II. 1 2 Rappresentare è interpretare.
II. 2. Deformazione linguistica.
Come è stato detto, in stretto rapporto coll'interpretazione è da collocare la pratica della deformazione, che non è solo da intendere nel suo aspetto metodologico in funzione del processo cognitivo, ma deve essere vista soprattutto come prassi
116 “Non basta più – ormai l'abbiamo capito – riprodurre la scorza superficiale degli oggetti, non è più sufficiente descrivere, sia pur nel modo più dettagliato e plausibile, gli aspetti e le modalità con cui quegli oggetti si manifestano: è necessario invece applicare al reale un modello«fisiologico» (o anatomico), un modellod'indagine chirurgica e radiografica che permetta sempre di risalire dagli effetti alle cause, dai gesti alle motivazioni, dai fatti immediati ai significati e alle
interpretazioni”, F.Bertone, La verità sospetta: Gadda e la formazione del romanzo, op. cit., p.38. 117 MM., 2°-III-50, p.270.
estetica, nel tentativo di cogliere la complessità della realtà in rapporto all'Io giudicante, costantemente alla ricerca dei significati primi alla base di ogni esperienza fenomenica.
Nel momento della rappresentazione la deformazione logica non permette, in forza dell'attività intellettuale che coglie miriadi di relazioni, di soffermarsi su un singolo aspetto della realtà, ma di essa importa il dato logico, il quid che le permette di configurare sè stessa e le relazioni possibili con altri enti. Vengono pertanto a delinearsi tutta una rete di significanti e di connessioni logiche, nella cui maglia l'oggetto preso in esame perde di consistenza; di conseguenza, le parole, di cui si compone la rete, filano i significati su una trama di cose che non sussiste più, perciò non fanno altro che costatare il vuoto fisico della presenza degli oggetti, a favore della loro concettualizzazione118. Ciò è il segno evidente che ormai la realtà non gode
più di un concreto statuto rappresentativo all'interno del discorso, cosa tipica della stagione naturalistica, ma la sua rappresentazione si sviluppa mediante un processo connotativo, mirato ad afferrare il concetto di una data cosa percepita nell'insieme delle relazioni di cui è il centro; si prenda come esempio di quanto detto il seguente passo del Pasticciaccio, ove si descrive il conducente del calesse con il quale le cugine Mattonari sono condotte presso l'autorità, in seguito alla scoperta dei gioielli rubati alla contessa Menegazzi:
Piazzate sulle selci della zana le due scarpe, disgiunte le gambe, sulle ginocchia i due gomiti, la frusta gli veniva fuori dalle dieci dita incavagnate che la reggevan lasca: e pareva stelo di bandiera dal suo bicchiere, a un balcone, o la tacita canna del pescatore sopra il silenzio del lago: e nemmeno poggiava a terra pel manico, ma invece che a terra in una piegatura supervacante, (immediatamente sotto al gilè di pelo) che i pantaloni formavano al riunirsi: talché gli sgorgava dall'imo inguine, come un fusto faunesco che a mano a mano si fosse allungato in pieghevole vermena, e in un sottile ricadente
118 “... non solo la scrittura non riesce a ricomporre la frattura (fra le cose e la rappresentazione), ma questa frattura è la scrittura stessa a riproporla. La contraddittorietà di questa scrittura consiste proprio nel fatto che i sui procedimenti, costruiti per meglio afferrare le cose, finiscono per allontanarla dalla propria presa.[...] e la rete di significati, di relazioni, in cui è inviluppato l'oggetto, che crea la distanza fra esso e la sua rappresentazione, l'oggetto perde consistenza”. C. Benedetti, Una trappola di parole: lettura del Pasticciaccio, ETS, Pisa, 1980, p.8.
sverzino: quasi un dispositivo brevettato, un suo proprio e personale organo, antenna o canna, attributo disgiuntivo del radioamatore-pescatore, o conducente 119
In questo paragrafo, Gadda, nel descrivere la frusta, non si limita alla semplice denotazione delle caratteristiche esterne dell'oggetto, ma interessato a coglierne la modalità concettuale, la definisce, tramite una fitta rete di similitudini eterogenee, nel suo essere al centro di una catena di relazione prodotte dal soggetto giudicante, in questo caso, la voce narrante120.
