• Non ci sono risultati.

DEI gENITaLI fEmmINILI vIsTI DaLLE DONNE

afRIcaNE IN vENETO /

DI ANNALISA BUTTICCI

52 R APPORT O d I RI ce R c A ne LLA R eGIO ne Vene

TO creazione di un discorso alternativo sull’Africa e sulle popolazioni africane, contestando lo stereotipo di staticità, omogeneità, passività, atemporalità, nel quale si trascurano o si ignorano le differenze di classe, religione, etniche, dei contesti urbani e di quelli rurali, dei diversi passati coloniali così come la condizione neo-coloniale degli africani che vivono nel continente oppure nella diaspora. La ricchezza delle interviste realizzate e le vibranti dinamiche comunicative dei

focus group, nei quali si sono confrontati

uomini e donne provenienti da diversi paesi africani, hanno arricchito la nostra riflessione, permettendoci di cogliere le diverse posizioni e le multidimensionalità delle strutture che condizionano tradizioni e culture che abbiamo rilevato in continuo movimento e trasformazione.

La prima riflessione non poteva non prendere le mosse dall’ottica interpretativa con la quale si è intrapresa l’indagine, ossia il significato e il valore attribuito ai diritti umani e ai diritti delle donne nei contesti africani dove la pratica delle MGF appare particolarmente estesa. Per far ciò abbiamo esplorato il mondo di alcune donne africane residenti in Veneto, che attraverso le loro storie e le loro idee hanno consentito di ricostruire l’immaginario e l’atteggiamento maturato nel percorso migratorio in merito ai diritti umani e ai diritti delle donne.

È stato chiesto loro di raccontare della loro vita nei paesi d’origine, delle

relazioni familiari, del lavoro, del progetto migratorio e delle traiettorie di vita sperimentate. La maggioranza delle donne protagoniste di questo capitolo hanno subito la pratica, e in vario modo hanno elaborato e rielaborato la propria esperienza e il proprio vissuto. I loro primi anni di vita e, nella maggior parte dei casi, l’intera adolescenza e giovane età adulta, li hanno trascorsi in Africa, sperimentando relazioni di genere molto contestuali che rispecchiano tradizioni e culture

nelle quali il ruolo della donna assume significati legati all’economia familiare. I contesti sociali dei paesi d’origine sono plasmati da un forte senso comunitario che vede i ruoli di genere direttamente funzionali alla riproduzione dell’ordine e dell’armonia dei nuclei familiari e di conseguenza delle comunità. Le donne intervistate hanno fatto parte di questi ordini, ma hanno anche sperimentato nuovi assetti sociali e di genere nella diaspora. È in questo ampio panorama che si collocano le riflessioni delle donne sui diritti umani riportate in questo capitolo. La domanda che abbiamo posto a tutte è: secondo te che cosa si intende per

diritti umani? Alcune di loro hanno

espresso le loro convinzioni attraverso una chiara presa di posizione a favore dei diritti umani e delle donne. Altre, invece, si sono dimostrate un po’ scettiche sulla possibilità di argomentare, nelle realtà africane di origine e della diaspora, l’importanza dei diritti umani o aspetti quali la violenza sulle donne. È dunque su queste due posizioni che svilupperemo la prima parte di questo capitolo. Per far ciò, riporteremo alcuni dei commenti più significativi delle donne intervistate che ci permettono di osservare le diverse posizioni espresse.

Le esperienze e le riflessioni riportate di seguito vanno nella prima direzione. La prima esperienza è quella di F.19, somala, in Italia da 20 anni. La storia di F. è quella di una donna che ha avuto sempre molto chiare le disparità esistenti nel suo paese d’origine tra uomo e donna. Ha cercato di difendersi da una posizione subordinata in famiglia conquistando, nonostante le difficoltà economiche, un titolo di studio che le ha permesso di trovare un lavoro impiegatizio. Il suo atteggiamento evidenzia l’esperienza

R APPORT O d I RI ce R c A ne LLA R eGIO ne Vene TO

della sofferenza dovuta alle pressioni sociali che hanno soffocato le sue aspirazioni. La sua idea di diritti umani richiama la totalità dell’esperienza umana e riflette un profondo desiderio di partecipazione, parità ed emancipazione, sia nell’ambito della vita privata che nella società. Queste le sue parole:

F.: L’esperienza che io ho avuto è quella di un paese che è così che vive, dove non è ancora conosciuta la parità tra uomo e donna. Cambierei tanto, della Somalia. Farei frequentare la scuola a tutti, maschi e femmine. Metterei al governo delle donne per renderle parte della vita del paese e per permettere loro di dimostrare quello che valgono.

