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I vari piani del registro sonoro e gli effetti di senso multiprospettici

3. PER TORNARE ALLA SOSTANZA ESPRESSIVA: SINCRETISMI,

3.4 Il registro sonoro

3.4.1 I vari piani del registro sonoro e gli effetti di senso multiprospettici

Torniamo all’affermazione iniziale secondo cui nell’audiovisivo “classico” e cinematografico in particolare l’orizzonte del visibile è semioticamente sovraordinato rispetto all’orizzonte dell’udibile. Se accettiamo per buona questa affermazione, allora il registro sonoro costituirebbe semplicemente un surplus di significazione, latore di effetti di senso aggiuntivi, rispetto a un senso che – comunque – sarebbe già dotato di una propria autonomia. Alcuni autori sostengono che questa presa di posizione è di natura ontogenetica: siccome il cinema come audiovisivo prototipico è nato nella forma muta, come pura immagine-movimento, allora il cinema sonoro, che ne è l’evoluzione, è in realtà solo una complessificazione di un modello già inizialmente completo. Chion (1990), più volte citato come massimo esperto dell’audiovisione, nella misura in cui parte da una prospettiva cinematografica, vede il suono come portatore di funzioni fondamentali ma subordinate:

• riunire la concatenazione di immagini, sia a livello temporale, oltrepassando e superando i tagli visivi, sia a livello spaziale;

• punteggiare, dare un ritmo;

• separare spazi-tempi (attraverso il silenzio).

Non ci addentriamo specificatamente in discussioni sulla semiotica del cinema che esulano dalla competenza e dalla portata di questo lavoro. Tuttavia, da subito enunciamo con forza che in nessun caso l’assioma sopra ricordato è applicabile alla pubblicità, in cui al contrario talvolta, è solo il registro sonoro a semiotizzare la funzione pubblicitaria stessa, il legame con la Marca e con il prodotto, i tipici processi di valorizzazione e di patemizzazione necessari.

Nello spot pubblicitario, quindi, il registro sonoro è fortemente costitutivo della forma specifica e ad esso è delegata una numerosa e importante serie di compiti.

Una prova a contrario di questo fatto ci è fornita dall’utilizzo di zone locali o globali di silenzio all’interno dello spot. Tra i possibili gradi di “impoverimento” del

registro sonoro, il silenzio è la realizzazione più radicale, dal momento che è una modalità espressiva che deriva dal completo azzeramento di tale registro. In quanto tale, nell’audiovisivo è una scelta fortemente marcata che crea effetti di senso enfatizzanti, soprattutto di carattere patemico :

un silenzio che non è quindi un’assenza di comunicazione, ma, giocando contrastivamente con la natura stessa del mezzo televisivo, si caratterizza come espediente per catturare l’attenzione del pubblico, il quale, una volta di fronte allo schermo ‘silente’, può interrogarsi […] [e provare] stati d’animo ed emozioni. (Bianchi 2005: 116, 117)

Quindi nello spot la prospettiva potrebbe quasi essere rovesciata, con un sonoro in funzione registica, in quanto – specialmente con la sostanza musicale – è l’elemento che “detta” il ritmo principale del testo, un po’ come nel videoclip, estetica da cui – si è già detto – lo spot va sempre più a prestito.

Ora, il registro sonoro è ampiamente modulabile e articolabile, nelle sue differenti dimensioni (parlato, musica, sonoro ambientale) al fine di produrre sia effetti di senso realistici (creazione di illusioni referenziali), sia effetti di senso patemico-emotivi. Non è possibile assegnare univocamente e stabilmente delle relazioni uno-a-uno tra tipo di sostanza sonora e funzione semiotica; tuttavia certe correlazioni quantitativamente preminenti sono riscontrabili:

parlato e sonoro ambientale sarebbero spesso connessi a un effetto di

realtà;

alla musica sarebbe invece più spesso delegata la creazione di effetti

patemici.

Stam, Burgoyne e Flitterman-Lewis (1992) nella loro ricognizione tra le varie teorie semiotiche del cinema e dell’audiovisivo si focalizzano anche specificatamente sulla funzione passionale (86, 87 trad. it.) della musica, ponendo particolare attenzione a ciò che chiamano “tono emotivo”. Sostengono che nel cinema sono state riscontrati due direttrici: (i) da una parte una musica ridondante la cui funzione è il rafforzamento del tono emotivo della sequenza audiovisiva; (ii) dall’altra parte una musica in contrapposizione, la cui funzione è andare contro la dominante emotiva,

che serve sostanzialmente a scopi pedagogici, cioè a suscitare un’idea precisa, solitamente ironica, nello spettatore. È esattamente la distinzione operata anche da Chion (1990:15) quando oppone musica empatica a musica anempatica. La prima, dice Chion,

esprime direttamente la propria partecipazione all’emozione della scena, rivestendo il ritmo, il tono, il fraseggio adatti, il tutto evidentemente in funzione dei codici culturali della tristezza, della gioia, dell’emozione e del movimento.

Nel caso della musica anempatica, invece, vi è

una chiara indifferenza alla situazione [tanto che essa si dispiega] in maniera uguale, impavida e ineluttabile […] ed è sul fondo di questa “indifferenza” che si svolge la scena, il che ha per effetto non già quello di congelare l’emozione, bensì di raddoppiarla, iscrivendola su uno sfondo cosmico.

