implicava il viaggiare a piedi, attraverso il deserto, Cristina rivela una sensibilità particolare nell’indagare e studiare, nel modo migliore possibile, la vita domestica della civiltà musulmana e nel far conoscere l’Oriente ai lettori proprio attraverso la descrizione delle usanze, dei comportamenti e delle istituzioni che dominavano tra gli abitanti dei villaggi, dai quali, di volta in volta, riceveva ospitalità durante il percorso: si parla allora del novantenne muftì di Cerkes e del suo harem – il primo in cui la Trivulzio si imbatté e che le rimase impresso per lo squallore e la sporcizia degli ambienti –, costituito da moltissime mogli e da una schiera infinita di figli di ogni età; del muftì di Ankara e del convento di dervisci che ebbe modo di visitare in questo paese; e, ancora, di Mustuk Bey, principe del Giaur Daghda – la temibile montagna che la scrittrice dovette superare –, e di sua moglie, la quale, stupita dalla presenza di una donna occidentale in casa sua, in assenza del marito rivolse a Cristina diverse domande sugli usi e i costumi occidentali, domande da cui trapelava tutta la sua curiosità.

171 I paesaggi che fanno da sfondo al terzo capitolo sono la vallata di Antiochia, Latakia – lungo la costa siriaca – e Beirut, mentre invece, in conclusione del diario, si dà un resoconto della vita orientale in Galilea e in Giudea: dopo aver trattato dei luoghi celebri della Bibbia e del Vangelo che, via via, veniva ripercorrendo fino all’arrivo a Gerusalemme, la Belgiojoso sintetizza e raccoglie nel paragrafo finale le sue riflessioni relativamente all’impero ottomano e alla religione musulmana.

Si sposti ora l’attenzione sul racconto della Serao: Nel paese di Gesù si articola in nove sezioni, corrispondenti ai vari momenti del viaggio della scrittrice in Terrasanta.

Nella prima sezione, intitolata Navigando verso Soria e suddivisa, a sua volta, in altri capitoletti (In mare; Il Nilo; Il Cairo; Le Piramidi; Soria, Soria!), Matilde dà notizia della sua partenza e della sua grande tristezza iniziale, allorché il battello, preso il largo, si allontanava sempre più dall’amata Napoli.

Segue poi il racconto dell’arrivo ad Alessandria d’Egitto, della misteriosa e suggestiva visione notturna del Nilo, della visita alla città del Cairo, di cui si propongono diverse scene di vita quotidiana e si registrano le varie attività in cui sono impegnati gli abitanti del luogo: dagli arabi che si rincorrono, chiamandosi a distanza, ai turchi che stanno fermi di fronte a un caffè o camminano, con calma e adagio; dagli europei che vanno a lavorare negli uffici egiziani, agli inglesi che passano per le strade d’Egitto; dai contadini che vengono nel Cairo per vendere le proprie merci, agli spacciatori di acqua fresca, ai venditori di frutta.

Infine, lasciato il porto di Alessandria, mentre si dirigeva verso la Palestina, la Serao riecheggia nella sua mente il ricordo delle vecchie ballate e leggende sui crociati, conosciute nella fanciullezza, e i canti della Gerusalemme liberata sulle imprese dei guerrieri cristiani, infelici e sventurati come il poeta che li cantò.

La seconda sezione Sciolto il voto (articolata in: In ferrovia, Nella Chiesa;

Quella tomba; Adorando; Nella notte) è incentrata sul viaggio in treno da Jaffa a

Gerusalemme e sull’adorazione alla tomba di Cristo nella chiesa del Santo Sepolcro: secondo le usanze religiose infatti, il primo dovere di un cristiano che entra in Terrasanta è proprio quello di andare ad adorare la tomba divina.

172 Nel capitolo Jerusalem, Jerusalem!, tripartito in La città, Il popolo e L’anima, la Serao tenta di rispondere al quesito su quale sia il vero popolo di Gerusalemme, arrivando alla conclusione che non vi è una risoluzione al problema, e che la vera bellezza e la straordinarietà della città risiede proprio nel fatto di essere varia e multietnica.