L'esempio riportato induce direttamente a riflettere sul ruolo delle figure retoriche, metafora e similitudine, le quali svolgono una funzione centrale nella prassi narrativa gaddiana, costituendo, infatti, gli espedienti grazie ai quali è possibile ottenere il famoso N+1, indispensabile al processo conoscitivo di deformazione del reale. Si affronterà più avanti, in modo particolareggiato, la questione semiologica che le vede protagoniste indiscusse del testo gaddiano; per ora è bastevole dire, che proprio il loro uso frequente certifica la complessità di una realtà che sfugge ai tentativi di una sua riduzione oggettiva, nonché mimetica, sebbene le intenzioni estetiche dell'autore siano quelle di una ineccepibile fede verso i dati realistici che sono alla base di ogni rappresentazione:
Terzo. - L'elaborazione espressiva, nell'ambito proprio d'una tecnica determinata, morde «in corpore veritatis» - e cioè lavora sui fatti, sugli atti, sulle cose, sulle relazioni, sull'esperienza insomma, che vengono vivamente, immediatamente proposti agli occhi e al cervello di tutti: e si aggruma in cognizioni ferme, sistemate in un'intelligenza, in un'abilità, in una maestria, o almeno in una pratica, in un'abitudine: al che certo non proviene un rielaboratore lontano121
119 P., p.227.
120 “... l'oggettivismo è in relazione all'episteme del Soggetto indagatore (deformazione) non basta ad eliminare nella deformazione l'arbitrio del soggetto, poiché, questo è certo, non la riflessione sul proprio limite soggettivo permette di liberarsi dal labirinto del soggettivismo”. C. Benedetti, Una trappola di parole: lettura del Pasticciaccio, op. cit., p.23.
Difatti, il processo analogico, di cui esse sono partecipi, è un andare del segno linguistico al di là della cosa da rappresentare, e questo andare al di là configura, nelle relazioni di significati creati per afferrare il concetto di quello che si vuol dire, una dinamica conoscitiva i cui elementi, i dati enucleati dall'esperienza, sono suscettibili di sempre nuove modificazioni.
Questo si spiega perché il conoscere è per Gadda un procedimento di rielaborazione della realtà, o meglio, di deformazione, in quanto opera connessioni, sempre maggiori, di relazioni le quali, costituendosi, modificano la realtà con l'inserimento di nuovi apporti logici:
data una realtà (sia pure concepita come esterna) l'attribuirle successivamente con penetrante intuito significati integranti, e cioè il passare dal significato N-1 ad N, N+1, N+2, è costruire perciocché , è inserire quella realtà in una cerchia sempre più vasta di relazioni, è un crearla e ricrearla, un formarla e riformarla122
Il mezzo che permette alla conoscenza di esperire le realtà integranti è il linguaggio, il quale, proprio per questo, si articola come dinamica euristica, la cui teleologia è la creazione di premesse semantiche attuabili dalla conoscenza, affinché si possano istituite nuovi rapporti.
Risulta, dunque, che, data la conoscenza organizzarsi come un'attività di deformazione, anche la scrittura viene ad essere investita dall'attività rielaboratrice del Soggetto, intento a integrare la realtà con significati via via diversi; e, infatti, vari sono gli artifici linguistici che consentono a Gadda di agire sul tessuto linguistico123:
metonimie, metafore, similitudini, sostantivazioni di aggettivi (la chiarità dell'estate
124), mutazioni denominali e deverbali (poligonare, paracadde, festa formaggia, un
122 MM., XVI, 69. p.139.
123 “Ma nella prosa di Gadda, a epslicitare i rapporti tra le cose, più ancora che la specificazione delle forme, valgono le metonimie e quei particolari procedimenti grammaticali che delle cose stesse sottolineano, con effetti spesso comici, la funzione e la peculiarità: inconsuete sostantivazioni di aggettivi, permutazioni denominali e deverbali, perifrasi aggettivali e sostantivali, costruzioni giustappositive, incroci e composti di ogni specie, ecc.”. G.C.Roscioni, La disarmonia prestabilita, Torino, Einaudi, 1969, pp.18-19.
filo poco cucirino125), perifrasi, costrutti giustappositivi (pitecantropi-granoturco126),
incroci e composti (domicilioaggredita, tanganikoreverenziale127), alterazioni
fonetiche (topazzo...topazio...topaccio128), forestierismi , dialettalismi, latinismi, ecc.