Anticipiamo qui che nello spot pubblicitario, è quasi impossibile trovare

musica in contrapposizione o musica anempatica. Questo è probabilmente legato alla forma breve dell’audiovisivo e alla funzione pubblicitaria, vale a dire dipende dalla direzione chiara, univoca che lo spot deve assumere nell’assiologizzazione di un prodotto/marca: il testo pubblicitario deve essere il più lineare e facile possibile quantomeno nella timizzazione, se non nelle dinamiche narrative. Non è un caso che la maggior parte degli spot siano estremamente ridondanti e che esasperino il proprio portato isotopico (tanto tematico, quanto figurativo). Dunque, la musica serve proprio come rinforzo e guida/connettore isotopico: lungi dall’offuscare l’attribuzione valoriale, la colonna sonora deve invece aiutare il percorso interpretativo dello spettatore che si trova già in difficoltà in ragione della brevità della forma spot e della sua natura interstiziale rispetto al palinsesto televisivo. Al contrario, l’uso della musica in contrapposizione comporterebbe il rischio di mancati rovesciamenti timici e disforizzazioni della marca che certamente non è possibile permettersi.

Sull’utilizzo della musica come attivatore timico è esemplare il caso di una campagna di RAS assicurazioni del 2003-2004: i tre copy che si alternavano in tv

riguardavano le potenziali “controstorie” di Cristoforo Colombo, Ulisse e Guglielmo Tell. I tre soggetti mitici, mancando di strumenti adeguati, non avrebbero potuto raggiungere i loro obiettivi.

Gli spot erano suddivisi chiaramente in due fasi: nella prima parte si citava fedelmente la preparazione dell’impresa epica e il sottofondo era una musica solenne; nella seconda parte si mostrava l’inadeguatezza dello strumento (ad esempio le tre caravelle di Colombo diventavano tre barchette a remi da bagnino di salvataggio) e il disvelamento

parodistico era accompagnato repentinamente da una musica tipicamente da circo, da clown, assolutamente dissacrante.

Da “grande pratico” del mestiere pubblicitario, Marco Lombardi (1998: 201) sintetizza in questo modo le funzioni della musica

La musica può quindi ricoprire un ruolo importante come quello di un endorser [cioè una musica-sostenitrice] capace di dare impatto, trasferire un significato, aumentare l’attrattività e persino la credibilità. La musica può, in alcuni casi limite, tradursi anche in un’esperienza visiva.

Distingue inoltre le funzioni della musica in due macro-classi. Da una parte Lombardi parla di funzioni che chiama “strutturali”, cioè a suo dire “espressive”:

• musica come tattica locale per attirare attenzione;

• musica come elemento del “codice genetico” della marca, cioè come elemento – questa volta semioticamente davvero strutturale – che in quanto Gestalt è culturalmente associato alla marca stessa, diventandone uno degli attributi di personalità, carattere e manifestazione “corporea”, seguendo le numerose metafore che nelle teorie di campo pubblicitario impersonificano il brand (Fabris – Minestroni 2004 tra gli altri);

• musica come sottofondo funzionale a un semplice ricordo della marca e a una loro distinzione dalla concorrenza diretta e indiretta (distinguiamo, in effetti gli spot tim vs vodafone più dai rispettivi jingle che dalle specifiche offerte di prodotto/servizio)

Dall’altra parte, Lombardi precisa funzioni “di contenuto”, “di senso” nelle sue parole. Con questo secondo insieme, si vorrebbe rendere conto di quegli effetti di senso che emergono sia dalla forma espressiva stessa della musica (ad esempio una tonalità maggiore che implica solennità), sia da un livello più squisitamente connotativo (ad esempio una musica degli anni ‘60 per richiamare certi valori socio- culturali di quel periodo).

Lombardi fa il punto della situazione su ricerche recenti che correlano con una certa costanza elementi della sintassi musicale a specifici effetti di tipo passionale. Riepiloga i risultati di tali studi suddividendo – in modo discutibile – tra effetti di ricezione cosiddetti “primitivi” ed effetti “apprese”. In realtà la distinzione non pare particolarmente fondata dal punto di vista semiotico, in quanto sembrerebbe riaprire problematiche relative all’annoso dibattito sugli “universali semantici” che non intendiamo prendere in considerazione perché esula dal nostro oggetto di studio. Tuttavia alcune intuizioni ci sembrano particolarmente interessanti.

Da una parte, vi sarebbero

le risposte primitive alla musica, quelle condivise dalla maggior parte della nostra cultura. Così, la tristezza […] ha un tono minore, un tempo lento, un’altezza media, un ritmo scandito, un’armonia dissonate, un volume basso, la felicità ha un tono maggiore, un tempo veloce, un’altezza elevata, un ritmo andante, un’armonia consonante, un volume alto. (Lombardi 1998: 203-204)

Dall’altra parte, invece, si collocherebbero

le risposte apprese. La musica è una forma così complessa di linguaggio che trae molto del suo significato dalla cultura. Si tratta della musica già nota, quella che ciene appresa come intrattenimento […]; in particolare ci sono forme musicali che acquistano statura (familiarità e stima) nella vita di un individuo, di una società dal momento in cui vengono associate a storie, eventi, segmenti di pubblico. (Lombardi 1998: 203-204)

Gli esempi di questa seconda classe sono tanti, molti riportati dallo stesso Lombardi: i toni epici di Morricone, le note di Nino Rota e il suo richiamo ai temi e alle figure di Federico Fellini, richiami o citazioni di opere liriche, stili e generi musicali come jazz (che indica qualcosa di sofisticato, ricercato e sensuale), l’hip hop (qualcosa di dinamico, giovanile/-istico), ecc.

Lombardi aggiunge che le colonne sonore che diventano patrimonio genetico di una marca (il caso più celebre è l’Hymns di Vangelis per Barilla) fanno parte di questa seconda classe; noi aggiungiamo che per avere avuto tale successo, in realtà devono avere chiaramente una forte motivazione/corrispondenza sul piano delle cosiddette “risposte primitive” tra i significati da loro veicolati e i significati veicolati dai testi pubblicitari di cui costituiscono una vera e propria colonna sonora.