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La legge 12 luglio 1999 n 231

Capitolo IV. Lo sviluppo della disciplina in materia di rapporti tra

5. La legge 12 luglio 1999 n 231

Alla luce degli esiti giurisprudenziali esaminati nel paragrafo precedente e delle nuove conoscenze sulla patologia, divenuta cronica grazie alle nuove terapie utilizzate, due commissioni Interministeriali di studio Giustizia-Sanità si misero subito al lavoro per incentivare la produzione di una nuova disciplina normativa in tema di incompatibilità con il regime penitenziario dei detenuti affetti da AIDS conclamata o da grave immunodeficienza.

Le soluzioni messe a punto dalle Commissioni vennero recepite dalla legge 231/1999, della quale abbiamo già avuto modo di parlare nel

primo capitolo, relativamente alle ipotesi di incompatibilità tra lo stato di detenzione e la custodia cautelare.

Tale testo rappresenta tuttora la normativa vigente per la tutela e la gestione dei detenuti affetti da AIDS; pur conservando come fine primario la tutela della salute del detenuto esso ha cercato di contemperarla con le esigenze di sicurezza sociale, indi per cui ha accantonato in via definitiva la presunzione assoluta di incompatibilità tra AIDS e stato di detenzione.

Partendo da questo presupposto fondamentale, col testo legislativo sono state apportate le seguenti innovazioni:

• Modificazioni in tema di custodia cautelare in carcere.

• Modificazioni al meccanismo di rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena

• Accesso a misure alternative alla detenzione

5.1. Le modificazioni in tema di incompatibilità tra AIDS e stato di detenzione

Con la legge 231/1999 sono stati ridefiniti completamente gli ambiti operativi della custodia cautelare nei confronti di soggetti affetti da AIDS conclamata o grave deficienza immunitaria167

; in particolare è stata operata "una razionalizzazione dell'impostazione stessa della disciplina delle situazioni che giustificavano una presunzione di non necessità della custodia cautelare in carcere"168

.

167Per una particolareggiata disamina della questione si veda NUZZO F., "Il regime di custodia cautelare in carcere e la tutela della salute in base alla disciplina della legge 12 luglio 1999 n. 231", in Cassazione Penale, 2000 n. 3, pp. 773-780. 168NAPPI A., "Commento articolo per articolo alla legge 12 luglio 1999, n. 231,

disposizioni in materia di esecuzione della pena, di misure di sicurezza e di misure cautelari nei confronti dei soggetti affetti da Aids conclamata, da grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave", in Gazzetta

In linea con i dettami della sentenza 439/1995 della Corte Costituzionale è stato eliminato il comma 1 dell'art. 286 bis c.p.p. e si è provveduto a trasferire la regolamentazione della materia in questione nell'art. 275 comma 4 bis c.p.p.; così facendo si è evitata qualsiasi disarmonia di natura costituzionale e tutto risulta essre stato spostato in quella che è, come abbiamo visto nel primo capitolo, la sede naturale per disciplinare la compatibilità tra condizioni di salute e stato detentivo.

Alla luce del nuovo disposto normativo il divieto di imposizione e di mantenimento della custodia cautelare in carcere per i soggetti affetti da AIDS conclamata e grave deficienza immunitaria sussiste pertanto solo nel caso in cui le condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione e comunque siano tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.

A differenza della precedente disciplina, peraltro, la determinazione delle condizioni legittimanti tale divieto non è il frutto della discrezionalità del giudice, ma è stata rimessa in toto a successivi decreti ministeriali169

, i quali hanno dovuto anche stabilire le procedure diagnostiche e medico-legali per il loro accertamento.

Qualora non sia possibile mantenere la custodia cautelare in carcere senza pregiudizio dell'imputato e degli altri detenuti e siano presenti allo stesso tempo esigenze cautelari di eccezionale gravità, l'imputato

169In particolare si deve far riferimento al Decreto Interministeriale (Ministro della Sanità di concerto con il Ministro della Giustizia) 21 ottobre 1999, in Gazzetta Ufficiale 22 dicembre 1999 n. 222. L’art. 1 di tale decreto rimanda la definizione di AIDS conclamata alle situazioni già indicate nella circolare del Ministro della sanità del 20 aprile 1994 n. 9 (Definizione di caso di AIDS ai fini della sorveglianza epidemiologica), la quale richiama a sua volta la definizione elaborata in seno all’Organizzazione Mondiale della Sanità ed universalmente utilizzata dal Center for Disease Control and Prevention di Atlanta del 1993. L’art. 2, modificato poi dal D.M. 7 maggio 2001 si occupa invece della definizione di "grave deficienza immunitaria", che si ritiene ricorra quando il soggetto immunodepresso presenti un numero di linfociti TCD4 pari o inferiore a 100 mmc, come valore ottenuto da almeno due esami consecutivi effettuati a distanza di quindici giorni uno dall’altro, ovvero un indice di Karnofsky pari o inferiore al valore di 50.

affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria può scontare gli arresti domiciliari presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS, ovvero presso le residenze collettive o le case alloggio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 5 giugno 1990, n. 135.

