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Declaratorio d'incostituzionalità della presunzione assoluta d

Capitolo IV. Lo sviluppo della disciplina in materia di rapporti tra

4. Declaratorio d'incostituzionalità della presunzione assoluta d

L'esito infruttuoso delle eccezioni di incostituzionalità sollevate in riferimento alla legge 14 luglio 1993 n. 222 non riuscì tuttavia a placare le polemiche scatenatesi.

Nelle strenua difesa dell'incompatibilità tra lo stato di detenzione e lo stato di affezione da AIDS la stessa Corte Costituzionale non mancò di sottolineare come non fossero del tutto campate in aria le preoccupazioni sui rischi che potevano derivare dalla normativa in questione per l'ordine e la sicurezza pubblica.

Più precisamente la Consulta, difendendo il meccanismo di differimento della pena e il diverso trattamento legale dei malati di AIDS, procedette ad evidenziare quello che era in realtà il limite fondamentale della legge, ossia il non aver individuato «modalità di intervento alternative al carcere che fossero in grado di meglio contemperare, nei confronti dei soggetti interessati, le diverse esigenze della tutela sociale e della tutela della salute individuale»162

.

Rimanevano quindi incertezze su una norma ispirata dall'esigenza di rendere più umana la pena ma, in concreto, finalizzata a dare una risposta alla situazione emergenziale del circuito penitenziario.

Gli argomenti della dottrina e le persistenti censure della magistratura, amplificate anche dalla vicenda della cosiddetta banda dell'AIDS di Torino, che, sbandierando di fronte alla stampa e alle forze dell'ordine la propria impunità compì una serie di rapine nei primi mesi del 1995, fecero sì che la Corte Costituzionale si trovò di nuovo investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 146 comma 1 n. 3 c.p. e 286 bis comma 1 c.p.p..

Relativamente al primo articolo fu il Tribunale di Sorveglianza di Palermo a sollevare questione di legittimità costituzionale in riferimento agli art. 2, 3, 27, primo comma e terzo, e 32 Cost.163

, evidenziando gli elementi critici già posti a fondamento della sentenza n. 70 del 1994.

La risposta tardò ad arrivare, poiché si attendeva sempre un intervento normativo a dirimere la questione; di fronte agli indugi del legislatore la Consulta dovette tuttavia pronunciarsi con la sentenza n. 438 del 1995164

, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 146 comma 1 numero 3 c.p..

In primis veniva evidenziata l'irragionevolezza logica della norma in questione, poiché se lo scopo della stessa era di tutelare il bene della salute collettiva all'interno degli istituti di pena, con l'automatismo di scarcerazione veniva messo in pericolo un bene ancor più grande, ossia la salute dell'intera collettività. Altra incongruenza si aveva dal punto di vista scientifico, perché per tutelare la salute collettiva all'interno del carcere non avrebbero dovuto essere scarcerati solo i detenuti in AIDS conclamata ma anche tutti i condannati sieropositivi, dato che proprio dalla condizione di sieropositività, e non dallo stadio avanzato della malattia, dipendeva il rischio di contagio.

163V. Tribunale di Sorveglianza di Palermo ordinanza 13 ottobre 1994, registro ordinanze n. 15 1995, in Gazzetta Ufficiale n. 5 1995, I serie speciale .

164V. Corte Costituzionale sentenza 18 ottobre 1995 n. 438, in Gazzetta Ufficiale 25 ottobre 1995 n. 44, I serie speciale.

L'art. 146 comma 1 n. 3 c.p. mortificava poi tutte le finalità che la Costituzione assegnava alla pena, ovvero:

• funzione general-preventiva: l'automatismo di scarcerazione faceva sì che la pena irrogata non svolgesse più alcuna funzione di intimidazione e dissuasione;

• funzione special-preventiva: il Tribunale di Sorveglianza doveva accertare solo lo stato di AIDS conclamata o grave deficienza immunitaria, escludendo ogni considerazione special-preventiva e di rieducazione riferibile al caso concreto;

• funzione retributiva: restando il reato commesso sostanzialmente impunito vi era deresponsabilizzazione del reo, in contrasto con il principio sancito dall'art. 27, comma 1, Cost..