Quali sono i diritti delle donne?

F.: Tutti i diritti di un essere umano: quello a cui ha diritto un uomo, ha diritto anche una donna.

Cosa intendi per diritti umani? F.: Qualsiasi diritto come respirare o quello di avere dei vestiti, il diritto di lavorare, di fare figli e sposarsi, il diritto che nessuno si faccia i fatti tuoi: secondo me la donna ha bisogno di questo.

Se all’uomo tutto questo non viene impedito, non vedo perché debba essere impedito alla donna solo perché è donna. Io non sono contro gli uomini, ma non esiste che dai un calcio a me e tu continui a correre: corriamo almeno in parallelo. Altre cose da cambiare in Somalia sono ad esempio il fatto che, se all’interno della famiglia c’è una decisione da prendere, ha più valore il parere del padre o del figlio maschio. Il figlio maschio ha più valore della mamma e questo lo cambierei: mio figlio l’ho partorito io, non può essere superiore a me. Sono il marito e la moglie che devono sedersi, discutere e poi comunicare alla famiglia che hanno preso la loro decisione. Se si vogliono coinvolgere i figli nella discussione va bene, ma le decisioni spettano ai padroni di casa. (F., Somalia)

non meno significative ci sono sembrate le parole di A. e K., rispettivamente della Somalia e del Burkina Faso. entrambe sono in Italia da più di 10 anni. Sono sposate e hanno figli. A. fa la collaboratrice domestica e K. lavora in una struttura socio-sanitaria come operatrice. Interessante, a nostro avviso, la chiave comparativa di A. e la visione globale di K. rispetto alla condizione delle donne nel mondo. ci è sembrato rilevante riportare le loro osservazioni in quanto evidenziano due importanti elementi: il primo è la consapevolezza delle strutture che, a prescindere dalle differenze

geografiche, condizionano le esperienze delle donne sia nel contesto familiare che lavorativo; il secondo evidenzia, soprattutto per quanto riguarda A., il riconoscimento della legge come unico strumento per tutelare le donne dalla violenza.

A.: Da noi tante cose passano sotto la religione. Anche qui in Italia cinquanta o cento anni fa la donna doveva solo badare alla casa e ai figli e l’uomo comandava: da noi è ancora così, o comunque era così vent’anni fa. In quel periodo le donne non guidavano, non andavano a scuola, non si sognavano neanche di votare, era quasi impossibile trovare una donna che lavorasse in un ufficio: si occupavano solo della casa e l’uomo comandava.

Adesso le cose stanno cambiando.

Secondo te che cos’è la parità tra uomo e donna?

A.: Innanzitutto il rispetto.

Uomo e donna sono entrambi esseri umani, quindi uguali. Una famiglia è fatta di un padre e di una madre: l’uno senza l’altra non può stare perciò per avere la piena parità bisogna che entrambi abbiano voce in capitolo quando si tratta di decidere qualcosa che riguarda il lavoro, i figli, tutto. Non voglio che mi sia precluso qualcosa perché sono una donna: devo poter arrivare dove è arrivato lui.

54 R APPORT O d I RI ce R c A ne LLA R eGIO ne Vene

TO Quali sono gli strumenti di una donna per

difendersi dalla violenza?

A.: Le violenze comunque non finiscono mai ed è la legge che deve difenderle in maniera severa, non dando ad un assassino sedici anni di galera: sedici anni di galera non equivalgono a una vita spezzata.

Secondo te in Italia le donne sono tutelate?

A.: No, non penso.

E in Somalia?

