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Definizioni e posizione del ritmo nello scenario dell’audiovisivo

3. PER TORNARE ALLA SOSTANZA ESPRESSIVA: SINCRETISMI,

3.6 Ritmo e dispositivi ritmici

3.6.1 Definizioni e posizione del ritmo nello scenario dell’audiovisivo

Chi si è a fondo occupato di ritmo, seppure con sguardi, interessi e finalità anche piuttosto differenti tra loro102 e lontani dal nostro oggetto di studio, arriva sempre a considerare il ritmo come un dispositivo centrale in seno all’efficacia di un testo. Ciò si spiega in ragione precipuamente della capacità fascinatoria che viene unanimemente riconosciuta al dispositivo ritmico (Ceriani 2002), centrale nel rendere il testo più o meno attraente e quindi pubblicitariamente efficace103 in relazione a ciò che qui ci interessa.

Non stiamo dicendo nulla di nuovo, se pensiamo che lo stesso fenomeno di

efficacia simbolica descritto da Claude Lévi-Strauss (1966) veniva attuato dallo sciamano su base esclusivamente prosodica e tensiva. Cioè lo sciamano “faceva agire” l’interlocutore (il suo corpo nello specifico), non sulla base del contenuto delle sue parole, ma esclusivamente per via ritmico-espressiva.

Contestualizzato all’interno dello scenario pubblicitario televisivo, per descrivere la centralità del dispositivo ritmico possiamo andare a prestito dalle parole di Pierre Sorlin:

[In particolare a proposito delle testualità audiovisive] il ritmo deve insomma risvegliare di volta in volta l’attenzione, la memoria, l’interesse, e aiutare a compenetrarsi nel movimento dell’opera. Nello stesso tempo è indispensabile che si verifichi uno slittamento oltre la pura rappresentazione, che provochi nello spettatore sensazioni poco definite ma molto vive e durevoli, e che si instaurino delle corrispondenze sensibili e delle linee di tensione che pur avendo dei momenti di rottura si prolunghino o si susseguano passando da un

102 Facciamo qui riferimento particolare a Daniele Barbieri (1996, 2004) , Giulia Ceriani (1994, 2000,

2001), Jacques Fontanille (in particolare 2004), Jacques Geninasca (1992, 1997), Juri Lotman (1970), Pierre Sorlin (1997), Claude Zilberberg (in particolare Fontanille – Zilberberg 1998)

103 Quando utilizziamo il termine “efficacia” senza precisazioni e specificazioni ulteriori intendiamo

efficacia discorsiva in senso lato: creazione di effetti sull’enunciatario (in primo luogo inteso come posizione enunciazionale intra-testuale, e solo secondariamente come target effettivo della comunicazione) in linea con gli obiettivi dettati dal briefing aziendale. In ogni caso, l’efficacia di un testo pubblicitario non si misura ingenuamente in termini di vendite conseguenti (parametro dipendente da una serie incontrollabile di variabili congiunturali), ma mediante una lista di indicatori specifici che la prassi di “ricerca amministrativa” sulla comunicazione pubblicitaria su committenza ha ormai ipostatizzato

registro all’altro, dal movimento al colore, dalla luce alla mimica degli artisti. (Sorlin 1997: 101; corsivi aggiunti)

In altri termini, le scelte ritmiche di accelerazione e rallentamento, di discontinuizzazione, di creazione e insistenza su forme aspettuali (ricorsive o puntuali), di alternanza di modulazioni (aprente, chiudente, corsiva, puntualizzante), di sistematizzazione ripetuta di forme pregnanti secondo logiche specifiche, possono avere un peso centrale nella determinazione dell’ efficacia in termini di attrattività, attenzionalità, memorabilità e – soprattutto – esteticità.

Si spiega in questi termini, ad esempio, lo spazio che Alessandro Melchiorri (2002) nelle sue analisi sulla “dimensione patemica negli spot” dedica a osservazioni quali:

Il montaggio è rapido, logicamente motivato, con un ritmo intersequenziale

fortemente discontinuo in alcuni momenti e morbido in altri […]

L’apice di questa presenza […] è rappresentata appunto dal ralénti delle prime inquadrature, ralenti che rappresenta un vero e proprio modo per dilatare e

addensare il tempo, lo spazio e l’evento, come se la moltiplicazione delle

immagini e dei punti di vista tendesse a esprimere le emozioni dei protagonisti […]

I due rapidi movimenti di macchina [da presa] […] sono quindi un modo che

l’enunciazione ha per […]

La rapidità del montaggio, e la forte marca di discontinuità che ne deriva […]

Quando ad esempio le parole del protagonista si fanno più concitate, anche il montaggio si fa più concitato; dove invece la tensione viene meno, anche il montaggio si fa più disteso […].

