• Non ci sono risultati.

De’ massi soggetti a pressioni verticali

1.2.3 Dei Muri

1.2.3.3 De’ massi soggetti a pressioni verticali

<<[…]Denoteremo d’ora innanzi i piedritti con la semplice denominazione di muri, chiamando muri dritti ovvero rettangolari quelli che lateralmente sono terminati da facce verticali, e muri a scarpa quelli che hanno una o entrambe le facce laterali inclinate all’interno. La prima forma si assegna generalmente ai muri che non hanno a far contrasto a veruna spinta laterale e debbono soltanto reggere il proprio peso e

talvolta anche quello d’altre masse o d’altre parti della fabbrica che agiscono verticalmente contro la resistenza di essi allo schiacciamento.>>

(N. Cavalieri San-Bertolo, libro III, Capo VII, pag 81) Sono queste le parole con le quali il Cavalieri nel Capo VII: Della Stabilità de’ Piedritti, da principio alle riflessioni circa la resistenza allo schiacciamento di muri e pilastri isolati. Egli sulla scorta delle indicazioni di Scamozzi, Milizia, Venturoli e non ultimo Rondelet, fornisce la condizione d’equilibrio affinché la stabilità di una porzione di muro unitario o un pilastro deputato a sostenere carichi verticali possa risultare <<solida>>, e quindi non soggetta a fenomeni di schiacciamento e rottura, secondo quanto segue:

<<[…]intorno alla stabilità di resistenza de’ muri […] chiamando P il peso estraneo di cui dev’essere sopraccaricato il piedritto, e supponendo che sia X l’area della base ad a l’altezza del piedritto medesimo, ed in oltre p la gravità specifica, ed R la resistenza del muro allo schiacciamento, vale a dire quella della malta, o quella della pietra di cui è composto, secondo che l’una o l’altra di esse è la minore; espressa cotesta resistenza secondo il consueto dal massimo peso che può essere sopportato da ciascun centimetro quadrato dell’area della base premuta, egli è chiaro che, riducendo alla sola metà il valore della resistenza e moltiplicandolo per 10.000, poiché si assume il metro per unità di misura, la condizione della stabilità sarà contenuta nell’equazione.

a p X + P = 5000 R X dalla quale si ricava

X = P / ( 5000 R – a p )

Quindi se saranno dati gli elementi a p, P R, si renderà nota l’area X, che dovrà essere assegnata alla base del piedritto, affinché si verifichi la condizione della stabilità dipendente dalla resistenza dei materiali componenti alla compressione. E quando si tratti d’un muro parallelepipedo, se intenderemo che PI rappresenti quella parte del peso estraneo P, la quale agisce sull’unità di lunghezza, cioè sopra ciascun metro dell’estensione longitudinale del muro, chiamando X la grossezza uniforme del piedritto, troveremo

X = PI/(5000 R – a p) >>

diverrebbero le due facce del muro, o almeno una di esse. Per la qual cosa suol praticarsi di scemare la grossezza a riprese nei diversi piani dell’edificio, formando a ciascun piano una risega, come nel passaggio dai muri di fondamento a quelli sopra terra, senza alterare la verticalità delle facce del muro. Queste riseghe […] per lo più si dispongono internamente a livello de’ pavimento dei varii piani ove restano affatto invisibili, come si osserva nell’Anfiteatro Flavio.

Pei muri d’ambito si prescrive che generalmente la contrazione totale non abbia ad esser minore di una quarta parte della grossezza alla base.

Lo Scamozzi stabiliva che un edificio a tre piani della totale altezza di m. 28,59 i muri maestri dovessero farsi di grossezza uguale a tre lunghezze di mattone, cioè a m. 0,71circa di tutta l’estensione del primo piano; e che a ciascuno degli altri due piani la contrazione dei muri dovess’essere uguale alla metà della lunghezza del mattone, cioè a m. 0,12 prossimamente, in guisa che al terzo piano la grossezza de’ muri si riducesse al doppio di tale lunghezza, vale a dire a m. 0,47 circa.

Ed il Belidor di poco si allontanava dalla regola dello Scamozzi, mentre insegnava che a ciascun piano ascendendo i muri maestri dovessero scemare in grossezza di circa m. 0,16.

Quanto i muri di tramezzo vuole il Rondelet che, discendendo da un piano all’altro abbiano essi ad aumentare di m. 0,027 in grossezza se sono costruiti di pietrame leggiero e tenero come il tufo; e di m. 0,013 quando son fabbricati di laterizi, o di pietrame forte […]>>

(N. Cavalieri San-Bertolo, libro III, Capo VII, pag 87) In fine, il Cavalieri riporta notizie circa i rapporti che intercorrono fra il complesso edilizio e le aree occupate dalle sole pareti murarie; egli evidenzia, infatti, come il lavoro di attenta analisi svolto dal Rondelet non sia vano e privo di senso e concordando sulla necessità di ricercare guardando ai grandi esempi del passato, riporta i dati già citati.

Rondelet (Figure 1.34-5) ha quindi, fissato il rapporto medio fra l’aria totale della pianta e la medesima occupata dai soli muri; sostenendo che questa risulta essere ben proporzionata e governata da precisi rapporti formali.

Figura 1.35 Fabbriche osservate dal Rondelet – Cavalieri, 1839

Il Borgnis riporta analoga notizia; tuttavia, i dati sono restituiti secondo una differente chiave di letture.

<<Rondelet pose pure al confronto le piante di molti rinomati fabbricati per rinvenire il rapporto tra l’area totale e la porzione d’area occupata dai muri e dai piedritti, ed ottenne i risultamenti che seguono: (Figure 1.34-5)

Figura 1.36 Fabbriche osservate dal Rondelet – Rapporti formali che governano i rapporti planimetrici fra area occupata dai setti murari e area totale complensiva degli stessi. (Borgnis, 1848)

Figura 1.37 Fabbriche osservate dal Rondelet – Rapporti formali che governano i rapporti planimetrici fra area occupata dai setti murari e area totale complessiva degli stessi. (Borgnis, 1848)

(G.A.Borgnis, libro II, p 166-7) Concludiamo questo capitolo con la riflessione sottoposta all’attenzione del lettore da parte del Cavalieri, in chiusura del Capo VII, a suggello delle argomentazioni circa la stabilità di piedritti e muri isolati:

<<tutte le precedenti formole della stabilità de’ piedritti, relativamente all’attitudine de’ medesimi di resistere ad una spinta laterale, furono dedotte nella meccanica indipendentemente da ogni considerazione della tenacità che tiene unito il muro alla sua base e fa essa pure non lieve contrasto alla spinta, opponendosi così al movimento progressivo come al movimento rotatorio della massa del piedritto. Il Navier ha recentemente fatto prova dell’introdurre ne’ calcoli statici dell’equilibrio dei piedritti cotesto nuovo elemento di resistenza. Ma questo passo, mentre tende senza dubbio al perfezionamento della teoria, poco o niun vantaggio reca alla pratica, atteso che, per quanto matematicamente rigorose sieno le formole della stabilità che ne risultano, nell’applicazione delle medesime l’elemento della tenacità sarà sempre di non lieve imbarazzo, mentre per l’effettiva