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Il trattamento legale dei detenuti sieropositivi: i primi interventi

Capitolo IV. Lo sviluppo della disciplina in materia di rapporti tra

2. Il trattamento legale dei detenuti sieropositivi: i primi interventi

Nello spazio temporale intercorso tra la scoperta della malattia e l'emanazione della legge 135/1990, che abbiamo già avuto modo di incontrare, per la gestione dei soggetti sieropositivi all'interno delle carceri ebbero particolare importanza le circolari ministeriali prodotte dagli organi afferenti al Ministero della Sanità o emanate dietro la sollecitazione del Ministero di Grazia e Giustizia, nonché le numerose

D.-ZANCHETTI M. (a cura di), AIDS. Comparazione ed analisi della

legislazione europea sull'AIDS dal punto di vista etico e giuridico, Milano,

Europa Scienze Umane Editrice, 1996.

145Per la disamina della questione si è fatto perlopiù riferimento a COMUCCI P., "Considerazioni sulla normativa regolante i rapporti fra detenzione e infezione da HIV", in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2002 n. 3, pp. 187-199; FASSONE E., "Corte Costituzionale e AIDS: una conclusione infelice ma inevitabile", in Legislazione Penale, 1996, pp. 277-295; DEMORI A.-RONCALI D.-TAVANI M., Compatibilità carceraria, HIV/AIDS e "malattia particolarmente

grave", Milano, Giuffrè, 2001; LATTANZI G., "Il trattamento penale delle

persone affette da HIV/AIDS: aspetti critici e prospettive di riforma", in Diritto penale e processo, 1995 n. 11, pp. 1339-1342.

146In SARZOTTI C., "Pena e malattia. La sanzione al malato infettivo a prognosi infausta alla luce delle dottrine assiologiche della pena", in MAGLIONA B., SARZOTTI C. (a cura di), op.cit., p. 117.

raccomandazioni internazionali emanate dal Consiglio d'Europa e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità147

.

Tali atti, pur non avendo carattere vincolante, avevano l'obiettivo di mostrare le problematicità connesse alla diffusione del virus e di incentivare lo sviluppo in carcere di adeguati programmi di prevenzione e informazione; particolare risalto veniva poi dato ai profili di incompatibilità tra lo stato di detenzione e la condizione di sieropositività o AIDS conclamata148.

Proprio su quest'ultimo aspetto, riconducibile all'esigenza di dover rispettare alcune garanzie costituzionali, fra tutte la tutela della salute dell'individuo (art. 32) e il divieto di qualsiasi trattamento inumano o degradante (art. 27 comma 3), si concentrarono prevalentemente le attenzioni del nostro legislatore a partire dai primi anni Novanta. Il problema fu affrontato per la prima volta nel 1989, quando il Ministero di Grazia e Giustizia inviò una richiesta di parere sulla presunta incompatibilità tra AIDS e stato di detenzione al Ministero della Sanità; nella sua risposta149 quest'ultimo sostenne che la

condizione di AIDS conclamata fosse sempre incompatibile con la detenzione e che, in caso di necessità di ricovero, questo sarebbe dovuto avvenire nella forma di ricovero ordinario, oppure in regime di day hospital, ed anche in questo caso non in stato di detenzione.

Questa indicazione si scontrava però con la mancanza per l'amministrazione penitenziaria di adeguati strumenti attraverso i quali poter disporre la scarcerazione dei detenuti affetti da AIDS; le uniche possibilità per i direttori degli istituti penitenziari consistevano nel

147Su tutte la raccomandazione n. R(88)1080, adottata dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 30 giugno 1988, “Dichiarazione sulla prevenzione ed il

controllo dell’AIDS nelle carceri” dell’OMS.

148Per un accurato esame dei singoli provvedimenti v. FAVRETTO A.R., "AIDS e carcere: la metafora della separazione", in MAGLIONA B.-SARZOTTI C. (a cura di), op.cit., pp. 206-219.