Gian Carlo Roscioni nel suo lavoro è stato fra i primi a mettere in luce questi stilemi, analizzandone il ruolo fondamentale all'interno della dinamica del conoscere- deformare. Secondo l'autore essi servono a sfruttare al massimo il potenziale semantico delle parole, cosicché la scrittura possa svilupparsi come resa mimetica della realtà; cosa da cui in parte dissento, poiché la mimesis riguarda la sola rappresentazione dei fatti esterni, mentre l'obbiettivo della scrittura di Gadda - cui corrobora la sperimentazione linguistica – è cogliere, mediante l'aggiunta di nuove relazioni nel tessuto dell'esperienza fenomenica, il «noumeno» che le accomuna129, e
che le rende perciò possibili; altrimenti non si potrebbe parlare di un linguaggio dalla forte valenza euristica, che per lo scrittore rappresenta la peculiarità, e che lo distingue, perciò, dalle tendenze narrative realistiche a lui contemporanee; del resto è all'interno di questa situazione che prende corpo il saggio Un'opinione sul
neorealismo130, in cui egli critica le approssimazioni narratologiche dei neorealisti
derivate dal trattare i dati dell'esperienza come cose in sé, e che pertanto, private le medesime di una interrelazione continua con la molteplicità della materia colta dall'attività intellettuale, mancando di una “dimensione noumenica131”, non possono
che rendere “il corpo morto della realtà132”.
Particolarmente interessante, nello studio di Roscioni, è la sua riflessione sul sostantivo astratto, perché sollecita il discorso che si farà, tra poco, sulla metafora,
125 P, pp. 285, 109, 315, 282.
126 C., p.190. E' un procedimento frequentissimo in Gadda. 127 P., pp.228-263.
128 P., p.180.
129 “... un quid morfologico che è loro comune, che loro consente di sporgersi versoo l'abisso pauroso: ivi, in un attimo magico, il molteplice si determina e si differenzia”.G.C.Roscioni, La disarmonia prestabilita, op. cit., p.22.
130 VM., “Il dirmi che una scarica di mitra è realtà mi va bene, certo; ma io chiedo al romanzo che dietro questi due ettogrammi di piombo ci sia una tensione tragica, una consecuzione operante, un mistero, forse le ragioni o le irragioni del fatto... Il fatto in sé, l'oggetto in sé, non è che il morto corpo della realtà, il residuo fecale della storia...Scusa tanto. Vorrei dunque che la poetica dei neorealisti si integrasse di una dimensione noumenica, che in alcuni casi da me considerati sembra alquanto difettarle” p.211.
131 Ibidem, p. 212. 132 Ivi.
tropo non affrontato nel corso del lavoro del noto studioso, ma che assume, come è già stato detto, una funzione essenziale nell'opera di Gadda.
L'impiego del sostantivo astratto, nell'esempio citato dal critico, “La chiarità
dell'estate si infarinava di bianche miglia”133, è utilizzato per focalizzare le proprietà
inestrinseche delle cose, percepibili al momento della conoscenza, dove la realtà appare in uno stato di mutamento; è un procedimento stilistico che Roscioni fa risalire alle poetiche simbolistiche e post-simbolistiche:
Questi espedienti, come altri a cui avremo modo di riferirci, si possono ricondurre nell'ambito del linguaggio poetico simbolistico e post-simbolistico; ma Gadda li utilizza in un suo contesto di esperienze e di motivazioni, e vi giunge per una strada di cui egli stesso rivela il tracciato. Essi, nelle sue pagine, riflettono il tentativo di sorprendere quell'attimo del processo percettivo, essenziale ai fini della conoscenza, in cui la realtà appare come mutamento e deformazione, e le cose, non ancora cose, accettano di rivelare all'io non ancora io il segreto del loro farsi134
In questa dinamica, quello che è importante ai fini della definizione delle cose, non è tanto la loro carica rappresentativa sostanziale, quanto la loro modalità di manifestazione nel mondo della fenomenologia, intessuto di molteplici rapporti di significazione.
La modalità ha la sua espressione più vistosa nelle concatenazione dei significati prodotte dalla metafora, perché è in questa che le parole trovano loro ragion d'essere in quanto, immerse nel flusso della vita, evocano i loro possibili significati i quali, sviluppandosi come relazioni intellettuali intorno ad un nucleo concettuale, creano quella dimensione noumenica che Gadda richiede al romanzo:
E poi, cose, oggetti, eventi, non mi valgono per sé, chiusi nell'involucro di una loro pelle individua, sfericamente contornati nei loro apparenti confini (Spinoza direbbe modi): mi valgono in una aspettazione, in un'attesa di ciò che seguirà, o