Anche per l’esecuzione della pena definitiva, la legge 231/1999 ha mirato a scongiurare che potessero essere portate avanti ulteriori disparità di trattamento tra malati comuni e detenuti sieropositivi. Con le modifiche apportate all'art. 146 c.p., il differimento della pena, come già abbiamo avuto modo di vedere, è stato infatti reso possibile per tutti coloro che siano affetti da malattie in una fase talmente avanzata da escludere, sulla base di certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, la rispondenza alle terapie curative e ai trattamenti disponibili.

Il rinvio obbligatorio della pena, in ragione di ciò, può esser concesso solo nei casi di AIDS allo stato terminale; qualora residuino efficaci opportunità terapeutiche nei confronti di detenuti affetti da AIDS conclamata o grave deficienza immunitaria è l'art.47 quater ordinamento penitenziario, oggetto del prossimo paragrafo, ad assicurare la tutela della loro salute, tramite l'esecuzione della pena fuori dalle mura del carcere170

.

5.2. L'introduzione dell'art. 47 quater O.P.

Il principale cambiamento apportato dalla legge 231/1999 è stato l'introduzione all'interno dell'ordinamento penitenziario dell'art. 47 quater O.P., rubricato "Misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria".

Secondo una parte della dottrina tale articolo non ha segnato l'introduzione di una nuova misura alternativa alla detenzione ma si è limitato a garantire a quanti fossero affetti da AIDS conclamata e da grave deficienza immunitaria una disciplina derogatoria e più favorevole dell'affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare171

; per altri invece lo snaturamento di queste misure alternative è stato tale da poter legittimamente operare una netta distinzione e presupporre una rinnovata disparità di trattamento tra detenuti sieropositivi e altri affetti da gravi patologie172.

A prescindere dall'approccio scelto, ciò che rimane dal punto di vista oggettivo è che l'articolo in questione consente ai predetti soggetti, indipendentemente dai limiti di pena stabiliti negli artt. 47 e 47 ter O.P. e dalle limitazioni imposte dall'art. 4 bis O.P.173

, di essere ammessi all'affidamento in prova al servizio sociale o alla detenzione domiciliare, quando essi abbiano in corso o intendano intraprendere un

171In tal senso CANEVELLI P., "Tutela dei soggetti affetti da AIDS o da altre malattie gravi e misure alternative al carcere", in Diritto penale e processo, 1999 n. 10, p. 1227.

172In tal senso CESARIS L., "Art. 47 quater", in GREVI V.-GIOSTRA G.-DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario commentato, 3a edizione, Padova, CEDAM, 2006.

173I detenuti sieropositivi sono gli unici soggetti soggetti che, pur in presenza di una condanna per uno dei reati elencati all’art. 4 bis O.P., possono ottenere la concessione dei benefici penitenziari senza che abbiano assunto condotte collaborative. Per le critiche avanzate su tale punto v. LOCATELLI G., "Il trattamento sanzionatorio dei soggetti tossicodipendenti o affetti da HIV: evoluzione normativa fino alla legge 12 luglio 1999 n. 231", in Cassazione

programma di cura e assistenza presso le unità operative di malattie infettive ospedaliere ed universitarie o altre unità operative prevalentemente impegnate secondo i piani regionali nell'assistenza ai casi di AIDS174

.

All'obbligatorietà della presenza di tale programma si accompagna la sua necessaria attuabilità, che deve essere oggetto di certificazione da parte del servizio sanitario pubblico competente o di quello penitenziario; per evitare strumentalizzazioni, inoltre, il tribunale di sorveglianza nel concedere la misura alternativa è obbligato a includere nelle sue prescrizioni anche le modalità di esecuzione del programma di cura e di assistenza.

Mentre per ciò che riguarda i presupposti il giudice a cui viene proposta l'istanza pare giocare un ruolo meramente "notarile", dovendosi limitare a verificare la sussistenza e la provenienza della certificazione175

, in riferimento alla decisione di concessione egli conserva invece un ampio margine di discrezionalità e, con un giudizio prognostico che tiene conto di tutti gli elementi disponibili176

, può valutare in tutta libertà se la misura può condurre nel caso concreto alla rieducazione del reo.

La misura, oltre che all'esito negativo di tale valutazione, può peraltro essere negata quando, pur essendo il programma idoneo a garantire una cura psico-fisica, l'istante dia segni di pericolosità e dimostri un'accertata determinazione a delinquere; in tale prospettiva va letto anche il divieto, stabilito al comma 5, di applicare la misura quando sia stata pronunciata la revoca di una precedente da meno di un anno. Una volta accertata la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi, il Tribunale di Sorveglianza, sulla base delle sue valutazioni e del grado

174V. FIORIO C., op.cit., pp. 169-172. 175V. CESARIS L., op.cit., p. 609

176Cfr. RISPOLI V., L'affidamento in prova al servizio sociale, Milano, Giuffrè, 2006, p. 150.

di pericolosità del reo, sceglie quale delle due misure concedere. Sarà scelto l'affidamento in prova quando esso sia idoneo a favorire la cura e la rieducazione, ma soprattutto la prevenzione della recidiva; si privilegerà invece la detenzione domiciliare in tutti i casi in cui vi siano tutte le ragioni per pensare che l'istante possa commettere nuovi reati.