(Melchiorri 2002: 122-135, passim; grassetti aggiunti)

Tensione, intensità, velocità, montaggio, oltre a scansione, ridondanza,

ricorrenza, ripetizione e variazione nella ripetizione, sono parole chiave nell’esame del funzionamento ritmico Spesso viene fatta confusione tra i concetti di ritmo,

tensione e intensità104, ai quali talvolta, in orizzonte interpretativo-cognitivo si aggiungono anche attesa, aspettativa, attenzione. Per sgomberare il campo da equivoci diamo subito alcune definizioni di ritmo.

Il ritmo […] rappresenta una struttura ricorsiva […] che interviene nell’organizzazione della significazione. È l’ipotesi dell’esistenza di pre-

strutturazioni di ordine figurale, e quindi non ancora figurativo, che governerebbero la tensività discorsiva e la sub-orchestrazione del senso, tali da costituire il ritmo come fenomeno di stile, e in quanto tale plastico e

gestaltico. (Ceriani 2002: 19 trad. it. ; grassetto aggiunto)

Al di là della nozione semioticamente troppo sfumata e debole di “stile”, la definizione ci sembra, se non esplicitamente debitrice, quantomeno fortemente coerente con il quadro teorico di Jacques Geninasca, che al concetto di “stile” aggiunge o sostituisce quello di “valore estetico”:

[Il ritmo è definibile come] alternanza prevedibile e indefinita, all’interno di una struttura acronica, di tensioni e distensioni costitutive di ciò che potremmo chiamare uno “stato dinamico”. Il valore estetico del ritmo dipende dall’isomorfismo instaurato tra le configurazioni percettive dell’oggetto e gli stati timici (tensivi e forici) del soggetto. Essa presuppone l’esistenza di

104 Sulla distinzione tra tensione e intensità rimandiamo a un nostro precedente lavoro (Zannin 2003a:

17-23) ripreso anche da Bianchi 2005:

“[la tensione] riproduce sia a livello del contenuto, sia a livello dell’espressione delle vere e proprie

posizioni di legame tra le parti [essa è quindi di natura topologica]; […] Non è un caso che il

Dizionario definisca la tensività come relazione del sema durativo con quello terminativo, laddove la distensività è legame del sema durativo con quello incoativo: movimenti di progressione (tensione) e regressione (distensione). […] La tensione è anche e soprattutto una inquietudine provocata da uno stato patemico e risultante in un altro stato patemico. Paolo Fabbri articola la tensività in una vera e propria categoria disposta su quadrato:

Teso Contratto Esteso

X

Raccolto Rilassato Disteso […]

[l’intensità] è il fattore che, in quanto modulazione quantitativa, va a sovradeterminare le componenti

continue, non discrete della passione: ogni dimensione graduale ha una propria intensità e può essere fatta variare in modo più o meno intenso”.

categorie, al contempo molto astratte e molto generali, situate a monte delle opposizioni estensione/tempo, figurativo/non figurativo, categorie che altrove ho chiamato “figurali”. (Geninasca 1997: 248 trad. it. ; corsivo aggiunto)

Ma il ritmo è anche e soprattutto un percorso di tessitura e orchestrazione del testo e attraverso cui il testo stesso guida il proprio enunciatario:

è infatti possibile parlare di ritmo ogni volta che ci sia una ricorrenza di elementi omologabili (ovvero uguali sotto almeno un punto di vista rilevante) all’interno di una struttura percepibile sequenzialmente. Non è nemmeno necessario che questa struttura sia in sé temporale: vi sono ritmi architettonici, per esempio. Basta che la percezione della struttura sia articolata secondo un percorso, e che su questo percorso si situino le ricorrenze. (Barbieri 1996: 11; corsivo aggiunto)

Il ritmo nasce da una ridondanza e significa qualcosa perché mette in rapporto elementi di contenuto, attivando ciò Barbieri (1996) chiama significato relazionale. Il ritmo è costruttore di isotopie: separa il simile e unisce il dissimile, crea effetti estetici e nuovi rapporti di contenuto non fondati sulla contiguità o sulla comune sintassi del codice utilizzato (Lotman 1970).