133 MI. p.62.
in un richiamo di quanto li ha preceduti e determinati135
Proprio l'evocazione delle immagini prodotte dai processi analogici colma l'aspettazione dell'Io di fronte ad una realtà sentita costantemente pulsante di vita, e nel far ciò, costituendosi come integrazione intellettuale, delinea l'area euristica del discorso gaddiano. Ma, prima di discutere sulla metafora, è bene dare alcuni accenni di teoria linguistica in Gadda. Non pochi sono i passi nell'opus gaddiano strettamente inerenti alla riflessione sulla lingua; qua e là fra i suoi scritti, egli intercala disquisizioni che hanno, come unico referente, il problema della rappresentazione letteraria, la cui forma, nell'intenzione dell'autore, avrebbe dovuto corrispondere all'apparato teorico del suo pensiero, così come elaborato nelle pagine del Racconto
italiano di ignoto del Novecento e della Meditazione Milanese, scritto, quest'ultimo,
per il quale avrebbe concorso alla laurea in filosofia, che non avrebbe mai conseguita; eccettuati alcuni capitoli de I viaggi la morte (Come lavoro, Meditazione
breve circa il dire e il fare, Le belle lettere e il contributo espressivi delle tecniche, Poesia e tecnica, Lingua letteraria e lingua d'uso) dove è possibile avere una certa
sistematicità della riflessione linguistica, questa negli altri luoghi dell'opera non gode di uno statuto di organicità, per cui non si sente parlare mai di una teoria della lingua in Gadda. Altresì il testo teorico, che illumina sui risvolti filosofici della sua ricerca letteraria, Meditazione Milanese, non sembra fare particolarmente attenzione alla questione più prettamente linguistica della riflessione circa la deformazione conoscitiva. Quello che verrà fatto di seguito è perciò estrapolare la sua concezione linguistica dalle pagine della Meditazione Milanese, testo chiave, dato il suo eminente impianto concettuale, per interpretare il discorso letterario gaddiano.
Perciò si analizzeranno i termini di «centro» e «periferia» (i poli, individuati da Gadda, del sistema di relazioni della realtà elaborate dalla facoltà razionale del Soggetto), in un'accezione linguistica, in modo da stabilire un'analogia procedurale fra quanto accade nell'attività noetica del Soggetto, e quanto avviene nella scrittura gaddiana, che di quella attività è espressione. Prima, è bene chiarire cosa indicano i due termini, esaminando dapprima il contesto epistemico in cui sono inseriti, quello
della deformazione intellettuale operata dalla ragione nel suo percorso euristico, il quale è per Gadda, appunto, un sistema di relazioni, e in quanto sistema, è composto di limiti; la caratteristica questi è la provvisorietà (dovuto al fatto che la ragione, attuantesi nel tempo, è soggetta a modificazioni storiche e biologiche136), la quale fa
sì che ogni sistema non sia una struttura monolitica, ma esso, invece, sia incline alla deformazione:
Usando la mia terminologia il teorema primo si può enunciare così: il sistema di relazioni espresso dalla ragione umana ha dei limiti provvisori o removibili. Esso è un sistema deformantesi e riscatta o redime gradualmente i suoi termini, decomponendoli137
Un sistema è una compagine di elementi, il cui centro consiste in una relazione finita, ovvero il suo nucleo concettuale, “il termine dialettico”, che funge da confine138 tra
l'essere, semplicemente inteso come la categoria aristotelica della sostanza (percepita logicamente) e il suo vanire nel non-essere, o, più precisamente, il differenziale della sostanza, o per meglio dire ciò che di essa non è ancora noto (il sistema esteriore) per il Soggetto giudicante139, e che in questo caso sarebbe indicato dai limiti periferici.
Si hanno così i termini polari costituenti l'atto di deformazione logica:
136 “La nostra ragione pensata come situazione attuale (cioè in una storia della ragione) si vale di mezzi attuali e provvisori (cioè pensati come labili e removibili) per la interpretazione del mondo. Aliter: Le nostre idee sono provvisorie. E dico che sono provvisorie non soltanto le nostre idee che sono notoriamente tali, come p.e. La stima che noi facciamo attualmente di un oggetto mutevole, ma anche quelle che chiamiamo idee cardini o idee basi della conoscenza e che i solenni maestri credono altrettanti assoluti (o mummie: o fichi secchi, indeformabili, tanto secchi li concepiscono.) Esempio: in fisica le idee: energia, potenziale elettrico, atomo, gravitazione, valenza, affinità chimica, elemento, ecc.; in morale: volontà, bene, male, ecc.; in biologia: nascere, morire, generare – sono provvisorie. E provvisorie non significa fittizie o false, come un assito provvisorio non è un ostacolo falso.”, MM, VIII- 67, p. 69.