Accompagnano i capitoli successivi sensazioni contrastanti di malinconia, nel ripercorrere le stesse strade su cui camminò anche Gesù, mentre, caricato del peso della croce, si dirigeva verso il luogo della sua crocifissione; di gioia e di pace idilliaca, davanti allo spettacolo offerto dal giardino del Getsemani, dai dolci paesaggi di Betlemme e di Nazareth e dalle rive del Giordano; di tristezza, per la desolata valle di Giosafat; di pena e pietà per una povera monaca, malata di tisi, incontrata durante la processione del Corpus Domini; di sgomento e orrore per le città di Sodoma e Gomorra, che giacciono sotto le acque del Mar Morto. Si vedano le sezioni relative, intitolate La via dolorosa, Nell’idillio, Quattrocento metri sotto il

mare e In Galilea.

Nei due capitoli conclusivi, in San Francesco in Palestina e L’ultimo giorno, la Serao dà notizia dell’opera caritatevole e assistenziale portata avanti dai frati francescani in Palestina, con umiltà, ardore e passione, seguendo le orme del loro maestro san Francesco d’Assisi; infine, fornisce al lettore, in sintesi, una serie di indicazioni pratiche su come affrontare il pellegrinaggio in Terrasanta.

Secondo l’interpretazione di Francesca Parmeggiani, secondo la quale il resoconto di viaggio della Serao – fedele e umile cronista della sua memoria1 – ha un carattere particolare, l’itinerario reale, seguendo «la vicenda di Gesù a partire dal suo epilogo, cioè da Gerusalemme, alla sua origine in Nazareth, alla maternità di Maria» e attraversando tutti i luoghi della predicazione, non riproduce l’ordine cronologico degli eventi – così come sono riportati nel Vangelo –, bensì «coincide

1

Nella prefazione a Il romanzo della fanciulla, la Serao stessa scrive: «Io scavo nella mia memoria, dove i ricordi sono disposti a strati successivi [...], e vi do le note così come le trovo [...]. Se ciò sia conforme alle leggi dell’arte, non so: dal primo giorno che ho scritto, io non ho mai voluto e saputo esser altro che un fedele, umile cronista della mia memoria. Mi sono affidata all’istinto e non credo che mi abbia ingannata», in Matilde Serao, Il romanzo della fanciulla, a cura di Francesco Bruni, Napoli, Liguori, 1985, p. 5.

173 con l’itinerario ideale dell’anima, che l’evento traumatico e salvifico della morte di Cristo (sezione «La Via Dolorosa») costringe al confronto con il peccato (sezione «Quattrocento metri sotto il mare»), per procedere poi alla purificazione nel sentimento di dedizione e amore cristiano (sezione «In Galilea»)»2.

Per quanto riguarda Terra di Cleopatra, stando a quanto già rilevato da Marco Sirtori3, Annie Vivanti conferisce al suo diario una struttura narrativa ben meditata: se da un lato i temi e le situazioni si susseguono seguendo una disposizione coincidente con le tappe dell’itinerario della viaggiatrice diretta verso l’Egitto, dall’altro vengono collocati anche secondo un evidente principio di variazione, dal momento che ad indicazioni turistiche e storico-archeologiche si alternano pagine di impegno socio-politico – come quelle in cui si riportano i già citati discorsi che la scrittrice ebbe con Zagloul Pascià, con Lord Meston e con la sua guida Hassen, dalle quali trapela la sua chiara ideologia anti imperialismo britannico – e momenti d’espansione lirica, in cui ad esempio esalta il fascino esercitato su di lei dalla solitudine del deserto.

Il racconto, che è diviso in ventidue brevi capitoli di facile e veloce lettura – soprattutto grazie ai numerosi e accesi dialoghi che accompagnano la narrazione –, a loro volta racchiusi in tre sezioni – Verso gli inviolati silenzi del deserto, Presso le

scroscianti cateratte del Nilo e Tra gli eterni splendori di Tebe –, si apre in

un’atmosfera onirica.