Ovviamente il Tribunale di Sorveglianza può anche revocare le misure alternative concesse; esso può farlo non solo nei casi previsti dagli artt. 47 e 47 ter O.P.177

, ma anche nel caso in cui il condannato risulti imputato oppure venga sottoposto a misura cautelare per uno dei delitti per i quali è previsto l'arresto in flagranza (art.380 c.p.p.).

La revoca della misura alternativa, così come la non applicazione ai sensi del comma 5, comporta, secondo il dettato del comma 7, la detenzione «presso un istituto carcerario dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie».

Alla luce di tutte queste considerazioni è possibile pensare che quest'espansione della tutela verso i detenuti sieropositivi, se da un lato può destare ammirazione, dall'altro rischia di accentuare le disparità di trattamento con altre categorie di soggetti che meriterebbero lo stesso alto grado di tutela.

177Per quanto attiene all'affidamento in prova al servizio sociale (art.47 O.P.) la misura può essere sospesa sia per i comportamenti dell'affidato (trasgressione di prescrizioni o commissione di nuovi reati) sia per le indicazioni del Centro di Servizio Sociale, quando esso informa il Tribunale di Sorveglianza di un nuovo titolo di esecuzione di altra pena detentiva, che fa decadere la condizioni per la prosecuzione della misura alternativa, ossia il residuo della pena inferiore a tre anni. Per le condizioni legittimanti la revoca della detenzione domiciliare si rimanda al capitolo 1 del presente lavoro.

CONCLUSIONI

Giunti al termine del nostro percorso non si può fare a meno di constatare che, anche grazie al trasferimento della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, nella maggior parte degli istituti carcerari italiani l'offerta terapeutica a favore dei detenuti sieropositivi è da ritenersi congrua e non risulta esserci alcun ostacolo all'accesso ai farmaci, anche di ultima generazione. Particolari problemi sussistono, invece, per quanto riguarda l'aderenza alle terapie e la continuità delle stesse; i numerosi trasferimenti da un istituto all'altro per motivi di giustizia o disciplinari, l'informazione associata all’offerta terapeutica non esauriente, le conflittualità interne ad ogni comunità chiusa, l’atteggiamento dei singoli detenuti e la negazione della malattia sono, infatti, tutti fattori che fanno sì che il tasso di soppressione virale in corso di terapia sia inferiore in carcere rispetto a quanto osservato in libertà178

.

Altra lacuna importante che tuttora contraddistingue la nostra sanità penitenziaria, non del tutto corretta con la riforma del 2008, è la predilizione per un tipo di assistenza basata più sulla sulla prescrizione e sulla terapia che sulla correzione dei fattori di rischio; a tal proposito, il fatto di avere tanti individui a lungo concentrati nello stesso luogo non sembra aver mai offerto una spinta a studiare efficaci misure di riduzione del danno, ed è proprio la loro mancanza a rappresentare attualmente uno dei più importanti fattori ostativi al contenimento della diffusione di HIV e altre malattie infettive tra le mura delle nostre carceri.

A testimonianza di ciò si può far riferimento allo studio "Pride", coordinato dalla Facoltà di Scienze Applicate dell'Università di

178Cfr. COMMISSIONE NAZIONALE PER LA LOTTA CONTRO L'AIDS,

Aggiornamento delle conoscenze sulla terapia dell’infezione da HIV, 2008, pp.

Francoforte179

, una ricerca realizzata in cinque paesi europei (Austria, Francia, Belgio, Danimarca e ovviamente Italia) volta proprio a raccogliere dati ed informazioni sui trattamenti e sugli interventi di riduzione del danno nelle loro carceri.

I risultati dello studio mostrano una scarsa implementazione delle misure preventive in tutti i Paesi, pur essendovi delle sensibili differenze; in Italia le misure più applicate risultano proprio essere i trattamenti con antiretrovirali, anzichè lo scambio di siringhe sterili e la distribuzione gratuita di preservativi, misure del tutto assenti.

Alla luce di tutte queste considerazioni è tangibile, quindi, che la condizione carceraria attuale e le azioni di contrasto siano inappropriate per il contenimento della diffusione dell'HIV e di altre malattie infettive e non degne di uno Stato che mira a garantire la salute di tutti i suoi cittadini.

Si rende pertanto necessario un approccio globale alla salute in carcere, che passi non solo da un'adeguata offerta terapeutica intra moenia ma anche da un'efficace atttività di prevenzione, affinché la permanenza in carcere non abbia più un effetto disastroso sulla salute di individui che, comunque, la società si troverà prima o poi a dover gestire.

179V. FRANKFURT UNIVERSITY OF APPLIED SCIENCES, Quality and

continuity of care for drug users in prisons (Care) – EU-Projekt, 1.1.2013-

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