Un profilo secondario di incostituzionalità dedotto dal giudice rimettente era peraltro rappresentato dall'impossibilità di operare una «verifica giurisdizionale dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che avrebbero dovuto giustificare il sacrificio degli interessi postergati e la precedenza accordata all'interesse tutelato dalla norma».

A tal proposito la Consulta non esitò a confermare che l'assenza di qualsiasi spiraglio per la ponderazione dei numerosi principi costituzionali tirati in ballo e per una verifica specifica del fatto concreto aveva creato una categoria di "penalmente immuni", trasformando in "regime ordinario" quella che negli intenti originari avrebbe dovuto essere una disciplina derogatoria fondata sull'eccezionalità della situazione. Più precisamente si sostenne che, pur dovendosi ammettere al particolare e grave morbo tutto il risalto che lo stesso meritava e che l'ampia normativa di settore e la stessa coscienza collettiva gli avevano riconosciuto, la disposizione

impugnata non risultava conforme al canone della ragionevolezza nella parte in cui non consentiva di accertare in concreto se, ai fini dell'esecuzione della pena, le effettive condizioni di salute del condannato fossero o meno compatibili con lo stato detentivo. Non si poteva infatti presupporre che i malati di AIDS versassero, in tutti i casi, in condizioni di salute tali da non poter adeguatamente scontare la loro pena, né con appositi presidi di diagnosi e cura esistenti all'interno degli istituti penitenziari, né attraverso il ricovero in luoghi esterni a norma dell'art.11 O.P..

Relativamente, invece, all'art. 286 bis comma 1 c.p.p., fu sollevata questione di legittimità costituzionale dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino165

, il quale era stato chiamato a decidere relativamente alla richiesta del p.m. di sostituire con la misura di custodia cautelare in carcere quella degli arresti domiciliari in ospedale nei confronti di un soggetto affetto da AIDS conclamata, più volte sottrattosi agli obblighi inerenti alla misura custodiale prevista.

La Corte Costituzionale ritenne che fossero valide le censure proposte e che risultasse privo di ragionevolezza il divieto assoluto di custodia cautelare in carcere stabilito per i soli ammalati di AIDS. Con la sentenza n. 439 del 1995166 si dichiarò l'illegittimità costituzionale

dell'art. 286 bis comma 1 c.p.p., ritenendo che tale norma violasse i seguenti articoli della Costituzione:

art. 2: con l'art. 286 bis c.p.p. si esponeva a grave pericolo il bene dell'incolumità e della sicurezza collettiva, a fronte della salute carceraria che si sarebbe dovuta salvaguardare adeguando le strutture sanitarie e penitenziarie;

165V. Tribunale di Torino ordinanza 10 giugno 1995, registro ordinanze n. 496 1995, in Gazzetta Ufficiale n. 38 1995, I serie speciale.

166V. Corte Costituzionale sentenza 18 ottobre 1995 n. 439, in Gazzetta Ufficiale 25 ottobre 1995 n. 44, I serie speciale.

• art. 3 Cost.: nessuna ragione logica e scientifica giustificava un trattamento diverso per i malati di AIDS rispetto a quello previsto dall'art. 275 comma 4 c.p.p. per soggetti affetti da patologie altrettanto gravi ed irreversibili;

• art. 32 Cost.: trasferendo il malato di AIDS dal carcere all'ambiente libero, per salvaguardare la salute della popolazione carceraria (tutelabile attraverso l'isolamento ex art. 33 O.P.), si esponeva a maggior pericolo il bene della salute collettiva, e, quindi, un bene quantitativamente maggiore. La Consulta decise peraltro di abbandonare la disciplina derogatoria dell'art. 286 bis comma 1 c.p.p. dal momento in cui tale norma «stabiliva il divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti di persone affette da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria, anche quando sussistessero le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza di cui all'art.275 comma 4 c.p.p., e l'applicazione della misura potesse avvenire senza pregiudizio per la salute del soggetto e di quella degli altri detenuti».