A.: Meno. In Somalia un uomo può

picchiare la propria donna, sai? Io credo che quando un uomo alza le mani contro sua moglie, lì è finita. Io lo lascerei per sempre.

Secondo te che cos’è la parità tra uomo e donna?

A.: Abbiamo parità in tutti i sensi, tranne che per i muscoli. Sia maschi che femmine vanno a scuola, spesso le femmine sono più brave dei maschi, lavorano entrambi. Mi sono stupita di una cosa qui: dall’Italia non me lo sarei mai aspettata, ma sento in televisione che le donne prendono stipendi più bassi rispetto all’uomo, pur avendo gli stessi incarichi. In Italia le donne sono condannate perché si sposano e fanno figli. In questo la Somalia è più avanzata rispetto a voi, perché lì uomini e donne con lo stesso incarico prendono gli stessi soldi e io faccio un passo avanti se sono più brava di lui. Qui le ragazze studiano, si costruiscono una carriera e comunque continuano a prendere meno degli uomini.

(A., Somalia)

E secondo te che sono i diritti delle donne?

K.: Una bella cosa questa. La mia opinione personale sui diritti delle donne è non trattarle male. Una donna deve essere libera di esprimersi, di parlare, di dire ciò che vuole, di imporsi. In tutto il mondo una donna non è mai libera, questo te lo posso assicurare. Una donna dov’è libera? Noi diciamo che

siamo liberi, ma non siamo liberi.

Dove vedi che una donna è libera? È vero! (K., Burkina Faso)

Altrettanto decise sono le parole di J., nigeriana, il cui percorso migratorio è segnato dall’esperienza del lavoro in strada. Lascia la nigeria giovanissima dopo aver studiato e lavorato brevemente come sarta e stilista: aveva un piccolo laboratorio dove ideava e produceva abiti. Attraverso conoscenti arriva in Italia e dopo poche settimane si ritrova a lavorare come prostituta nelle strade del Veneto. La sua storia purtroppo non è molto diversa da quella di altre ragazze vittime della tratta.

J.: Sai, è grazie a persone come voi che gli italiani conoscono sempre di più della cultura africana. Se non cominciamo a conoscerci l’un l’altro, resteremo sempre con i nostri pregiudizi e le nostre incomprensioni. Certa gente dice che i neri non sono esseri umani, sono animali. Noi non siamo animali, ma la società da cui veniamo non ci dà modo di farci valere. Se le leggi in Africa ci dessero diritti uguali, la Nigeria sarebbe un paese migliore. Se consentissero ad una donna di governare un paese, sarebbero sicuri che quel paese sarebbe il migliore, perché sono le madri che soffrono di più in Africa. Sono le donne a soffrire. (J., Nigeria)

J. è fermamente convinta dell’importanza della parità tra uomo e donna, nonché della necessità di dare a ogni individuo la possibilità di fare dignitosamente parte delle società. Lo stralcio di intervista di J., nella sua brevità, dice molto: parla di razzismo, pregiudizio, esclusione. Parla inoltre di pari opportunità,

di accesso alla vita politica da parte delle donne, richiamando l’essenza materna dell’identità femminile. Quanto riportato sinora esemplifica l’atteggiamento di coloro che hanno espresso una forte consapevolezza rispetto

R APPORT O d I RI ce R c A ne LLA R eGIO ne Vene TO

ai diritti delle donne e all’importanza di portare avanti un discorso a favore dei diritti umani: parità tra uomo e donna, libertà dalla violenza e dalle costrizioni sociali sono assunti condivisi dalle donne intervistate. Anche l’importanza dello strumento giuridico è emersa con chiarezza. Tuttavia, è quando si entra nella specificità della pratica delle MGF che il pensiero circa i diritti umani si articola in modo più critico, evidenziando alcune resistenze circa l’assunto che tale pratica possa essere letta come una violazione dei diritti umani delle donne e una violenza. La ricerca sul campo ha rivelato una realtà, rispetto alle MGF, profondamente eterogenea. Tale diversità è apparsa evidente nelle testimonianze delle donne intervistate, che hanno disegnato un mosaico di micro-contesti locali nei quali la pratica assume significati e espressioni molto diverse rispondendo ad imperativi di società nelle quali il corpo della donna è depositario di valori e tradizioni in grado di giustificare le MGF20.