137 Ibidem.
138 “Attraverso il concetto di “confine” si definisce il rapporto dialettico. In primo luogo quando si dice che due termini hanno assetto dialettico si intende che i due termini non si trovano
semplicemente in contraddizione, in quanto non stanno nella relazione indicata dal limite periferico, che trova come suo ostacolo (o fine, come si vedrà) il non essere assoluto,
l'inconciliabile. Due termini in assetto dialettico – vale a dire due confini – hanno invece tra di loro delle differenze di opposizione, sono cioè opposti ma non contraddittori, presentano elementi differenzianti che non si escludono, la specificità di uno non nega assolutamente quella dell'altro”, G. de Jorio Frisari, C.E.Gadda filosofo milanese, Palomar, Bari 1996, p. 180.
139 “Fantasticamente il non essere viene concepito dai due poeti come l'al di là dello spazio noto; essi accettano fantasticamente l'idea di un'immortalità teoretica, ammettendo che la serie delle
Io distinguo un termine dialettico che chiamo più propriamente confine o separazione e un termine periferico (per ora sono costretto ad esprimermi così) che chiamo più propriamente limite.
Il primo è (per dirla in breve) un'essenza o relazione finita, l'altro un essenza o relazione infinitesimale o evanescente […] I limiti estremi dell'essere hanno per polarità il non essere, nel mentre i confini o termini medi sono poli dell'altro: e un contenuto è un polo dell'altro, non-essere 1° (essere 2°-...)140
Di un sistema, Gadda pone la massima attenzione sui limiti periferici, perché indicano le estremità effettive dell'essere di un qualcosa e di conseguenza della conoscenza:
perché la realtà psicologica e storica ci offre esempi di periferia che possono essere propedeutici al concetto di limiti attuali (provvisori) della conoscenza141
Altrove, per esempio nel Racconto italiano di ignoto del Novecento142 e ne I viaggi la morte143, egli anziché parlare di limiti, fa riferimento al concetto di polarità, ma la
dinamica dialettica che ne deriva è la medesima, sia per quanto riguarda la questione euristica, sia per quella etica.
Per fare un esempio che meglio spieghi quanto detto in questi passi, il filosofo milanese rinvia all'immagine dei volumi ripartiti sul ripiano di una biblioteca:
I volumi posti sul ripiano così immaginato e descritto non siano però infiniti, come la lunghezza del ripiano, ma siano un certo numero. Che accadrà essendo i libri stipati? Quelli del centro saranno ritti, verticali, mentre alle ali decadranno: quelli di sinistra verso sinistra, quelli di destra verso destra: e i due
140 MM. VIII, 70. p. 64. 141 MM. VIII, 70. pp. 64-65.
142“Io interpreterei con una revisione della norma (legge) per cui si ha l'abnorme (ex lege), la cui presenza rende possibile alla norma del sussistere (concetto mio della polarità) ed entra con la norma in condizione di equilibrio […] E' un concetto ancora molto oscuro.”, RI, p.26.
143 “Ognuno di noi mi appare essere un groppo, o nodo, o groviglio; di rapporti fisici e metafisici: (la distinzione ha valore di espediente). Ogni rapporto è sospeso, è tenuto in equilibrio nel campo che gli è proprio: da una tensione polare. La quale, è chiaro, può variare di intensità nel tempo, e talora di segno: può spengersi.”, VM., Come lavoro, p.10.
libri estremi a destra e a sinistra saranno addirittura sdraiati sul ripiano e cioè orizzontali. Vediamo che la verticalità dei volumi è nettamente reale al centro del gruppo, dove l'uno sostiene l'altro polarmente (cioè l'uno respinge la caduta dell'altro verso di sé e la rende impossibile) mentre è gradualmente meno reale a mano a mano che progrediamo verso le due estremità, o periferia144
La verticalità, che è lo stato dei volumi centrali della sequenza dei libri sul ripiano, corrisponde all'essere del centro nelle relazioni di un sistema; mentre il suo graduale divenire verso l'orizzontalità, condizione dei volumi estremi, certifica la differenziazione dell'essere nel suo avvicendarsi al non-essere; ma è un non essere verticale, che non pregiudica, come mostra l'esempio, la qualità degli elementi di un sistema, che si allontanano dal centro, ad essere altro; in questo caso, il non essere verticalità della condizione della disposizione dei libri, coincide con il loro essere orizzontali:
Lì la verticalità scompare addirittura e diviene non verticalità ma orizzontalità: (che è il non essere della verticalità)145
Come si è accennato precedentemente, la particolarità dei limiti periferici sta nel loro essere provvisori, rimovibili e decomponibili. Una simile condizione permette ad un