149Lettera del Ministero della Sanità al Ministero di Grazia e Giustizia, prot. n. 400.2/30.29/75 del 16 maggio 1989.

richiedere al magistrato competente il ricovero in luogo esterno di cura (art. 11 comma 2 O.P.) oppure nel disporlo direttamente nei casi di assoluta urgenza (art. 17 del regolamento penitenziario).

Il Ministero di Grazia e Giustizia, con una circolare del 3 giugno 1989, diede indicazione ai direttori di scegliere sempre queste due soluzioni; da ciò scaturirono gravi conseguenze per i detenuti sieropositivi che, soggetti continuamente al rifiuto dell'amministrazione penitenziaria ma anche a quello delle direzioni sanitarie, si trovavano ad essere sballottati da un'istituzione all'altra.

Gli unici che potevano rimediare a questa disastrosa situazione erano i giudici, giacché in definitiva spettava proprio a loro il legittimo potere di riconoscere lo stato di incompatibilità e disporre la scarcerazione dei detenuti affetti da AIDS. Per farlo essi potevano avvalersi di quegli strumenti giuridici che abbiamo avuto modo di esaminare nel primo capitolo, ossia gli artt. 146 e 147 c.p. (differimento dell'esecuzione della pena nei confronti di soggetti in grave infermità fisica), l'art. 47 ter O.P. (regime di detenzione domiciliare per pene inferiori ai tre anni, in caso di grave malattia fisica o psichica) e l'art. 275 comma 4 c.p.p. (arresti domiciliari per gli imputati in condizioni di salute particolarmente gravi).

Era però evidente che, in assenza di una specifica normativa, le condizioni di incompatibilità per i detenuti affetti da AIDS erano destinate a rimanere in molti casi prive di riconoscimento.

La specificità della malattia in questione, mista a ragioni di carattere emergenziale e propositi deflattivi, spinse dunque il legislatore a pensare a nuove soluzioni che riguardassero strettamente la questione. Il primo intervento legislativo fu il d.l. 13 giugno 1992 n. 335150

.

150Decreto legge 13 giugno 1992 n. 335, "Disposizioni urgenti concernenti

l’incremento dell’organico del Corpo di polizia penitenziaria ed il trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV", in Gazzetta Ufficiale 14 luglio

Tale decreto, con l'art. 3, introduceva nel codice di procedura penale l'art. 286 bis, secondo il quale non poteva essere mantenuta custodia cautelare in carcere nei confronti di persona affetta da HIV allorché essa si trovasse in condizioni di incompatibilità con lo stato di detenzione.

Veniva anche data al giudice la possibilità di disporre il ricovero in un'idonea struttura del Servizio sanitario nazionale qualora ricorressero esigenze diagnostiche e terapeutiche, cessate le quali potevano essere disposti gli arresti domiciliari. Altra importante previsione era quella rappresentata dall'art. 4 dello stesso decreto, il quale contemplava l'introduzione di una nuova causa di rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena nell'art. 146 c.p. (comma 1 n. 3), quando questa avesse luogo sempre nei confronti di un soggetto affetto da HIV in condizioni di incompatibilità con lo stato di detenzione.

Subito si manifestarono le prime disfunzioni di questo rigido automatismo tra l'accertamento della malattia ed il divieto di custodia cautelare in carcere ed il differimento dell'esecuzione: i giudici, obbligati a scarcerare i malati, sovente se li vedevano tornare davanti in vinculis e non potevano far altro che comminare di nuovo gli arresti domiciliari, poco idonei a prevenire la recidiva151

.

Il d.l. 335/1992 non fu convertito e ad esso seguì il d.l. 11 settembre 1992 n.374152

, che ebbe, però, lo stesso destino; esso riprendeva il precedente provvedimento precisando inoltre che, in caso di accertata incompatibilità tra le condizioni del soggetto e lo stato di detenzione, il giudice poteva sia revocare la misura cautelare sia sostituirla con gli arresti domiciliari.