nelle opinioni delle donne intervistate abbiamo rilevato due tendenze principali. La prima è di piena condanna della pratica, percepita come violazione di tutti i diritti, per la quale non si ammette nessun alibi di tipo culturale. La seconda, meno rappresentativa, ma pur sempre presente, non vede nella pratica la violazione di un diritto, e, in alcuni casi, nemmeno una forma di violenza. In qualche caso, pur considerandola una violenza, essa non appare più grave di altre forme di abuso o di ingiustizia nei confronti di esseri umani. nella prima direzione va la testimonianza che riportiamo di seguito. Si tratta

20 In questo contesto, non ci soffermeremo a fornire una visione puntuale della pratica così come viene realizzata nei paesi delle donne intervistate. Per avere una visione completa ed esaustiva in merito, si rinvia alla bibliografia generale in appendice al presente rapporto e al sito di AIDOS www.aidos.it/.

della storia di S., 55 anni, somala, in Italia da 15 anni, sposata con un conterraneo, con il quale ha avuto due figlie.

Attualmente fa la collaboratrice domestica presso una famiglia italiana.

Possiede una laurea e un passato di ricerca nel campo della demografia. Pensiamo che valga la pena riportare uno stralcio di racconto così lungo perché la sua esperienza ci è sembrata emblematica, in quanto racchiude tutto quanto da noi osservato nelle diverse storie raccolte. L’esperienza della pratica, le pressioni sociali e della tradizione, due gravidanze, una in Somalia e una fuori dal paese, la reiterazione della pratica alla figlia nata in Somalia, la migrazione, il distanziamento e il rifiuto di sottoporre la seconda figlia all’infibulazione. Tutto questo, insieme ad altri elementi importanti, ci condurranno ad una più profonda riflessione in merito alla pratica delle MGF e ai diritti umani visti dalle donne africane.

S.: Questa è una cosa che i somali considerano giusta, anche generazioni più giovani della mia lo pensano, e per loro è una cosa giusta perché pensano che sia una cosa della religione. Tagliano il clitoride e anche le labbra, quelle esterne. Quando lavoravo al Ministero della Sanità in Somalia hanno fatto un lavoro di ricerca per raccogliere dati per togliere questa mentalità. Lì ho saputo che ci sono tre tipi di pratica. Uno in cui tagliano il clitoride e poi chiudono le grandi labbra… ma questa qua è una pratica un po’ vecchia… con degli aghi di pino, quelli lunghi. Tolgono il coperchio, puliscono e mettono da una parte ed esce dall’altra parte. Cuciono con quegli aghi, ma poi li lasciano lì. Poi per una settimana la ragazza deve stare stesa. Quando si alza in piedi si vede che è cucita… Anche da fuori si vede che è tutto cucito. E questo è un tipo. Poi c’è un secondo tipo di pratica: tagliano il clitoride, ma lasciano un po’ aperto e cuciono come all’ospedale. Poi c’è un altro tipo che tagliano soltanto