Nel primo capitolo infatti, intitolato La traversata, Annie si ritrova nel deserto libico su un cammello, e si sta dirigendo verso la tomba di Tut-Ankh-Amen, scoperta pochi anni prima dall’egittologo britannico Howard Carter; davanti a lei, issato su un altro cammello, «dondola un arabo alto e solenne», mentre al suo fianco «corre un negro in una lunga camicia azzurra, col turbante calato a sghimbescio sopra l’occhio sinistro, che è cieco», i cui «piedi nudi battono la sabbia con ritmo molle e veloce»4.

2

Francesca Parmeggiani, Matilde Serao e il viaggio, in AA.VV., Ritratto di signora. Neera (Anna Radius

Zuccari) e il suo tempo, Milano, Angelo Guerini, 1999, p. 82.

3

Cfr. Marco Sirtori, «Viaggiando impararem geografia». Annie Vivanti tra narrativa e odeporica, in AA.VV., Spazi Segni Parole. Percorsi di viaggiatrici italiane, Milano, Franco Angeli, 2012, p. 211 e sgg.

174 Tutto questo le appare però come un sogno e, non riuscendo lei stessa a credere a quanto le sta accadendo, scrive:

Io certo sogno. Non è possibile che sia vero tutto quanto mi accade!... Mi pare ch’io stia facendo uno di quei sogni stravaganti e pazzeschi che, al mattino, quando si vorrebbero ricordare e raccontare, sfumano, si confondono, dileguano nella più insensata incoerenza5.

Tuttavia, subito viene riportata alla realtà da un amuleto formato da «otto piccoli gatti di giada verde infilati su uno spago»6, che le era stato regalato da una donna, incontrata nel deserto, e che lei stessa ora tiene stretto tra le mani.

Si sottolinea il fatto che l’Oriente e il viaggio stesso in Egitto è sempre visto dalla Vivanti come un sogno, e questa parola difatti viene ripetuta molte volte nel corso della narrazione: è un sogno per lei il trovarsi in Egitto nel deserto; come un sogno passa la traversata in mare per giungere alla sua destinazione; di fronte all’imponenza delle grandi piramidi, la scrittrice sogna di vedere migliaia di schiavi che, in passato, trasportavano con le loro gracili mani dei giganteschi blocchi di sassi e li issavano l’uno sull’altro, fino ad altezze vertiginose, per costruire tali opere monumentali; immersa nella pace e nella tranquillità del deserto, come un sogno le appare la lontana Europa, con la sua modernità e le sue città febbrili e rumorose. E infine, inevitabilmente, come se stesse ancora una volta vivendo un sogno, Annie saluta l’Egitto e chiude il racconto con queste parole:

Con questa visione, in questi sogni, io ti lascio, Egitto, terra di splendore. Per quante meraviglie tu mi possa ancora rivelare prima che le azzurre acque del Mediterraneo mi portino lontana, nulla potrà uguagliare il tuo fulgore in questo istante. Qui, nell’ora tua più trionfale, nel luogo tuo più sacro, mi accomiato da te... Come un immenso sussurro, come un gigantesco frusciar d’ali sorge il vento del Sahara e passa turbinando sopra le sabbie. È forse lo spirito del Deserto che mi saluta?

O Egitto, terra di poesia, terra d’incanti... addio!7

5 Ivi, p. 9. 6 Ivi, p. 10. 7 Ivi, pp. 186-187.

175 Oltre alle affascinanti descrizioni dei paesaggi e dei tramonti, e delle accorate narrazioni delle vicende di cui è vittima il popolo egiziano, contenute all’interno del diario, in esso la Vivanti rivela anche un certo fascino per il mistero e l’enigma: si considerino allora i misteriosi vaticini nella sabbia e la predizione del suo destino; gli incantesimi del famoso Soleman, in grado di attrarre a sé scorpioni e serpenti; il racconto di Carter sulla morte del suo canarino, mentre si trovavano, insieme, nella cripta di Tutankhamon.

Si tratta naturalmente di espedienti narrativi volti a catturare l’attenzione del lettore e stimolarne l’interesse.

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