151Cfr. FASSONE E., op.cit., p. 279.

152Decreto legge 11 settembre 1992 n. 374, "Disposizioni urgenti concernenti

l'incremento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria, il trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV, le modifiche al testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e le norme per l'attivazione di nuovi uffici giudiziari", in Gazzetta Ufficiale 12 settembre 1992 n. 215.

A chiarire cosa si dovesse intendere per "incompatibilità con lo stato di detenzione", concetto usato da entrambi i provvedimenti, ci pensò il successivo decreto interministeriale 27 settembre 1992, emanato dal Ministero della Sanità di concerto con il Ministero di Grazia e Giustizia. Si stabilì che un soggetto non potesse rimanere in carcere quando vi fosse un significativo deficit immunitario, segnalato da un numero di linfociti T/CD4+ pari o inferiore a 100/mmc come valore ottenuto da almeno due esami consecutivi effettuati a distanza di quindici giorni l'uno dall'altro.

Alla fine dell'anno vennero apportate ulteriori modifiche con il d.l. 12 novembre 1992 n. 431153

. Si rivedeva in primis l'art. 286 bis c.p.p., stabilendo che l'incompatibilità sussisteva, e veniva dichiarata automaticamente dal giudice, nei casi di AIDS conclamata e di "grave deficienza immunitaria"; negli altri casi l'incompatibilità era valutata tenendo conto della custodia cautelare ancora da scontare e della pericolosità del detenuto in riferimento alle sue attuali condizioni fisiche. Per quanto riguarda invece il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena, ex art.146 comma 1 n. 3 c.p., si stabilì che esso dovesse avvenire negli stessi casi di incompatibilità previsti dall'art. 286 bis c.p.p..

Proprio relativamente a tale sospensione dell'esecuzione della pena detentiva, il Tribunale di sorveglianza di Torino, con sette ordinanze, avanzò questioni di legittimità costituzionale in riferimento ai seguenti articoli della Costituzione:

• art.2: con la creazione di una sorta di immunità per le persone affette da AIDS, private della loro soggettività attiva penale, si finiva per ledere i diritti inviolabili di quelle persone i cui

153Decreto legge 12 novembre 1992 n. 431, "Disposizioni urgenti concernenti

l'incremento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria, il trattamento di persone detenute affette da infezione da HIV, le modifiche al testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e le norme per l'attivazione di nuovi uffici giudiziari", in Gazzetta Ufficiale 12 novembre 1992 n. 267.

interessi entravano in conflitto con i soggetti descritti nell'art. 146 comma 1 n. 3 c.p.;

• art.3: col riconoscere l'incompatibilità con lo stato di detenzione solo in presenza di AIDS si faceva sì che fossero discriminati i malati "comuni" rispetto alle persone sieropositive, nonostante molte altre patologie presentassero similari tratti di gravità e irreversibilità;

• artt. 27, comma 3, e 32, comma 1: con l'allontanamento obbligatorio del detenuto nei casi di incompatibilità previsti dall'art. 286 bis c.p.p. non si teneva conto della dinamicità dell'infezione da HIV, precludendo la possibilità di esaminare caso per caso se la detenzione costituisse un trattamento inumano e degradante o particolarmente lesivo per la salute;

• art.111: con l'obbligatorietà del rinvio d'esecuzione si andava a ledere una delle prerogative della magistratura di sorveglianza, ossia quella di dirimere il conflitto tra il diritto dello Stato ad eseguire le sentenze di condanna a pene detentive e il diritto del condannato al differimento dell'esecuzione della pena.

La Corte Costituzionale, considerato che il suddetto decreto legge non fu convertito in legge entro il termine prescritto, con l'ordinanza n. 292 del giugno 1993 dichiarò le questioni manifestamente inammissibili.

3. La legge 14 luglio 1993 n. 222 e i suoi presunti profili di