56 R APPORT O d I RI ce R c A ne LLA R eGIO ne Vene

TO il clitoride. E basta. E poi ce n’è un altro ancora che dicono sia solo un pizzicotto, tanto per accontentare chi vuole che la pratica avvenga. Esce solo un po’ di sangue. Sono questi i diversi tipi. Questa tradizione viene dall’Egitto, dai tempi dei Faraoni. Dall’Egitto è passata in Sudan, in Etiopia fino in Somalia. Siccome anche la religione viene da là, pensano tutti che sia una cosa religiosa. Ma non lo è. Penso che sia una questione di gelosia. Magari uno la faceva fare a sua figlia per essere sicuro che non facesse niente. Per la figlia non è facile fare l’amore perché prova dolore. La ragazza ha due verginità: una esterna, fatta dall’uomo, e poi quella interna. Quindi penso che sia una pratica che è iniziata per gelosia e fino ad oggi molti non sono riusciti a toglierselo dalla testa. Ma a me non preoccupano quelli che stanno giù in Somalia, bensì quelli che sono all’estero che vanno giù per fare questo. Quelli che stanno lì, se anche la mamma non vuole, è la figlia che lo vuole. Io ho due figlie. A quella grande l’ho fatta fare, a quella piccola no. Quando quella piccola aveva cinque anni mi chiedeva: “Perché io non la faccio?”, perché le sue coetanee l’avevano fatta tutte. E io le dicevo: “Ma sì, la farai anche tu”. Ma io non la volevo fare. Sapevo che non era una cosa della religione. L’ho saputo dopo che era una cosa che non c’entrava con la religione. E poi ho imparato molto dai vecchi, perché erano molto intelligenti. Per esempio mio zio, quando l’hanno fatta a me, ha detto di farla poco, di non farla totale. Ha detto: “Fai il meno possibile” ed era sua cugina che me la stava per fare. Lui le ha detto che se lei avesse fatto più di quello che lui le aveva richiesto, non l’avrebbe mai perdonata.

Tu ti ricordi quel giorno?

S.: Non molto, però mi ricordo quella frase di mio zio. Mi ricordo anche che il giorno prima mi avevano portata a fare l’antitetanica, per evitare le infezioni. Del giorno in cui mi hanno fatto la pratica mi ricordo che c’erano donne, tutte donne, e mi hanno fatto sedere su uno sgabello alto, non tutta seduta, un

po’ stesa. I polpacci erano fuori, dietro una donna mi teneva la schiena, altre due mi tenevano le gambe e la cugina di mio papà mi faceva la cosa. Non mi hanno cucita, mi hanno solo tagliato il clitoride. Dopo di che ti mettono una cosa tradizionale preparata, mi ricordo il sangue che mi scendeva nel sedere…Tanto sangue. Sì, perché quando tagli una persona e non la cuci, perde tanto sangue. Mi hanno tagliato con una lametta credo. E sono anche gente avanzata diciamo, più civile… perché mi hanno fatto anche l’antitetano. Sotto sotto noi ragazze vogliamo farlo, perché fanno festa, ricevi dei regali o dei soldi. Poi dopo che finiscono ti chiudono le due gambe e così devi stare per una settimana. Quando mia figlia aveva sei anni chiedeva in continuazione di farla, e mia madre voleva che gliela facessi fare. Noi non possiamo dire un no secco ai nostri genitori, bisogna accontentare i propri genitori. In quel periodo tra l’altro mia figlia stava con mia mamma. In più la bambina stessa mi chiedeva insistentemente di farla, piangeva perché tutti l’avevano fatta e lei no. Anche se i miei fratelli erano dalla mia parte e le dicevano che non era il caso di farla, lei insisteva. Allora alla fine un giorno sono andata da un infermiere, e i miei genitori non volevano che un maschio toccasse mia figlia, ma alla fine gliel’ha fatta lui. L’ho fatto con un servizio sanitario, con il personale dell’ospedale che è venuto a casa mia. Non ho chiamato nessuno, non ho fatto nessuna festa. Mia mamma c’era, ma lei non aveva il coraggio di stare lì, non ne aveva il coraggio. Però è rimasta lì in casa. Io non ero nemmeno lì. Non volevo vedere che facevano male a mia figlia. Io ho detto: “Esco e torno dopo” perché sai, ho i buchi nelle orecchie e non potevo sentire mia figlia stare male. Mi faceva male fare questa cosa a mia figlia, ma cosa avrei dovuto fare? Le ho fatto fare l’antitetanica, l’antidolorifico, tutto quello che dovevo fare. Gli ho detto di tagliare e cucire. Le ho fatto tagliare solo un po’ il clitoride e le labbra. È andato tutto bene. Lei era contenta… Sì, era contentissima!

R APPORT O d I RI ce R c A ne LLA R eGIO ne Vene TO

Per questo prima ti dicevo che non ci sono problemi se uno vive in Somalia perché è il clima che comanda, non i genitori. Le altre bambine la prendono in giro finché non fa questa cosa. Dopo le è passato tutto